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Albert Nobbs

Un film per Glenn Close, anzi, il film di Glenn Close che ha atteso per quasi trent'anni

10 febbraio 2012

Noi vi segnaliamo...
ALBERT NOBBS
di Rodrigo García

Irlanda, XIX secolo. Albert Nobbs è cameriere in un albergo di Dublino e la sua vita è interamente dedicata a svolgere al meglio la sua professione per raggranellare un gruzzolo sufficiente ad aprire una propria attività commerciale. Tuttavia, Albert Nobbs nasconde un segreto: in realtà è una donna che, con il passare del tempo e il sopraggiungere di nuovi eventi, rischierà di restare imprigionata in un ruolo da lei stessa costruito...

Anno 2011
Nazione Gran Bretagna, Irlanda
Produzione Glenn Close, Bonnie Curtis, Julie Lynn, Alan Moloney per Chrysalis Films, Mockingbird Pictures, Parallel Film Productions, Westend Films
Distribuzione Videa CDE
Durata 113'
Tratto dal racconto "The Singular Life of Albert Nobbs" di George Moore
Soggetto George Moore e István Szabó    
Sceneggiatura Gabriella Prekop, John Banville Glenn Close    
Regia Rodrigo García
Con Glenn Close, Mia Wasikowska, Aaron Johnson, Brendan Gleeson, Janet McTeer, Jonathan Rhys Meyers, Pauline Collins, Bronagh Gallagher
Genere Drammatico


In collaborazione con Filmtrailer.com

IL SIGNOR GLENN CLOSE
di Natalia Aspesi (Repubblica.it)
Un omino in marsina e bombetta, che potrebbe essere Charlot se non portasse l’ombrello al posto del bastoncino, attraversa tutto un film con muta umiltà, sommessa cupidigia e un sorriso angelico che se non avesse incantato i selezionatori degli Oscar si potrebbe definire da schiaffi. Tanto più che l’omino che si chiama Albert Nobbs dando il titolo al film, ha la faccia della crudele Crudelia Demon e della vipera marchesa de Merteuil, e della eroticamente squilibrata Alex, cioè di Glenn Close: che finalmente, arrivata a 64 anni, il fatale fascino appena incrinato, ha optato per la bontà e, per riuscire a far piangere i suoi solitamente terrorizzati ammiratori, ha dovuto decidersi a cambiare sesso, cioè a entrare, dentro una storia genere "Piccola TransFiammiferaia", in un ruolo apparentemente maschile abbastanza inquietante da gelare le lacrime oltre che il sangue.

La grande signora del cinema americano era stata Albert Nobbs a teatro trent’anni fa in un dramma tratto da un racconto di George Moore del 1918, e da allora ha lottato per esserlo anche al cinema, con gran fuga di produttori e registi davanti al gravoso compito. Ma adesso finalmente ce l’ha fatta; il regista è Rodrigo Garcia, figlio di Gabriel Garcia Màrquez, lei lo ha coprodotto e cosceneggiato, accanto al grande scrittore irlandese John Banville, su soggetto di Istvan Szabo; e l’Oscar è in agguato, ipnotizzato da quel liquido e arrossato sguardo con cui l’attrice vuole esprimere tutto il dolore e la rassegnazione di un’epoca, di un genere, di una classe, tutti quanti destinati alla rovina.

Dublino, fine Ottocento, alberghetto piuttosto equivoco, padrona grassa e avida, clienti eleganti e ubriachi, equivoci camerieri in guanti bianchi e camerierine dal nero destino. Il maggiordomo è un vecchio gay, nessuno sa che il silenzioso ibrido Albert dai modi gentili e dalla brutta voce, è una signora anche piuttosto anziana: orfanella maltrattata dai genitori adottivi, anche stuprata fanciulla, sola al mondo, per difendersi e lavorare si finge uomo e come tale non piace a nessuno. Con sua grande angoscia gli mettono in camera un gigantesco imbianchino che per fortuna si rivela un donnone con enorme seno (e non si capisce come faccia a nasconderlo sotto la camicia): per l’Oscar deve essere l’anno dei travestiti, perché anche questa rocciosa Janet McTeer è candidata al premio per i non protagonisti.

Finto uomo anche lui, ma sposato con una sartina, formando una quieta coppia lesbienne, fa venire il pensiero anche al povero Nobbs, che è molto confuso riguardo a se stesso: ridicolissimo infatti quando si veste da donna e prova una specie di gioia sfrenata e infantile, ignaro di pulsioni sessuali, è così puro e ingenuo che decide di vivere la sua maschera, e avendo sottomano la deliziosa camerierina Mia Wasikowska, purtroppo già incinta di un giovane e bel fuochista fuggitivo, vorrebbe sposarla. Nella storia c’è tutto, la vecchia Irlanda, l’impossibile vita delle donne là e allora, il loro sfruttamento, la mascalzonaggine maschile, la miseria del proletariato, le risorse del travestimento, e c’è pure il colera. Ma chissà come ce ne importa poco.

STRAORDINARIA PROVA NEI PANNI DI UN UOMO
di Paolo Mereghetti (Corriere.it)
Il nodo della propria identità sessuale, ma anche il portato della classe (e della povertà) e lo scontro con la morale. L'interesse di Albert Nobbs non è solo nello scambio di sessi che una donna senza famiglia deve mettere in atto per sopravvivere nella Dublino di fine Ottocento, ma anche nell’insicurezza psicologica che un tale scambio di identità si porta dietro e nel confronto (involontario ma inevitabile) con i rigori di una morale - quella cattolica dell’Irlanda più bigotta e insieme quella borghese, vittoriana, dei «dominatori» inglesi - che mal si adatta agli sforzi di chi deve per prima cosa sopravvivere alla miseria e all’umiliazione.
L’idea di fondo del racconto lungo di George Moore (che si poteva leggere in italiano come Morrison’s Hotel, Dublino, pubblicato da Tranchida Editore, ora in ristampa col titolo del film) è semplice ed efficace insieme: figlia illegittima allevata da una povera famiglia perché fosse tenuta lontano dai suoi veri genitori, la protagonista (di cui neppure conosciamo il vero nome) scopre che è più facile trovare lavoro come uomo che come donna. E dall’adolescenza inizia a travestirsi. Quando la incontriamo è Albert Nobbs, riservato e inappuntabile cameriere all’hotel Morrison’s di Dublino. Nessuno mette in dubbio la sua identità, nessuno può rimproverare la minima mancanza professionale, nessuno gli (le) può riconoscere il minimo cedimento sentimentale.

Un’invenzione letteraria che sembra fatta apposta per la scena. E infatti nel 1977, Simone Benmussa, già storica collaboratrice della compagnia Barrault-Renaud, ne trae una pièce (La Vie singulière d’Albert Nobbs) che verrà interpretata da Julie Berto e qualche anno più tardi da Aurore Clément a Parigi, da Susanna York a Londra, da Maddalena Crippa a Roma e, nel 1982, da Glenn Close a New York. Un’esperienza folgorante per l’attrice americana (che per questa interpretazione ricevette anche un Obie Awards, il più importante premio per produzioni Off-Broadway) e che da allora ha cercato di portarlo anche al cinema. Mettendosi in gioco come produttrice (con la sua Trillium Production), come sceneggiatrice (insieme a Gabriella Prekop e allo scrittore irlandese John Banville) e naturalmente come attrice.
Glenn Close ha impiegato quasi trent’anni a realizzare il suo sogno, dopo una falsa partenza nel 1990 con Istvan Szabo, riuscendoci infine con Rodrigo García, figlio dello scrittore Gabriel García Márquez e regista altalenante. Qui si mette sostanzialmente al servizio della protagonista, a cui l’attesa per portare al cinema il progetto non sembra aver nociuto. Anzi, la «durezza» di lineamenti che l’età può aver accentuato (e che il trucco mette ancor più in evidenza) finiscono per contribuire al fascino ambiguo della prova d’attrice, dove si fa fatica a ritrovare i lineamenti femminili che incastravano Michael Douglas in Attrazione fatale ma anche la simpatia canagliesca di Crudelia De Mon.

Quando appare per la prima volta sullo schermo, nei panni formali e professionali di Albert Nobbs un attimo di dubbio attraversa la mente dello spettatore. Solo la profonda bellezza dei suoi occhi azzurri aiutano a ritrovare nel personaggio l’attrice, super-candidata nella corsa per gli Oscar se non fosse per la concorrenza della «signora di ferro» Meryl Streep.
I meriti del film, però, non si fermano alla pur straordinaria interpretazione della sua protagonista, perché a complicare la vita del maggiordomo ci si mette prima il caso (la padrona dell’hotel lo obbliga a ospitare in camera per una notte un imbianchino: tra uomini...), poi un ulteriore colpo di scena (l’imbianchino si rivela lei pure una donna «costretta» a cambiare sesso per trovare lavoro: è Janet McTeer, anche lei nominata ma come non protagonista) e infine l’esplosione di una identità repressa per anni, una specie di bisogno/desiderio di costruirsi una vita propria, capace di andare al di là dei confini della sessualità ma pur sempre rispettosa degli obblighi sociali e del decoro vittoriano. Sì, anche Albert Nobbs vorrebbe «metter su famiglia», magari con la bella cameriera Helen (Mia Wasikowska), il cui amante (Aaron Johnson) vede di buon grado l’occasione di accalappiare un ricco partito...

E così lo scontro tra identità sessuali diventa anche scontro con le convenzioni (sociali ma naturalmente anche religiose: in fondo si tratta di due donne...) e poi lotta «darwiniana» con la propria origine di classe (se i ricchi ospiti dell’hotel possono dar sfogo alle proprie pulsioni, i poveri servitori sembrano capaci di perpetuare solo la violenza in cui sono stati cresciuti) in un mondo dove la povertà e la solitudine finiscono per rivelarsi i veri incorruttibili guardiani delle proprie prigioni.ù

Candidato ai Golden Globes 2012 per: Miglior Attrice protagonista di film drammatico (Glenn Close), Attrice non protagonista (Janet McTeer) e Canzone originale - Candidato all'Oscar 2012 per: Miglior Attrice protagonista (Glenn Close), non protagonista (Janet McTeer) e Miglior trucco.

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10 febbraio 2012
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