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Il boss che si sente un dio assoluto

Totò Riina contro tutti! Il boss di Corleone avrebbe voluto far saltare in aria pure Giovanni Paolo II

01 settembre 2014

In siciliano si direbbe: "Nnavi pi tutti!", ossia, "ne ha per tutti". Parliamo di Totò Riina e di quello che si sta via via scoprendo dai "dialoghi dell’ora d’aria" con Alberto Lorusso, boss della Sacra Corona Unita, che con il capo dei capi ha diviso il cortiletto del carcere milanese di Opera. Qui, Riina si è sbilanciato su tutto e al confidente ha raccontato la sua versione su decenni di misteri mafiosi.
Ha parlato dei suoi rapporti con Andreotti, Dell’Utri e Berlusconi; ha spiegato come e chi ha fatto saltare in aria Falcone e Borsellino; ha espresso il desiderio di eliminare il pm Nino Di Matteo e don Luigi Ciotti, instancabile animatore di Libera; ha criticato aspramente financo Giovanni Paolo II che si permise di lanciare la condanna verso la mafia e i mafiosi dalla Valle dei Templi. Sì, Riina "nnavi pi tutti", e tutti, secondo lui, dovrebbero pagare per il suo arresto.

Un incontro senza baci - Per trent'anni è stato uno dei segreti meglio conservati della mafia siciliana e a rivelarlo adesso è il padrino più autorevole di Cosa Nostra. Riina racconta a Lorusso: "Balduccio Di Maggio dice che mi ha accompagnato lui e mi sono baciato con Andreotti. Pa... pa... pa". "Totò u curtu" scuote le mani mentre passeggia sorridente nel cortile del carcere milanese di Opera, come a far capire: tutte palle. Non ci fu alcun bacio, sostiene. Poi, cambia tono di voce e sussurra la sua verità: "Però con la scorta mi sono incontrato con lui".
Lui, il sette volte presidente del Consiglio finito sotto processo per associazione mafiosa, ma poi assolto dall'accusa di aver incontrato Riina nel 1987: gli unici due incontri accertati dai giudici fra Giulio Andreotti e un altro capomafia, Stefano Bontate, risalgono al periodo 1979-1980, troppo in là nel tempo, e la prescrizione ha salvato l'imputato eccellente deceduto il 6 maggio 2013.
I suoi uomini di scorta "si tenevano nascosti - dice - ed erano fidati, la scorta sua erano fidati". Anche Riina lo ribadisce: "Questi l'hanno salvato, questi, questi l'hanno salvato e si è salvato per questo. E si salvò".
Il boss di Corleone ritiene che anche qualche altro "si salvò": Di Maggio, il suo ex autista che prima lo fece arrestare e poi raccontò la storia del bacio. "Balduccio dice che lui si è messo in una stanza ed io sono rimasto con Andreotti. Minchia... ma questo cornuto... minchia figlio di puttana... ce la spuntò, ce l'ha spuntata e se n'è andato assolto". A questo punto, Riina rivela: "Però con la scorta mi sono incontrato con lui".

I picciuli di Berlusconi e la serietà di Dell’Utri - Nel cortiletto del carcere di Opera, Riina fa una battuta dietro l'altra sui "festini in Sardegna e in Puglia" di Silvio Berlusconi. "Mubarak Mubarak", ride durante la consueta passeggiata pomeridiana, riferendosi alla versione data dall'ex premier su Ruby, nipote del presidente dell'Egitto. "Che disgraziato, è un figlio di puttana che non ce n'è". E giù con altre risatine. Ma il tono della voce si fa serio quando inizia il racconto degli anni Ottanta e Novanta su Berlusconi: "A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi", spiega il capo di Cosa nostra al compagno di ora d'aria Lorusso. Frase finita - tra le tante - nelle intercettazioni disposte dai pm di Palermo nel processo sulla "Trattativa".
Riina rivela insomma come si articolò quel "patto di protezione" che la Cassazione ha accertato definitivamente, mandando l'ex senatore Marcello Dell'Utri in carcere. Perché Dell'Utri sarebbe stato l'intermediario fra i vertici della mafia e Berlusconi, che prima temeva un sequestro, poi attentati ai suoi ripetitori in Sicilia.

La storia di una lunga stagione, che Riina ha raccontato così, il 22 agosto dell'anno scorso: "È venuto, ha mandato là sotto ad uno, si è messo d'accordo, ha mandato i soldi a colpo, a colpo, ci siamo accordati con i soldi e a colpo li ho incassati". Diversamente, come è emerso dai processi, andò a Catania. Conferma Riina: "Gli hanno dato fuoco alla Standa ed i catanesi dicono: ma vedi di.... Non ha le Stande? gli ho detto: da noi qui ha pagato... così li ho messi sotto. Gli hanno dato fuoco alla Standa... minchia aveva tutte le Stande della Sicilia. Gli ho detto: bruciagli la Standa".
Ed ecco il passaggio che per i pm vale più di tutti i racconti dei pentiti al processo Dell'Utri: "A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi", rivela il capo di Cosa nostra dopo 47 minuti di passeggiata nell'atrio del carcere milanese di Opera. E spiega come iniziò tutto: "Quello... è venuto il palermitano... mandò a lui, è sceso il palermitano ha parlato con uno... si è messo d'accordo... Dice vi mando i soldi con un altro palermitano. Ha preso un altro palermitano, c'era quello a Milano. Là c'era questo e gli dava i soldi ogni sei mesi a questo palermitano. Era amico di quello... il senatore". Ovvero, Dell'Utri, che Riina definisce "una persona seria". Il "palermitano" dovrebbe essere invece il boss Tanino Cinà, che negli anni Settanta suggerì a Dell'Utri di mandare Vittorio Mangano come stalliere ad Arcore quando Berlusconi cercava "protezione".

Wojtyla lo scellerato - "Non sei un Papa, tu sei un disgraziato, tu sei un prepotente, uno scellerato". E "quello polacco era cattivo, era cattivo proprio, era un carabiniere". Riina va giù pesante parlando anche di Giovanni Paolo II.
Nelle conversazioni intercettate dalla Dia con Alberto Lorusso, infatti, mentre emerge che per quanto riguarda Papa Francesco "questo buono è, questo Papa è troppo bravo" e non piacerebbe alla Chiesa "perché a molti all’interno della Chiesa piace il potere", quando parla di Karol Wojtyla il boss arriva addirittura ad immaginare di "sperimentare un’altra invenzione", ovvero una strage. Perché Giovanni Paolo II, agli occhi di Riina avrebbe fatto un grandissimo errore a presentarsi ad Agrigento - a compiere cioè la visita del 9 maggio 1993 - e a permettersi di lanciare il suo storico anatema contro la mafia. Quel "Pentitevi!" che riecheggiò ben oltre la Valle dei Templi. "Ha esortato i mafiosi a pentirsi - sintetizzano gli inquirenti riportando il contenuto delle affermazioni del boss del 14 novembre dell’anno scorso - i mafiosi sono gente educata, rispettosa, quindi era giusto che il Papa la smettesse di interessarsi di queste stravanganterie".

Don Ciotti come don Puglisi -  "Questo prete è una stampa e una figura che somiglia a padre Puglisi". E deve fare la stessa fine: "Ciotti, Ciotti, putissimu pure ammazzarlo. Salvatore Riina, uscendo, è sempre un pericolo per lui... figlio di puttana".  "È malvagio e cattivo - aggiunge il padrino al boss Lorusso - ha fatto strada questo disgraziato".
Il capo di Cosa nostra va su tutte le furie quando sente in tv che la Chiesa vuole rilanciare il messaggio di don Puglisi appena fatto beato. E all'ora d'aria consegna parole durissime al suo compagno di passeggiate, sul prete ucciso e su "quello che gli somiglia tanto".
Le parole pronunciate da Riina hanno messo subito in allarme gli investigatori della Dia di Palermo, che ascoltano in diretta. Viene avvertita la procura antimafia. E nel giro di poche ore parte una nota riservata al Viminale, per sollecitare nuove misure di sicurezza attorno a don Luigi, instancabile animatore di Libera.

Ma don Ciotti non ha paura. "Per me l'impegno contro la mafia è da sempre un atto di fedeltà al Vangelo, alla sua denuncia delle ingiustizie, delle violenze, al suo stare dalla parte delle vittime, dei poveri, degli esclusi. Al suo richiamarci a una 'fame e sete di giustizia' che va vissuta a partire da qui, da questo mondo".
"Le minacce di Totò Riina dal carcere sono molto significative. Non sono infatti rivolte solo a Luigi Ciotti, ma a tutte le persone che in vent'anni di Libera si sono impegnate per la giustizia e la dignità del nostro Paese. Cittadini a tempo pieno, non a intermittenza", sottolinea ancora il sacerdote. "Solo un 'noi', non mi stancherò di dirlo - prosegue don Ciotti - può opporsi alle mafie e alla corruzione. Libera è cosciente dei suoi limiti, dei suoi errori, delle sue fragilità, per questo ha sempre creduto nel fare insieme, creduto che in tanti possiamo fare quello che da soli è impossibile".
"Queste minacce - aggiunge don Ciotti tornando a parlare di Riina - sono la prova che questo impegno è incisivo, graffiante, gli toglie la terra da sotto i piedi. Siamo al fianco dei famigliari delle vittime, di chi attende giustizia e verità, ma anche di chi caduto nelle reti criminali, vuole voltare pagina, collaborare con la giustizia, scegliere la via dell'onestà e della dignità. Molti famigliari vanno nelle carceri minorili dove sono rinchiusi anche ragazzi affiliati alle cosche".
E ancora: "La mafia non è solo un fatto criminale, ma l'effetto di un vuoto di democrazia, di giustizia sociale, di bene comune, la politica deve fare di più. Ci sono provvedimenti urgenti da intraprendere e approvare senza troppe mediazioni e compromessi. Ad esempio sulla confisca dei beni, che è un doppio affronto per la mafia, come anche le parole di Riina confermano. Quei beni restituiti a uso sociale segnano un meno nei bilanci delle mafie e un più in quelli della cultura, del lavoro, della dignità che non si piega alle prepotenze e alle scorciatoie".

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, GdS.it, Repubblica/Palermo.it]

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01 settembre 2014
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