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Il Protocollo di Kyoto. Dall'Ue la strategia per rafforzare l'abbattimento delle emissioni di gas serra

Far ''salire a bordo'' della nave Kyoto paesi come gli Usa e includere nell'azione internazionale i settori dei trasporti

10 febbraio 2005

A pochi giorni dall'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, il 16 febbraio prossimo, Bruxelles presenta gli elementi chiave di una strategia per rafforzare ulteriormente l'obiettivo di indurre i paesi industrializzati a diminuire le loro emissioni di gas a effetto serra, come l'anidride carbonica.
Il documento sarà sul tavolo dei capi di Stato e di governo al vertice europeo in programma il 22 e 23 marzo a Bruxelles. Due i punti forti su cui fa leva il nuovo approccio presentato dal commissario europeo all'Ambiente Stavos Dimas. In primo luogo, rinnovare gli sforzi per ''far salire a bordo'' della nave Kyoto paesi come gli Usa, che contribuiscono in modo rilevante alle emissioni di gas nel pianeta, oltre ai paesi le cui economie conoscono uno sviluppo molto rapido.
Entro la fine dell'anno è prevista l'apertura di nuovi negoziati nell'ambito delle Nazioni Unite per il dopo 2012. Inoltre, Bruxelles punta a includere nel regime post-Kyoto settori come quelli dell'aviazione e dei trasporti marittimi.

Il Protocollo di Kyoto impone ai paesi industrializzati di ridurre le loro emissioni di 6 gas a effetto serra. L'Unione Europea, mette in guardia Bruxelles, ''è riuscita a ridurre le proprie emissioni del 3% al di sotto del livello del 1990, ma dovrà fare di più per raggiungere gli obiettivi di riduzione dell'8% fissato dal Protocollo''. Il clima è una delle emergenze su cui ancora non c'è una visione condivisa a livello mondiale. La questione è stata evocata il 26 gennaio al Forum economico mondiale di Davos dal premier britannico Tony Blair, che ha indicato il Protocollo di Kyoto tra le 5 grandi priorità del G8 di cui il Regno Unito avrà quest'anno la presidenza. Dal canto suo la Commissione Ue propone di affrontare la questione con i paesi che da soli producono il 75% dei gas a effetto serra: Ue, Usa, Canada, Russia, Giappone, Cina e India.
Per il commissario Dimas quindi, la lotta contro il cambiamento climatico non è più una scelta ma è una necessità e quindi occorre ''continuare a fare pressione affinché tutti i partner internazionali salgano a bordo''. Sono convinto, ha aggiunto, ''che è ancora possibile rispettare l'impegno di limitare gli aumenti di temperatura a un massimo di due gradi Celsius in tutto il mondo nel 2050''. Quanto ai costi alle proposte presentate, ha precisato, ''sono raggiungibili per le nostre economie''.

I punti forti della futura strategia proposta:
Aviazione, trasporti marittimi e disboscamento. Le emissioni nel settore dell'aviazione e dei trasporti marittimi sono in rapido aumento - rende noto Bruxelles - e dovrebbero essere inclusi nell'azione internazionale. Ma bisognerebbe anche esaminare il modo di mettere fine al disboscamento delle foreste nel mondo: il 20% delle emissioni di gas a effetto serra è causato dal cambiamento dell'utilizzo del suolo.
Più partecipazione. L'Ue vuole mantenere un ruolo di capofila nell'approccio multilaterale sui cambiamenti climatici, ma ritiene assolutamente urgente una partecipazione più ampia.
Investire nel progresso. Bisogna far ''salire a bordo'' della nave Kyoto paesi come gli Usa e includere nell'azione internazionale i settori dei trasporti. Per Bruxelles lo sviluppo deve andare di pari passo con l'introduzione di nuove tecnologie in linea con gli obiettivi a sostegno del clima. È richiesta anche un'attenzione particolare per gli investimenti a lungo termine nel settore energetico, dei trasporti e delle infrastrutture.
Viva il mercato. Si tratta tra l'altro del sistema di scambi del diritto di emissioni, del sistema di sorveglianza e di comunicazione dei dati.
Riduzione del danno. Per Bruxelles è necessario prevedere a uno stato precoce le catastrofi naturali più frequenti e più distruttrici e i governi dovrebbero intervenire per regolamentare la questione delle assicurazioni o creare un fondo di solidarietà.

Fonte: La Nuova Ecologia

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10 febbraio 2005
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