Il miraggio della Sicilia, polo delle telecomunicazioni, e la delusione dei call center
apparsa sulle pagine regionali
del quotidiano La Repubblica
La delusione dei call center
Lettera firmata
Trapani
Mi chiamo A., ho 26 anni e una laurea in Economia. Appena laureato mi sono ritrovato con l'interrogativo di tutti i giovani del sud: cosa farò da grande? Difficile risposta. Intanto Palermo diventa il grande polo delle telecomunicazioni. Comincio a inviare curricula e un bel giorno una azienda di nome Albacom, mi chiama. Selezione e firma: contratto formazione lavoro.
Primo pensiero: la Sicilia si è risvegliata. Passano due anni e comincia a rincorrersi la solita ridda di voci sulla riconferma o meno. "State tranquilli" rispondono i responsabili. "Albacom è una azienda solida, verrà presto quotata in Borsa". Arriviamo al 2 aprile (il contratto scadeva il giorno dopo). Vengo convocato assieme ad altri nove dipendenti. L'azienda ha deciso di effettuare dei tagli. Ci dispiace. Nell'incredulità generale rispondiamo: "Perché noi?". "Abbiamo valutato i due anni del vostro lavoro". Chissà perché a noi è venuta subito un'altra idea: non abbiamo forse pregato abbastanza i "santi protettori"? Morale della favola: queste grandi aziende del Nord hanno utilizzato la nostra preparazione, hanno preso i soldi delle agevolazioni e... fine dell'investimento.
Spieghiamo in cosa consiste la grande voglia di investire al Sud. Contratto formazione lavoro, niente contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, legge Visco per assunzioni full time, contributi sulla formazione del personale. Ecco qui i call center carichi di occupati flessibili e, quindi, facilmente licenziabili.
Purtroppo, questo ci costringe poi a lasciare la Sicilia dopo aver accettato lavori di qualsiasi genere pur di uscire dal ghetto della disoccupazione. Un esodo biblico che ci ha fatto perdere i giovani più istruiti, volenterosi e meritevoli.
L'augurio è che, come scrive nel suo libro "L'isola che non c'è" Gaetano Basile, la Sicilia finisca di essere la "civiltà del sospeso" che da noi è un modo di vivere. Noi siciliani siamo precari, cittadini non di ruolo, sempre in lista d'attesa per qualcosa che non arriverà mai.