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Chi ha tempo... beato lui. Un italiano su due pagherebbe in cambio di un po' di spazio per se stesso

10 aprile 2006

La Primavera è arrivata, le giornate più lunghe e la temperatura mite prospetterebbe davanti gli occhi dei lavoratori momenti di maggior relax prima che l'ora di cena scandisca già la fine di una giornata di fatica, in vista di quella nuova, pronta dietro l'angolo.
Purtroppo per gli italiani non è così. Dopo le, quattro, sei, otto o dieci ore di lavoro, le cose da fare rimangono tante, anzi troppe, e di meritato tempo libero ne rimane, puntualmente poco o niente. Lasciamo stare poi il sabato e la domenica, giorni che dovrebbero essere deputati al ''ritrovare se stessi'', ma che con l'accumulo delle cose non fatte durante la settimana diventano le giornate più stressanti e faticose...

Italiani senza tempo libero
di Maria Novella De Luca (Repubblica.it)

Le più brave sono le donne, ma anche i maschi iniziano ad ingegnarsi. Ritaglia, concentra, ruba, moltiplica, fraziona, alla fine qualcosa salta fuori. Un qualcosa che si chiama tempo. Una manciata di ore, uno scorcio di giornata, un pezzetto di vita senza impegni, una frazione della quotidianità da dedicare a se stessi e a chi si ama. Gli economisti lo definiscono "time-budget" e niente indica meglio di questa frase idiomatica il senso contemporaneo della parola tempo. Ossia valore, capitale, merce di scambio, un bene per il quale almeno il 50% degli italiani sarebbero disposti a barattare molto se non tutto, a cominciare dagli orari per finire alla busta paga, in nome di quella ''conciliazione'' della vita e del lavoro sempre citata nello statuto di ogni azienda e mai applicata.

I dati Istat dimostrano che dal 1988 ad oggi gli italiani hanno ''guadagnato'' due minuti di tempo libero in più al giorno, passando da 3 ore e 49 minuti a 3 ore e 51 minuti di spazio per sé. Una vera miseria, rispetto al resto della media europea, soprattutto Inghilterra e Germania, dove il guadagno è stato di almeno un paio d'ore ogni sette giorni, per non parlare degli americani, che secondo gli ultimi studi, avrebbero conquistato quasi venti ore ''off'' al mese, mandando al macero tutti gli stereotipi degli statunitensi ''workaholic'', ossia drogati di lavoro.
Una situazione, la nostra, molto simile a quella spagnola, così come l'ha raccontata in una recente inchiesta dal titolo ''La conquista del tempo'' il magazine de "Lavanguardia", elencando le acrobazie quotidiane di uomini e donne per guadagnare scampoli di vita privata. Rivoluzionando cioè ogni aspetto della quotidianità, moltiplicando il telelavoro, abbattendo le distanze, concentrando gli impegni domestici, tutto questo per ottimizzare il tempo libero da dedicare ai figli, alla coppia, o semplicemente al famoso ''ozio creativo'' toccasana di corpo e mente. Con il risultato che non potendo dilatare le 24 ore, europei e americani dormono sempre meno, e complice la tecnologia fanno più cose insieme (multitasking).

''Tutte le inchieste negli uffici e nelle aziende - spiega Patrizio Di Nicola, docente di sociologia all'università La Sapienza di Roma e uno dei massimi esperti di E-work in Italia - dimostrano che la gran parte degli italiani si sente schiacciata dalla rigidità degli orari, nel nostro paese il turno classico è ancora dalle 9 alle 5, e soltanto il 40% dei dipendenti può usufruire di un'ora di flessibilità, così ogni tipo di necessità domestica, finisce per essere concentrata il sabato, quando molti uffici sono chiusi''.
Insomma la famosa ''conciliazione'', prevista addirittura da una legge illuminata (Legge 53 del 2000) resta più un'aspirazione che una realtà, e quando le aziende hanno provato ad applicarla, ''questo raramente si è tradotto in flessibilità di orari o telelavoro, piuttosto si è preferito creare uffici dotati di asilo nido e di fitness center, con addetti che vanno a sbrigare le commissioni per i dipendenti''.
In pratica il 60% degli italiani ha turni rigidi, mentre ''il 35% dei lavoratori che già utilizza come strumenti della professione telefono e computer potrebbe - conclude Di Nicola - svolgere da casa la propria professione''.

Ci sono però alcuni spiragli anche da noi. ''La voglia di liberare tempo per sé è sempre più forte, riguarda tradizionalmente le donne e adesso anche gli uomini - dice Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell'Istat - ma la risposta non c'è, perché gli orari di lavoro restano rigidi, i servizi sociali scarsi, e aumentano i tempi degli spostamenti. Il vero cambiamento è invece nella vita familiare, dove le donne hanno imparato a comprimere le ore dedicate alle attività domestiche, e i maschi fanno qualcosa in più. Il tutto a vantaggio dei figli, verso i quali, nonostante la crescita dell'occupazione femminile, c'è una cura sempre maggiore. C'è però una fascia d'età fortemente penalizzata, ed è quella delle coppie tra i 25 e i 44 anni con i figli. Per loro sia la mobilità che i tempi del lavoro, in casa e fuori, sono aumentati, e di conseguenza è diminuito il tempo libero: 27 minuti in meno rispetto al 1988''.
Si spinge ben al di là del concreto l'antropologo Marino Niola, che vede in questo ''movimento di liberazione del tempo'', una sorta di ''crisi dell'Illuminismo e dell'idea della corsa continua verso un progresso a cui bisogna sacrificare il tempo''. ''C'è un fattore di decelerazione che accomuna le società ricche, dove il time-budget è diventato il capitale più prezioso, l'unico non moltiplicabile e non replicabile. Lo sanno bene i giovani, che pur premendo per entrare nel mercato del lavoro difendono risolutamente i loro spazi privati, le loro passioni, e anche il loro modo di sprecare il tempo''.

[Foto di Bertrand Celce]

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10 aprile 2006
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