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Candidata al Nobel per la Pace

L'isola di Lampedusa è ufficialmente in lizza per il riconoscimento per la Pace

07 febbraio 2014

Successo per la campagna dell'Espresso
LAMPEDUSA ORA È CANDIDATA AL NOBEL
di
Fabrizio Gatti (l’Espresso, 05 febbraio 2014)

Lampedusa è ufficialmente candidata al Premio Nobel per la pace 2014. Un traguardo che riconosce la solidarietà dimostrata negli anni dagli abitanti dell’isola, ma anche le sofferenze che i profughi sopravvissuti devono affrontare e il sacrificio delle migliaia di persone morte annegate: 20 mila in vent’anni, 640 tra il 30 settembre e l’11 ottobre 2013, di cui almeno un centinaio i bambini.
Arriva così a Oslo la petizione lanciata da "l’Espresso" subito dopo il naufragio di giovedì 3 ottobre e condivisa in Italia e nel mondo via Internet da 55.650 lettori e non, tanti quante le firme raccolte: cittadini comuni, esponenti della società civile e rappresentanti della cultura internazionale, tra i quali i registi belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne e il filosofo tedesco Jürgen Habermas.

"Lampedusa non è una periferia dell’Europa: è il cuore del nostro continente", commenta il presidente del Consiglio, Enrico Letta: "La candidatura al premio Nobel di Lampedusa è un messaggio di speranza per i diritti umani e per la legalità nel Mediterraneo e per questo deve mobilitare tutta l’Italia e tutti i Paesi dell’Unione europea. Il premio sarebbe il riconoscimento a una comunità che insegna a tutto il mondo la "globalizzazione della solidarietà"".
"È giusto rendere questo omaggio simbolico ai cittadini di Lampedusa che, con grandi sforzi, ci mostrano la strada dell’accoglienza", sottolinea il presidente del Senato Piero Grasso: "Sono convinto sia necessario porre l’attenzione sulla drammatica condizione di chi sfida il mare, tra mille difficoltà, per sfuggire alla povertà e alle guerre e, allo stesso tempo, di una comunità che è stata sconvolta dagli sbarchi ma che non ha mai perso la propria umanità".

La candidatura è stata formalizzata pochi giorni fa, il 31 gennaio, dalla scrittrice Elisabeth Eide, professore di Scienze sociali all’Università di Oslo e Akershus, tra i norvegesi titolati a presentare le proposte al Comitato per il Nobel per la Pace.
Poiché il premio non può essere assegnato genericamente agli abitanti di un paese o ai profughi che lo raggiungono, è stato suggerito il Comune di Lampedusa come l’istituzione che meglio rappresenta nel tempo sia i residenti, sia i nuovi arrivati, indipendentemente dallo schieramento dell’amministrazione in carica. Il Comitato per il Nobel, composto da cinque personalità norvegesi nominate dal Parlamento, esaminerà nei prossimi mesi le candidature. E in ottobre rivelerà il nome del vincitore che il 10 dicembre, ricorrenza della morte di Alfred Nobel, riceverà il premio durante la prestigiosa cerimonia a Oslo.

La candidatura di Lampedusa non è ovviamente la soluzione per evitare altre stragi. Ma può essere un monito e un’occasione per richiamare l’attenzione del mondo sulle norme che impediscono ai profughi di seguire percorsi legali e sicuri. Gli Stati membri dell’Unione europea garantiscono infatti la protezione dei rifugiati, ma solo se si trovano già sul loro territorio. Paradossalmente la legge europea vieta l’ingresso ai profughi: anche se si tratta di donne e bambini, anche se sono in fuga da regimi come quello al potere in Eritrea, o da massacri come quello in corso in Siria. L’unica via di salvezza resta così la rotta clandestina: il passaggio che arricchisce la criminalità davanti alle lacrime di circostanza della politica. Le vittime eritree e siriane dei naufragi del 30 settembre, del 3 e dell’11 ottobre avevano pagato 1.600 dollari a testa: cinque volte di più di un volo Tripoli-Roma.
Sono trascorsi 4 mesi da allora e soltanto il governo italiano è intervenuto con l’operazione di soccorso "Mare nostrum", che però non potrà durare in eterno. Poco o nulla hanno fatto i parlamenti europei e tanto meno Bruxelles per scongiurare che altri bambini, altre donne, altri uomini siano costretti a morire per salvarsi. Lungo questa rotta di indifferenza, Lampedusa non è soltanto la porta dell’Europa. È un approdo sicuro, è il salvagente reale e simbolico al quale aggrapparsi: i suoi abitanti in tutti questi anni non si sono mai sottratti al dovere di ciascun essere umano al soccorso e all’assistenza, diventando loro stessi testimoni di un modello di solidarietà necessario e possibile.

A Lampedusa, aggiunge la scrittrice Elisabeth Eide nella lettera di candidatura, i profughi "hanno trovato soccorritori, medici, volontari e comuni cittadini che li hanno accolti in nome della pace... che più e più volte hanno mostrato la propria ospitalità e il proprio coraggio. In diversi casi gli abitanti dell’isola hanno contribuito a salvare profughi che stavano annegando, mettendo a rischio la propria vita... In seguito diversi di loro hanno accusato problemi psicologici per aver visto così tante persone annegare mentre, con risorse limitate, mettevano in salvo quanti potevano. Nel 2011, durante la rivolta in Tunisia e la guerra in Libia... 11.000 nuovi arrivati sono stati assistiti nelle case degli abitanti, ricevendo cibo e altri aiuti da parte dei 6.300 residenti, poiché il centro di accoglienza dello Stato per i richiedenti asilo ha solo 800 posti".
Il Premio Nobel per la Pace alle istituzioni e alla popolazione dell’isola, conclude la lettera di candidatura, "costituirebbe anche un riconoscimento per una piccola comunità la cui umana compassione è stata messa grandemente alla prova negli ultimi venti anni e che ha superato tale prova perché rispetta la dignità umana, dimostrando che gli esseri umani possono praticare la convivenza pacifica".

- Il documento originale in norvegese (pdf)

- La Carta di Lampedusa (Guidasicilia.it, 04/02/14)

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07 febbraio 2014
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