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Disoccupazione ai massimi dal 1977 per un Paese indietro di 25 anni

31 maggio 2013

La crisi morde sempre di più, con la spirale recessiva che si traduce nella chiusura di migliaia di imprese e la crescita della disoccupazione. Un tunnel dal quale si fatica a vedere la luce: il calo dell'occupazione taglia drasticamente la spesa per i consumi e travolge nell'imprese in un tragico circolo vizioso.
Nei primi tre mesi dell'anno il tasso di disoccupazione è balzato al 12,8% - rileva l'Istat in base a dati non destagionalizzati - e considerando i confronti tendenziali si tratta del livello più alto dal primo trimestre del 1977 (+1,8 punti sul 2012). Cosi come su base mensile: ad aprile i senza lavoro volano al 12% (+0,1 punti rispetto a marzo, +1,5 punti sul 2012) registrando un nuovo massimo storico: si tratta del livello più alto sia dall'inizio delle serie mensili (gennaio 2004) che da quelle trimestrali, avviate nel primo trimestre 1977, ben 36 anni fa.

Il mese scorso l'esercito dei disoccupati ha superato quota 3 milioni toccando la soglia dei 3milioni 83mila unità, ma a pagare il prezzo più alto sono sempre i giovani in quella è diventata una vera emergenza: ad aprile il tasso di disoccupazione dei 15-24enni ha sfondato la soglia del 40% volando a quota 40,5%, ma sale al 41,9% su base trimestrale: anche in questo caso si tratta del livello più alto da 36 anni.
Complessivamente, nella classe tra 15 e 24 anni, il numero delle persone in cerca di occupazione raggiunge 696mila unità (+65mila rispetto a un anno prima), pari all'11,5% della popolazione di questa fascia di età (12,8% per i maschi e 10,2% per le femmine). Nel solo mese di aprile, aggiunge l'Istat, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni è pari al 40,5%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 5,9 punti nel confronto tendenziale. Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 656 mila e rappresentano il 10,9% della popolazione in questa fascia d'età. Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,2% rispetto al mese precedente (+25mila unità). Il tasso di inattività si attesta al 36,2%, in aumento di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e in diminuzione di 0,1 punti su base annua.

Non si arresta, quindi, il calo degli occupati a tempo pieno (-3,4%, pari a -645.000 unità rispetto al primo trimestre 2012), che in circa metà dei casi riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (-2,8%, pari a -347.000 unità). Gli occupati a tempo parziale continuano ad aumentare in misura sostenuta (6,2%, pari a +235.000 unità), ma la crescita riguarda esclusivamente il part time involontario. Il tasso di disoccupazione maschile cresce per il sesto trimestre consecutivo portandosi all'11,9%; quello femminile, in aumento per l'ottavo trimestre, sale al 13,9%. La crescita tendenziale del tasso di disoccupazione riguarda l'intero territorio nazionale. Nel Nord l'indicatore passa dal 7,6% del primo trimestre 2012 all'attuale 9,2%, nel Centro dal 9,6% all'11,3%. Nel Mezzogiorno l'indicatore raggiunge il 20,1% (era il 17,7% nel primo trimestre 2012).

Di un Paese sofferente perché oggettivamente arretrato ha parlato anche il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, all'Assemblea Annuale. "Possiamo farcela, ma solo se chi governa riuscirà a promuovere e soprattutto ad attuare un sistema di riforme efficaci e lungimiranti". Questo il messaggio finale di Visco che ammonisce: "Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti. Occorre consapevolezza, solidarietà, lungimiranza. Interventi e stimoli ben disegnati, anche se puntano a trasformare il Paese in un arco di tempo non breve, produrranno la fiducia che serve per decidere che già oggi vale la pena di impegnarsi, lavorare, investire". E invece "l'azione di riforma ha perso vigore nel corso dell'anno passato, anche per il progressivo deterioramento del clima politico", ha rilevato il governatore.

E non si tratta solo di incapacità, la nostra classe dirigente, ha ricordato Visco senza fare sconti, si porta dietro un problema atavico: "I rappresentanti politici stentano a mediare tra interesse generale e interessi particolari: i cittadini ne ricevono segnali contrastanti e incerti". Quindi non facciamoci illusione, la crisi nella quale l'Italia è sprofondata non viene da fuori, non del tutto, almeno: "Le origini finanziarie e internazionali della crisi, cui si è soprattutto rivolta l'attenzione delle autorità di politica economica, non devono far dimenticare che in Italia, più che in altri Paesi, gli andamenti ciclici si sovrappongono a gravi debolezze strutturali. Lo mostra, già nei dieci anni antecedenti la crisi, l'evoluzione complessiva della nostra economia, peggiore di quella di quasi tutti i principali Paesi sviluppati".
Visco ha ricordato inoltre che gli effetti della crisi in questo momento non potrebbero essere peggiori: "La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo, rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale. Il prodotto interno lordo del 2012 è stato inferiore del 7 per cento rispetto a quello del 2007, il reddito disponibile delle famiglie di oltre il 9, la produzione di un quarto. Le ore lavorate sono state il 5,5 per cento in meno, la riduzione del numero di persone occupate superiore al mezzo milione. Il tasso di disoccupazione, pressoché raddoppiato rispetto al 2007 e pari all'11,5 per cento lo scorso marzo, si è avvicinato al 40 tra i più giovani, ha superato questa percentuale per quelli residenti nel Mezzogiorno".

Eppure, secondo il governatore di Bakitalia,  l'uscita dal tunnel potrebbe essere vicina. "La correzione dei conti pubblici - riconosce il governatore - ha contribuito a ridimensionare le tensioni sul mercato dei titoli di Stato, evitando scenari peggiori". E dunque "i progressi conseguiti vanno preservati. Disperderli avrebbe conseguenze gravi". Nonostante il respiro di sollievo seguito alla chiusura della procedura Ue per deficit eccessivo, avvenuta qualche giorno fa, "per quest'anno non ci sono margini di aumento del disavanzo; sono stati assorbiti dalla decisione di pagare i debiti commerciali in conto capitale delle amministrazioni pubbliche". Decisione che via Nazionale mostra di approvare, precisando anzi che "non devono formarsi nuovi debiti della specie".
Occhio alla spesa pubblica, dunque, ma grande impulso alle riforme, non c'è tempo da perdere. L'Italia sconta un ritardo epocale: "Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni". E' per questo che "l'aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica" e "necessita del contributo decisivo della politica , ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive".

Anche il sistema scolastico e in generale la formazione va riformata, per permettere ai giovani di inserirsi, perché "negli anni a venire i giovani non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i più anziani nel loro posto di lavoro". Va promossa l'imprenditorialità, ma soprattutto "la formazione professionale andrà sviluppata per coprire una intera vita lavorativa caratterizzata dalla mobilità e dal cambiamento, da tutelare con rafforzati sistemi di protezione e assicurazione, pubblici e privati, nei periodi di inattività. La scuola, l'università dovranno sostenere questo processo garantendo un'istruzione adeguata per qualità e quantità".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Istat.it, Repubblica.it]

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31 maggio 2013
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