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Sulle classi per soli appartenenti alla religione islamica, l'esperienza a Mazara del Vallo (TP)

''Le elementari per soli bambini africani sono un esempio di ghetto''

13 luglio 2004

Elementari separate per 120 bimbi arabi
Mazara e la scuola tunisina: «È un disastro. Le elementari per soli bambini africani sono un esempio di ghetto. Milano sbaglia, non imparano neppure l’italiano

MAZARA DEL VALLO (Trapani) - Se volete conoscere passato, presente e futuro della scuola multietnica dovete venire qui a Mazara del Vallo: tra i budelli dei quartieri della Casbah, a un crocevia che racchiude tutto il percorso multietnico compiuto in decenni di convivenza con gli extracomunitari: oltre 3 mila, il 96% tunisini. A distanza di pochi metri l’una dall’altra ci sono infatti la scuola tunisina, l’Istituto Comprensivo "Borsellino" e il primo Circolo didattico "Ajello". È come se Mazara fosse una singolare sala cinematografica in cui, senza soluzione di continuità, vengono proiettate le varie fasi del percorso verso (il tentativo di) una piena integrazione. Una cosa è già chiara: vista da qui la scelta del liceo "Agnesi" di Milano sembra un ritorno al passato. "È come tornare indietro di vent’anni - taglia corto Mariella Corte, direttrice del circolo didattico "Ajello" - qui abbiamo già vissuto e continuiamo a vivere l’esperienza della scuola per tunisini e sappiamo i guasti che ha prodotto". Un’opzione, quella di Milano, "didatticamente e concettualmente superata" anche se a Mazara resiste ancora. "Quel tipo di scuole crea una terribile ghettizzazione - aggiunge il preside della "Borsellino" Antonio Accardo - dalla scuola tunisina i bambini vengono fuori senza conoscere una sola parola di italiano. Studiano solo arabo e francese e una volta fuori sono destinati a una vita separata".

INTEGRAZIONE - In tutte le scuole di Mazara, dalla materna al liceo, si cerca di integrare gli extracomunitari col resto degli studenti e i risultati sono giudicati "molto buoni". Ma su una popolazione scolastica di circa 500 tunisini, 120 scelgono ancora la scuola tunisina istituita nell’81. "In tutte le nostre classi abbiamo una quota di bambini extracomunitari - afferma il preside - che non supera i sei-sette proprio per avere una piena integrazione. Ma ancora non riusciamo a evitare che una percentuale scelga la scuola tunisina".
L’esperienza più innovativa per convincere gli extracomunitari a frequentare la scuola italiana viene invece fatta da quattro anni al circolo "Ajello". Un progetto all’avanguardia. "Anche il Comune di Milano mi ha più volte chiamato perché interessato - dice la direttrice -, qui non ci limitiamo a rispettare le varie diversità, ma andiamo oltre: non solo i bambini tunisini ma anche quelli italiani studiano l’arabo. Molte famiglie nordafricane infatti non scelgono la scuola italiana perché non si può studiare l’arabo. Il nostro progetto ha voluto superare questa difficoltà con lo studio sin dal primo anno della lingua italiana e di quella araba che anche i bambini italiani possano scegliere come lingua estera". L’integrazione poi si sviluppa "in un percorso di reciproca conoscenza, dalla religione alla feste popolari alla cucina".

TUTTI I SIMBOLI - In tutti gli istituti di Mazara frequentati da immigrati non ci sono mai stati problemi di integrazione. "A cominciare dalla questione del crocifisso che non è stato mai un problema - afferma il dirigente della pubblica istruzione Vito Sciacca -, nelle classi ci sono tutti i simboli delle varie culture". Anche per il provveditore di Trapani, Mario Anello, "il problema dell’integrazione non significa rinunciare alla propria identità culturale. Dunque la questione crocifisso non si pone. Che senso ha levarlo a scuola se poi lo puoi trovare in qualunque ufficio pubblico? La strada giusta è proporre i nostri valori e farli dialogare con i loro". Ecco perché quella di Milano viene vista come una rimozione del problema. "È come se si fosse deciso di rinunciare ad affrontare il problema - dice Anello -. E invece bisogna puntare alla contaminazione anche se la strada è difficile".
Nonostante l’istituto tunisino continui a essere frequentato, qui ormai viene visto come "fenomeno residuale". A sceglierlo sono le famiglie nelle quali continua a essere forte il legame con la terra d’origine. Si tratta di una scuola elementare che va avanti sino alla sesta. Una volta fuori molti decidono di completare gli studi in patria, gli altri possono iscriversi alla media italiana. "In fondo debbono fare solo pochi passi perché la scuola è proprio di fronte - afferma Accardo - in realtà la strada è molto più lunga. Questi ragazzi non conoscono una sola parola di italiano e in prima media dobbiamo sopperire con i corsi di alfabetizzazione". In questa situazione non aiuta certo l’atteggiamento di chiusura del governo tunisino.
La scuola dipende dal ministero dell’Istruzione di Tunisi che però si limita a pagare gli insegnanti, per il resto i locali li mette a disposizione il Comune, "in spirito di solidarietà".

Alfio Sciacca

Fonte: Corriere.it del 13 luglio 2004

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13 luglio 2004
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