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E' morto lo scrittore che amavamo di più

Jorge Amado, l'autore di ''Dona Flor e i suoi due mariti'' in un ricordo di Luis Sepulveda

09 agosto 2001

 


 

Il paradiso del mio amico Jorge Amado
di LUIS SEPULVEDA

I "Bahiani" hanno un grande senso dell' umorismo associato ad altrettanta cordialità, così non è strano che un viaggiatore, appena giunto a Bahia, riceva il curioso saluto di "benvenuto nella terra di Amado, l'uomo più amato".
Ma Jorge Amado avrebbe potuto nascere in qualunque altra parte e restare comunque l'uomo più amato. Ricordo il nostro primo incontro a Parigi, all'inizio degli anni Ottanta.

Come sempre teneva per mano Zélia, la sua Compagna con la C maiuscola, ed io, che ero pieno di domande da fargli, rimanevo come intontito a contemplare lo strano e dolce viaggio del sangue attraverso le mani unite di Jorge e Zélia. Vedevo quelle vene azzurre come il cielo di Bahia toccarsi sotto la pelle, come a condividere ogni più intimo segreto.

Jorge Amado, il grande capitano dalla chioma candida, disse all'improvviso: "E tu? Sei silenzioso per convinzione o per credo?" Chiariti i motivi di quell'iniziale silenzio nacque tra noi un'amicizia che si alimentò negli incontri successivi, con le discussioni politiche, perché Jorge Amado sosteneva le proprie idee con la stessa passione con cui si confrontava con la letteratura. In realtà ci unirono molte più cose dei piccoli dettagli che ci opposero e da lui imparai che mai e poi mai bisogna lasciare inconclusa una discussione, perché solo così si evitano i malintesi e si può andare avanti insieme.

Alla fine degli anni Ottanta, per due interi giorni, sostenemmo un'accalorata discussione sulle caratteristiche che avrebbe dovuto avere la sinistra per essere credibile. Ricordo che io insistevo sulla necessità di dare il giusto peso al problema ecologico, e che Jorge Amado ribatteva mettendo in primo piano il pauroso fantasma della disoccupazione.

A un certo punto diede un pugno sul tavolo ed esclamò: "Io ti conosco, ti conosco molto bene e per questo non ti capisco. Non può essere che per te valga di più la sopravvivenza di una lattuga degli interessi della classe operaia". Da quel momento ogni nostra successiva conversazione iniziò con questa sua domanda: "E allora come vanno le tue lattughe?", alla quale rispondevo: "Benissimo, e se i tuoi operai non continuassero a mangiarsele avrebbero già preso il potere." Una volta Daniel Mordzinski lo fotografò che si cullava in un'amaca. Jorge Amado amava quella foto e la mostrava a chi andava a trovarlo a Parigi o a Bahia. "Il Paradiso dev'essere così. Oziare in un'amaca per l'eternità", diceva il gran capitano dalla candida chioma.

Il senso dell'umorismo di Jorge Amado sconcertava molti che pure lo amavano e gli manifestavano il proprio risentimento nei confronti dell'Accademia di Svezia che gli negò un Nobel per la letteratura più che meritato. Amado diceva: "Non preoccupatevi, se hanno dato il Nobel per la pace a Kissinger è normale che non lo diano a me".

Adesso, mentre scrivo queste righe, so che Jorge Amado si è sdraiato per sempre nella sua amaca. La brezza di Bahia lo rinfresca e lo fa sognare. Il suo modo di essere, sempre pacificatore e sereno, fa ormai parte della mia memoria, e da quello mi giunge l'orgoglio vitale delle sue parole: "Io sono Jorge Amado, comunista, grazie a Dio".

LUÍS SEPÚLVEDA
(Traduzione di Elena Dall'Orso)

Fonte: La Repubblica

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09 agosto 2001
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