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"Distruggiamo lo Zen"

La proposta shock dell'archistar Massimiliano Fuksas. "Al suo posto farei sorgere una foresta"

31 maggio 2016
''Distruggiamo lo Zen''

FUKSAS, PROPOSTA SHOCK: "DISTRUGGIAMO LO ZEN"
di
Giorgio Caruso (Repubblica/Palermo.it, Settembre, 2015)

"Lo Zen andrebbe demolito e al suo posto pianterei un'enorme foresta di lecci e palme. Bisogna costruire pezzi di foreste e bisogna farlo insieme alla gente: dovrebbe essere una festa per tutti".
A voler far brillare, in un battito di ciglia, il quartiere di Palermo nato alla fine degli anni Sessanta su progetto di Vittorio Gregotti e divenuto uno dei simboli del degrado sociale, è l'architetto Massimiliano Fuksas.

"È stata la presunzione di quegli anni a far sorgere lo Zen: una finta kasba algerina. Non si può esportare un'idea di città che non esiste. Tempo fa, mi trovavo a Palermo. Ho affittato una macchina e sono andato nel quartiere Zen. Ci sono vetture bruciate agli angoli delle strade e tanta desolazione negli occhi degli abitanti che ti guardano con sospetto e curiosità, perché per loro sei un estraneo. Bisogna reintegrare quella gente più vicino al centro. Palermo è piena di case sfitte, vuote, molte abbandonate".

Massimiliano Fuksas, settantun anni, romano, è uno degli architetti italiani più conosciuti al mondo. Ha realizzato oltre seicento progetti tra Europa, Africa, America, Asia e Australia, gran parte insieme alla moglie Doriana Mandrelli (responsabile di "Fuksas Design"). Negli ultimi quarant'anni, lo studio Fuksas ha progettato di tutto: aeroporti, musei, spazi per la musica, centro congressi e design di interni.

Lo incontriamo nel suo studio romano, al quarto piano di un palazzo rinascimentale a pochi metri da Campo de Fiori e, tra i plastici dei suoi progetti in scala 1:100, lo sguardo scivola dalla torre della Regione Piemonte alle Twin Towers di Vienna, per poi posarsi sulla tanto discussa Nuvola, il Nuovo centro congressi e Hotel Eur a Roma. In Sicilia, Fuksas, ha realizzato nel 2006 a Belpasso il centro multifunzionale Etnapolis e nel 2009 a Siracusa per le rappresentazioni classiche del Teatro Greco, ha progettato la scenografia per "Medea" e "Edipo a Colono", con Elisabetta Pozzi e Giorgio Albertazzi. "Prima che iniziasse lo spettacolo con Doriana ci siamo avvicinati al palco per vedere da vicino la scenografia che avevamo progettato. Dopo qualche secondo è scoppiato un lungo applauso. Era la prima volta che mi capitava una cosa simile e non ci aspettavamo un calore del genere".

Lei vuole fabbricare ombra demolendo lo Zen. Vorrebbe cambiare qualcos'altro nell'isola della "Terra trema"?
"Eliminerei lo statuto speciale. Non serve a niente, né ai siciliani e neppure all'Italia intera. È un'idea ottocentesca, del dopoguerra, che rimanda a ricordi non piacevoli. Proviamo invece a far tornare i tanti siciliani che sono emigrati. E poi, per cambiare le cose occorre avere una visione"

Cioè?
"Da trent'anni ad oggi "strategia" è stata la parola più usata. Ma la strategia dura 48 ore, una settimana e poi svanisce senza aver cambiato nulla. Bisogna essere visionari, che non significa essere irrealistici, ma inseguire un sogno e farlo diventare realtà".

E la Sicilia a quale visione deve aggrapparsi?
"La Sicilia deve costruire una classe dirigente nuova, fatta di giovani. Qualcuno dirà: ma hanno poca esperienza. E vabbè, se la faranno".

Prima lei ricordava l'emozione che ha provato al Teatro Greco. Siracusa, nei mesi scorsi, ha lanciato l'ennesimo grido d'allarme perché il teatro più imponente dell'antichità classica sta cadendo a pezzi.
"Questo non è un problema solo siciliano ma riguarda tutta l'Italia. Noi molto spesso ce ne freghiamo delle bellezze che abbiamo attorno, perché non apparteniamo più ai popoli che le hanno prodotte. È una modificazione genetica dei popoli. Anche i greci non sono più il quelli del Partenone".

Quindi la politica non ha colpe?
"No, la colpa è nostra perché siamo noi che votiamo i sindaci, i Presidenti di Regione e gli onorevoli. I politici sono il nostro specchio, e nessuno di noi ama guardare se stesso".

Si dice che nella vita la cosa che ci appartiene di più è il luogo in cui nasciamo. Lei che è sempre in volo da una parte all'altra del mondo, c'è un lembo di terra dove gli piacerebbe rinascere?
"In Sicilia, nella terra dei lunghi silenzi. I siciliani sono magnifici, è l'unico popolo che non insegue la perfezione perché sono già perfetti. Con Doriana abbiamo comprato dodici dammusi a Pantelleria. Li abbiamo rimessi a posto, abbiamo piantato alberi e palme e ci trascorriamo i ritagli di tempo libero. E poi quando posso, faccio sempre un salto nella parte orientale della Sicilia, dove ci sono quei tre piccoli gioielli di città, Ragusa Ibla, Modica e Noto che sono di una bellezza disarmante. C'è una stratificazione di tempo, di opere e di storia impressionante e, soprattutto non sono state sfiorate dall'abusivismo. Mentre a Catania e a Palermo negli anni 60 e 70 hanno costruito quartieri ignobili, allontanando la gente e distruggendo il rapporto della popolazione con il centro, Ibla, Modica e Noto, hanno avuto una grande capacità di resistenza. Mi piacerebbe avere una stanza in ogni paese della Sicilia, anche perché c'è una grossa mancanza di alberghi nel territorio".

Non solo di alberghi, ma anche di strade, ponti, treni. Lei sa che per fare Palermo- Ragusa in treno ci vogliono nove ore?
"Spesso la mancanza di strade è un bene per il territorio. La Sicilia è una terra misteriosa, bisogna scoprirla, bisogna guadagnarsela come l'affetto e l'amicizia dei siciliani: non te lo danno a gratis, perché è profonda e non è falsa. Come si fa a non andare almeno una volta nella vita a Piazza Armerina? È stata restaurata male, però, quando ti trovi lì e ti guardi intorno ti viene da piangere. Lì c'è la poesia di un'epoca".

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31 maggio 2016
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