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Insieme per fermare la febbre del Pianeta

Dopo anni di negoziati raggiunto a Parigi "un accordo sul clima che vale per un secolo"

14 dicembre 2015

Dopo anni di negoziati la Conferenza Onu di Parigi ha approvato, in un tripudio di applausi, uno storico accordo sul clima per fermare il surriscaldamento del Pianeta.
"Devo battere con il martello, è un piccolo martello ma credo possa fare grandi cose", ha commentato il presidente della Cop21, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, dopo aver celebrato con abbracci e lacrime l'approvazione di quello che Francois Hollande ha definito "un accordo che vale per un secolo".
Un'intesa "giuridicamente vincolante" nel processo di dichiarazione dei "contributi nazionali", verifica quinquennale e aggiornamento, oltre che per i meccanismi di trasparenza. "Siamo nella storia, e a questa storia ha contribuito anche l'Italia", ha commentato il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, mentre il premier Matteo Renzi ha definito l'intesa un "passo avanti decisivo".

Di "accordo storico" ha parlato anche il premier britannico David Cameron, mentre per Barack Obama è un risultato "enorme", frutto della "leadership americana". "È un exploit", ha esultato anche il ministro dell'Ambiente lussemburghese Carole Dieschbourg, in rappresentanza della presidenza dell'Ue, per cui "questo è il successo dell'Europa, di tutti i Paesi coinvolti nel processo, della società civile e di tutti quelli che ci hanno aiutato ad arrivare a questo accordo ambizioso, vincolante e giusto". "Per oggi festeggiamo, da domani dobbiamo fare", ha aggiunto il commissario europeo all'Energia, Miguel Arias Canete. Non solo Europa e pochi altri come a Kyoto.
Stavolta l'accordo ha raccolto un consenso quasi generale, anche dai 'grandi inquinatori', Usa, ma soprattutto i paesi definiti in via di sviluppo Cina e India, che hanno voluto esprimere il proprio apprezzamento davanti alla plenaria. Unica stecca nel coro il Nicaragua, che ha rifiutato di sostenere il consenso e ha denunciato alcune mancanze nel testo, in materia di "ambizione" e di garanzie sui finanziamenti, chiedendo di creare un "fondo di compensazione" legato alla "responsabilità storica" e che anche i Paesi del Centroamerica siano inseriti tra i più vulnerabili. In materia di contenuti, l'accordo è un sottile esercizio di diplomazia applicata.

La soglia per il riscaldamento globale è fissata "ben al di sotto dei 2 gradi", ma prevede anche un impegno a "fare sforzi per limitare l'aumento a 1,5", in linea con le richieste degli Stati insulari. Sulla riduzione delle emissioni, invece, si 'accontentano' i Paesi produttori di idrocarburi, a cominciare dall'Arabia Saudita. Il testo non parla di "neutralità carbonica", ma di "equilibrio fra emissioni da attività umane e rimozioni di gas serra", e non fissa una timeline precisa, limitandosi a imporre di "raggiungere il picco il più presto possibile" e poi accelerare per arrivare all'equilibrio "nella seconda metà di questo secolo".
Molto si dovrà fare per la transizione verso le energie pulite. Sui finanziamenti, il punto più scottante, ai Paesi avanzati viene ribadito l'obbligo di "fornire risorse" per supportare quelli in via di sviluppo, e chiesto di stilare una "roadmap precisa" per arrivare a mobilitare 100 miliardi di dollari l'anno da qui al 2020.

Spariscono però tutti gli aggettivi proposti nella bozza per definire queste risorse, tra cui "adeguate" e "accessibili", ma anche "nuove" e "incrementali", e non ci sono vincoli sulla suddivisione dei fondi tra mitigazione e adattamento. Su un possibile allargamento della lista dei donatori ai Paesi emergenti, l'accordo si limita a incoraggiare "altre parti a fornire o continuare a fornire questo supporto in modo volontario".
Il passaggio che lascia gli osservatori più delusi è senza dubbio quello sui cosiddetti loss and damage, ovvero sui fondi ai Paesi più vulnerabili per far fronte ai cambiamenti del clima già "permanenti e irreversibili" e troppo intensi per "qualsiasi forma di adattamento".
La "vittoria enorme" di ottenere un articolo specifico dedicato a questo tema viene infatti ridimensionata da un meccanismo che, secondo le Ong del Climate Action Network, non dà "garanzia di assistenza" ai più colpiti. A ciò si aggiunge la precisazione che questo articolo "non implica né contiene basi per alcuna responsabilità giuridica o compensazione", punto imprescindibile per gli Stati Uniti, che vogliono evitare che si possa usare l'accordo odierno come base per cause contro le aziende più inquinanti.

L’ACCORDO - Sono 31 le pagine del testo: un documento che arriva dopo anni di negoziati globali e, soprattutto, due settimane di intensi colloqui per limare i dettagli tra le delegazioni di 195 Paesi. L'accordo, dopo un’ampia introduzione, è stato suddiviso in 29 articoli ai quali gli Stati devono attenersi: ma si tratta di indicazioni che non comportano sanzioni per chi non le rispetta.

LE EMISSIONI: ENERGIA PULITA PER CONTENERE I GAS SERRA - Il punto nodale del riscaldamento della Terra e del conseguente cambiamento climatico riguarda le emissioni di gas serra nell'atmosfera, soprattutto l'anidride carbonica. L'obiettivo da raggiungere per il 2030 è quello di contenere a 40 miliardi di tonnellate le quantità generate dall'attività umana soprattutto da parte dei trasporti e della generazione di energia. Oggi ne produciamo 35,7 miliardi e se continuiamo con questo ritmo arriveremo nel 2030 a 55 miliardi di tonnellate. L'obiettivo è arduo e richiede misure rapide e incisive nelle tecnologie oltre che nelle leggi che le dovrebbero sostenerle e diffonderle. Il margine del contenimento che ci rimane di quattro miliardi in 15 anni costringe a una vera rivoluzione tecnologica e a uno sforzo significativo nella ricerca.

GLI OCEANI: LA PROTEZIONE DELLE ACQUE SURRISCALDATE - La protezione delle acque surriscaldate Un altro obiettivo riguarda la protezione degli oceani. L'aumento della temperatura interessa gli strati più profondi dei mari oltre i mille metri di profondità, aumentando pure la loro acidità. Secondo l'Ipcc, l'agenzia ambientale dell'Unesco, gli oceani hanno immagazzinato il 93% del calore prodotto dal genere umano. Le acque più calde impediscono lo sviluppo del plancton e dei pesci antartici, i gasteropodi marini e i molluschi bivalvi non riescono a costruire i loro gusci di carbonato di calcio, i coralli si sbiancano dissolvendosi nell'acqua.

LA DESERTIFICAZIONE: 100 MILIARDI ALL’ANNO CONTRO L’EROSIONE - L'aumento della temperatura e l'innalzamento del livello dei mari impongono degli obiettivi di protezione stringenti. Per raggiungerli, i Paesi in via di sviluppo chiedono a quelli ricchi il finanziamento annuale di 100 miliardi di dollari. A Parigi si è stabilito che da parte di queste nazioni i tempi per arrivare a dei risultati possano essere più lunghi. Tra le opere di protezione da varare ci sono quelle sulle zone costiere, come la realizzazione di infrastrutture per ridurre ed evitare l'erosione delle coste e l'invasione delle acque nelle zone più critiche.

LE TECNOLOGIE: COLTIVAZIONI E IMPIANTI ECOCOMPATIBILI - Coltivazioni e impianti ecocompatibili Altro obiettivo è la gene-razione di nuove tecnologie per realizzare impianti o sistemi che emettano minori quantità di gas serra. Il trasferimento tecnologico dovrebbe essere garantito dai Paesi più ricchi. "Per la prima volta si considera l'adattamento al clima da parte delle popolazioni", nota Guido Visconti dell'Università dell'Aquila. "Per questo si pone l'obiettivo di cambiare in alcuni territori le coltivazioni agricole con piante più resistenti al mutamento climatico", dice Antonio Navarra, presidente del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici.

IL TERMOMETRO: QUEI 2° DA NON SUPERARE PER EVITARE IL CAOS - Se si riuscirà a contenere le emissioni a 40 miliardi di tonnellate si potrà di conseguenza garantire che non verranno superati i fatidici due gradi nell'aumento di temperatura generato dall'effetto serra scatenato dall'anidride carbonica. Questo obiettivo è fondamentale perché è legato a due conseguenze importanti oltre la desertificazione da contenere: lo scioglimento dei ghiacci e la crescita del livello dei mari che porterebbe a disastri ambientali nelle terre emerse dove i livelli oggi sono minimi come a Venezia, ad esempio. Alcune isole dell'Oceano Pacifico, inoltre, scomparirebbero. Ma tutto ciò finirebbe anche per aggravare ulteriormente il problema delle migrazioni delle popolazioni in fuga dai territori occupati dalle acque.

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Corriere.it]

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14 dicembre 2015
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