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Chi non denuncia il pizzo è fuori da Confindustria

L'Associazione degli industriali adotta in pieno il ''modello Sicilia'' lanciato da Ivan Lo Bello

29 gennaio 2010

Il "modello Sicilia", lanciato da Ivan Lo Bello, si estende a tutto il Sud. La lotta al pizzo, il contrasto concreto, con tanto di espulsione da Confindustria per gli imprenditori che non denunciano coinvolgerà tutte le regioni del Meridione. Lo ha annunciato il presidente dell'associazione degli industriali, Emma Marcegaglia al termine della Giunta degli industriali a commentare l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un piano straordinario per combattere la criminalità organizzata. "Oggi abbiamo fatto una delibera in cui tutte le associazioni territoriali del Mezzogiorno hanno preso una decisione molto importante: l’obbligo di denuncia degli imprenditori che vengono vessati dalla mafia e l’obbligo di sospensione o espulsione, dalla Confindustria". "E' una riposta forte a criminalità e al lavoro nero. Non possiamo che apprezzare la volontà di fare una battaglia forte da questo punto di vista".
Ed un plauso all'azione del Governo è arrivato anche dal direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli. "Tutto ciò che va nella direzione di contrastare il lavoro nero, il sommerso e l'evasione fiscale trovano in Confindustria un attore che condivide l'azione del Governo", ha detto al termine della Giunta. "Si tratta di un problema di convivenza civile oltre che di concorrenza sleale nei confronti delle aziende in regola e di distorsione inaccettabile dei meccanismi di mercato".
"Una forte decisa risposta al problema della criminalità organizzata". Queste le parole del presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, uscendo dalla sede di Confindustria. "La presa di posizione della Giunta ha già rappresentato sul territorio una forte e decisa risposta al problema della criminalità organizzata: solo con azioni di questo tipo il sistema delle imprese può dare un segno vigoroso per un impegno civile e di responsabilità sociale" ha detto Lo Bello aggiungendo che "questa è la strada per garantire trasparenza e libertà economica, indispensabili per la competitività delle nostre aziende".

Le norme approvate ieri dalla Giunta degli industriali prevedono per i probiviri di ogni associazione del Sud la facoltà di proporre le seguenti sanzioni:
- L'espulsione dell'impresa nel caso in cui sia accertato che l'amministratore o altri soggetti direttamente legati alla titolarità dell'impresa siano stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per reati di associazioni di tipo mafioso, anche straniere; o quando i beni di proprietà dell'imprenditore siano stati colpiti da provvedimenti definitivi di confisca;
- La sospensione dell'impresa, nel caso in cui non abbia già deciso essa stessa in tal senso, scatta quando siano state irrogate in capo all'impresa e ai suoi legali rappresentanti misure di prevenzione o di sicurezza; quando siano state emesse sentenze di condanna non ancora passate in giudicato per i reati sopra indicati; quando sia stato accertato che sono in corso procedimenti penali a carico degli amministratori o di altri soggetti direttamente legati all'impresa concernenti la contestazione di aver commesso uno dei citati reati, o quando si ha conoscenza dell'emissione, nei confronti di dette persone, dell'applicazione di misure cautelari personali per tali ipotesi di reato.
Inoltre, le nuove norme stabiliscono anche che le associazioni territoriali si possono costituire parte civile nei processi che vedano le imprese parte lesa o imputata.

Secondo il presidente onorario della Federazione antiracket, Tano Grasso, "la posizione della Confindustria che obbliga gli imprenditori vessati a sporgere denuncia, pena la sospensione o espulsione dall’associazione rappresenta un elemento di rottura nell’atteggiamento del mondo imprenditoriale italiano". Grasso ha dunque chiesto a Confindustria "di arrivare in tempi brevi ad esempi percepibili di sanzioni nei confronti degli imprenditori in Campania, Calabria e Sicilia dove la stragrande maggioranza paga in silenzio il pizzo". "Finalmente – ha aggiunto, commentando le parole di Emma Marcegaglia – non vengono più giustificati gli imprenditori che con la loro acquiescenza rendono difficile la vita agli imprenditori che denunciano e alimentano il sistema mafioso". Secondo Grasso "la posizione è coerente con la nuova rivoluzionaria norma introdotta dal decreto legge sulla sicurezza che prevede la non partecipazione a gare di appalto per le imprese che pagano il pizzo". "La posizione di Confindustria - ha concluso Grasso - deve diventare modello per tutte le associazioni di categoria: bisogna passare dall’antimafia dei convegni a quella delle denunce degli imprenditori che nella stragrande maggioranza sono organizzati dalle associazioni di categoria".

L'iniziativa di Confindustria ha avuto anche l'apprezzamento del pm della Direzione nazionale antimafia, Maurizio De Lucia, ex pm di Palermo autore delle più importanti inchieste sul racket delle estorsioni in Sicilia ed esperto dell’analisi del fenomeno anche a livello nazionale. "La dichiarazione del presidente di Confindustria di espellere dall’associazione chi non denuncia il pizzo è il corretto sviluppo della presa di posizione di Confindustria Sicilia, che già si muove in questa direzione, che va letta in uno sforzo complessivo che non può essere solo quello delle istituzioni – forze dell’ordine e magistrati – finalizzato al contrasto di tutte le mafie e non solo di quella siciliana".
De Lucia è stato tra i promotori di una nuova strategia investigativa della Dna di Palermo, che da anni contesta alle vittime che, davanti ad evidenze istruttorie negano di avere pagato il pizzo, il reato di favoreggiamento mafioso.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, ANSA, LiveSicilia.it]

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29 gennaio 2010
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