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Il miraggio della Sicilia, polo delle telecomunicazioni, e la delusione dei call center

13 aprile 2002
Rilanciamo una lettera
apparsa sulle pagine regionali
del quotidiano La Repubblica


La delusione dei call center

Lettera firmata
Trapani


Mi chiamo A., ho 26 anni e una laurea in Economia. Appena laureato mi sono ritrovato con l'interrogativo di tutti i giovani del sud: cosa farò da grande? Difficile risposta. Intanto Palermo diventa il grande polo delle telecomunicazioni. Comincio a inviare curricula e un bel giorno una azienda di nome Albacom, mi chiama. Selezione e firma: contratto formazione lavoro.

Primo pensiero: la Sicilia si è risvegliata. Passano due anni e comincia a rincorrersi la solita ridda di voci sulla riconferma o meno. "State tranquilli" rispondono i responsabili. "Albacom è una azienda solida, verrà presto quotata in Borsa". Arriviamo al 2 aprile (il contratto scadeva il giorno dopo). Vengo convocato assieme ad altri nove dipendenti. L'azienda ha deciso di effettuare dei tagli. Ci dispiace. Nell'incredulità generale rispondiamo: "Perché noi?". "Abbiamo valutato i due anni del vostro lavoro". Chissà perché a noi è venuta subito un'altra idea: non abbiamo forse pregato abbastanza i "santi protettori"? Morale della favola: queste grandi aziende del Nord hanno utilizzato la nostra preparazione, hanno preso i soldi delle agevolazioni e... fine dell'investimento.

Spieghiamo in cosa consiste la grande voglia di investire al Sud. Contratto formazione lavoro, niente contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, legge Visco per assunzioni full time, contributi sulla formazione del personale. Ecco qui i call center carichi di occupati flessibili e, quindi, facilmente licenziabili.
Purtroppo, questo ci costringe poi a lasciare la Sicilia dopo aver accettato lavori di qualsiasi genere pur di uscire dal ghetto della disoccupazione. Un esodo biblico che ci ha fatto perdere i giovani più istruiti, volenterosi e meritevoli.

L'augurio è che, come scrive nel suo libro "L'isola che non c'è" Gaetano Basile, la Sicilia finisca di essere la "civiltà del sospeso" che da noi è un modo di vivere. Noi siciliani siamo precari, cittadini non di ruolo, sempre in lista d'attesa per qualcosa che non arriverà mai.

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13 aprile 2002
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