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Sospetti, veleni e divisioni

Sull'inchiesta della presunta trattativa Stato-mafia che tutti ha saputo dividere

22 giugno 2012

Quanto fango sopra il Colle: un attacco senza precedenti alla mia persona, ai miei collaboratori ed all'istituzione che rappresentò, dice in sostanza il presidente. Non ha mai usato la parola "fango" Giorgio Napolitano ma è quella che meglio sintetizza l'ira gelida del presidente che ieri ha deciso di passare all'attacco per bloccare una polemica pericolosissima per il Quirinale.
Unanime il sostegno del mondo politico, a cominciare dal presidente della Camera Gianfranco Fini e dal ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, alla presidenza della Repubblica.
Solo il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, continua a mettere il dito nella piaga parlando del ruolo del consigliere, Loris D'Ambrosio, rispetto ad inchieste in corso: "il presidente della Repubblica dovrebbe sapere bene che nessuno, neppure lui è al di sopra e al di fuori della legge. Prendiamo atto che avalla il comportamento dei suoi più stretti collaboratori che - sottolinea Di Pietro - hanno tentato di interferire in una inchiesta penale in corso". L'inchiesta, aggiunge, "riguardava fatti gravissimi: la possibile trattativa tra Stato e mafia per evitare che qualche politico venisse ammazzato mentre venivano ammazzati magistrati come Falcone e Borsellino". E non si tratta, quindi, per il leader dell'Idv, "di una campagna di sospetti e insinuazioni ma di ricerca di una verità in nome di quel sangue versato e di quelle tante vittime che hanno pianto per quello Stato 'calabraghe' di quei giorni".

Come si vede il caso rischia di deflagrare sul Colle più alto. Una brutta storia che ha origini lontane: nasce dalle stragi mafiose del 1992-93, dalle presunte trattative di esponenti dello Stato con i boss di Cosa nostra e che le indagini di ben tre procure hanno svegliato in questi mesi facendo fibrillare un big della politica democristiana, quel Nicola Mancino - ex presidente del Senato, ex vice presidente del Csm ed ex ministro degli Interni - che proprio al Colle ha chiesto con insistenza aiuto.
"Ho reagito con serenità e la massima trasparenza", ha premesso il capo dello Stato avvicinando i giornalisti all'Aquila, al termine della festa della Guardia di Finanza. Ma la serenità iniziale ha lasciato spazio alla preoccupazione. È stata orchestrata "una campagna di insinuazioni e sospetti costruita sul nulla", ha detto Napolitano. E si capisce subito che la rabbia del presidente è tracimata: in queste settimane sono comparse sui quotidiani anche "interpretazioni arbitrarie e tendenziose, talvolta persino versioni manipolate" ha aggiunto seccamente attaccando quella parte della stampa che più sta lavorando alle carte dell'inchiesta.

Nessun passo indietro, quindi. Il presidente non molla neanche Loris D'Ambrosio, il consigliere intercettato in diverse telefonate con un nervosissimo Mancino. Di sue dimissioni non se ne parla proprio. E lo conferma anche la sua presenza all'Aquila, nello staff del presidente. Avvicinato dai giornalisti D'Ambrosio non ha pronunciato neanche la parola 'buongiorno’ e si è allontanato in fretta. Ci ha pensato poco dopo Napolitano in persona a difenderlo: è stata costruita "una campagna di insinuazioni e sospetti nei confronti del presidente della Repubblica e dei suoi collaboratori", ha ripetuto il presidente pensando a D'Ambrosio.
Ciò che sembra più bruciare al Capo dello Stato è la strisciante insinuazione che gli accorati appelli di Nicola Mancino al Colle possano aver portato la presidenza della Repubblica a gesti ed atti irrituali. "Coloro che sono intervenuti sulla vicenda, e stanno intervenendo, avendo una seria conoscenza del diritto e delle leggi, hanno ribadito l'assoluta correttezza del comportamento della presidenza della Repubblica". Un comportamento, ha spiegato, "ispirato soltanto a favorire la causa dell'accertamento della verità anche su quegli anni". Ecco perché Napolitano ha chiuso il suo attacco rivolgendosi ai cittadini con una assicurazione: "continuerò ad operare affinché vada avanti nel modo più corretto e più efficace, anche attraverso i necessari coordinamenti, l'azione della magistratura. I cittadini possono essere tranquilli che io terrò fede ai miei doveri costituzionali".

Una verità constatabile però, esiste per tutti, ossia quella che mostra quanto la presunta trattativa tra Stato e mafia sia stata capace di creare divisioni e instillare veleni.
Ad esempio, al palazzo di giustizia di Palermo, sembra esere tornata una nuova "stagione di veleni". A rendere pesante l'aria in un tribunale non nuovo a polemiche e spaccature non sono solo i recenti risvolti dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, ma lo stesso senso dell'inchiesta e, soprattutto, la sua gestione.
Sulle parole del presidente Napolitano il capo della Procura Francesco Messineo non fa commenti. "Non ne farei neppure se il presidente si fosse riferito al mio ufficio, figuriamoci se parla di cose che non sono relative al nostro operato", dice.
Mentre l'aggiunto Antonio Ingroia, titolare del fascicolo, esprime "massimo rispetto" per il capo dello Stato. "C'è il massimo rispetto per il presidente Giorgio Napolitano. Non c'è nulla da commentare se non che, come lui stesso auspica, va ricercata tutta la verità sulle stragi di vent'anni fa".

Sul resto della vicenda, però, avere dichiarazioni è molto difficile. Ma, nonostante la versione ufficiale parli di un clima sereno, il malcontento tra le toghe sembra essere diffusissimo. Tanto che alcuni pm hanno preteso una convocazione, per lunedì, della riunione della direzione distrettuale antimafia per discutere di quanto è accaduto. La Dda palermitana di assemblee nell'ultimo anno e mezzo ne ha fatte ben poche: sei in tutto - 4 nel 2011 e 2 quest'anno - . "A dispetto - dice uno dei pm dell'antimafia - di quanto prevede l'ordinamento giudiziario che impone il confronto collegiale". E comunque - fanno notare diversi magistrati - le rare occasioni di incontro non sono servite a discutere di quella che in Procura definiscono ironicamente "l'inchiesta del secolo". "Se Grasso non convocava ogni settimana la Dda - commenta un pm - Ingroia scriveva documenti denunciando la mancanza di circolazione delle informazioni: ora noi che non siamo titolari dell'indagine sulla trattativa le informazioni le leggiamo sui giornali".
Il tema della circolazione delle notizie, un refrain che va avanti da anni alla Procura di Palermo, è finito anche al centro dell'assemblea plenaria dell'ufficio che si è svolta ieri. Convocata per affrontare il tema dell'organizzazione del lavoro, presto, si è trasformata nel luogo in cui parlare di un argomento del quale, se in Dda si è discusso poco o niente, ai pm dell'ordinario, quelli che si occupano di reati comuni, non si è mai detta una parola. Le polemiche, anche se i più hanno preferito restare zitti, non sono mancate. E al procuratore aggiunto Antonio Ingroia e a tutto il pool che indaga sulla trattativa si è obiettata la scarsa disponibilità a condividere le notizie. "È un vecchio problema dell'ufficio - avrebbe risposto Ingroia - che va avanti fin dai tempi di Caselli". L'assemblea si è conclusa dopo tre ore di discussione. "Tutti sereni e soddisfatti", ha detto il procuratore.

"La verità è che nessuno parla chiaro - sostiene un pm - e che si fanno commenti nei corridoi invece di esprimere opinioni vere quando ci si riunisce".
Sull'opportunità di avviare e portare avanti un'indagine come quella sulla trattativa, comunque, la procura è spaccata tra chi lo ritiene un modo necessario per accertare la verità sugli anni delle stragi e chi imputa ai colleghi titolari del caso di volere scrivere la storia più che fare i processi. Sulla gestione - sia giuridica che mediatica - della vicenda le critiche, invece, sono molto più pesanti e diffuse. E la maggior parte dei pm ritiene gravissime le fughe di notizie sulle intercettazioni. "È folle - dice un magistrato - che noi del pool antimafia non sapevamo nulla e i giornali hanno avuto il testo di conversazioni che peraltro non dimostrano alcun tentativo di condizionamento dell'inchiesta". E sul coordinamento delle Dda di Firenze, Palermo e Caltanissetta, "inesistente" secondo Mancino, è netto Ingroia: "sempre stato pieno".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it]

 

 

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22 giugno 2012
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