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Cosmopolis

"Il topo diventò l'unità monetaria". Cronenberg porta sul grande schermo la scrittura di DeLillo

25 maggio 2012

Noi vi segnaliamo...
COSMOPOLIS
di David Cronenberg

New York. Eric Packer è un ventottenne multimiliardario che una mattina decide di attraversare tutta la città sulla sua lussuosa limousine per andare dal vecchio barbiere di suo padre a farsi tagliare i capelli. Questo 'attraversamento' si svolge in ventiquattro ore, durante le quali il giovane controlla i mercati azionari e si dispera per l'andamento dello yen, che rischia di mandare a monte il suo impero finanziario. Intanto incontra le persone più disparate, costantemente protetto dalle sue guardie del corpo che temono possa essere assassinato da un momento al'altro...

Anno 2012
Nazione Canada, Francia
Produzione Alfama Films, Prospero Pictures, in coproduzione con Kinologic Films (DC) e France 2 Cinema, in associazione con Telefilm Canada E Taladracas Pictures
Distribuzione Rai Cinema/01 Distribution
Durata 108'
Tratto dall'omonimo romanzo di Don DeLillo (Ed. Einaudi)
Regia e Sceneggiatura David Cronenberg
Con Robert Pattinson, Juliette Binoche, Sarah Gadon, Paul Giamatti, Mathieu Amalric, K'Naan
Genere Drammatico


In collaborazione con Filmtrailer.com

Quello che impressiona in Cosmopolis, è che David Cronenberg, ancora una volta, ha affrontato la sfida di realizzare un film partendo da un libro impossibile da adattare. Così facendo, ha ampliato e migliorato un insieme di opere unico, incentrato su temi considerati ossessivi o marginali quando ha iniziato la sua carriera, ma che hanno raccontato il mondo come nessun altro regista è riuscito a fare con i propri film.
Dopo i brillanti risultati de Il pasto nudo, ispirato da William S. Burroughs, e Crash, tratto da J.G. Ballard, qui abbiamo la visione di Cronenberg del romanzo di Don DeLillo Cosmopolis, in un certo senso la sua “esternalizzazione”.
DeLillo, parlando della sua visione profetica e infernale di dove sta andando il mondo, ha dichiarato di aver concentrato in ambito letterario tutte le voci che annunciavano la catastrofe che stava arrivando e che ora ci ha colpito.
Cronenberg rafforza questo approccio, creando uno spazio cinematografico che fonde diversi generi e sconvolge il pubblico.
Si esce dalla sala storditi e incerti su dove ci troviamo.


INTERVISTA CON DAVID CRONENBERG

Conosceva il romanzo di Don DeLillo?
No, non l’avevo letto. Paulo Branco e suo figlio Juan Paulo mi hanno proposto di adattarlo per il grande schermo. Lui mi ha detto che, secondo suo figlio, ero la persona giusta per dirigere la pellicola. Conoscevo altri libri di DeLillo, così come Paulo e i tanti film meravigliosi che aveva prodotto, quindi ho pensato che valesse la pena darci un’occhiata. Per me è stata un’esperienza anomala, visto che di solito porto avanti da solo i miei progetti, ma mi fido di loro e quindi ho accettato di valutare l’ipotesi. Due giorni dopo, lo avevo letto e ho chiamato Paulo per dirgli che avevo accettato l’incarico.

Cosa le ha fatto pensare che il romanzo potesse diventare un film e l’ha spinta a dirigerlo?
I dialoghi fantastici. DeLillo è famoso per questo e quelli di Cosmopolis sono particolarmente brillanti. Alcuni dialoghi vengono definiti ‘pinteriani’, insomma à la Harold Pinter, ma a mio avviso dovremmo parlare di dialoghi ‘delilliani’. Peraltro, Pinter è un drammaturgo, è normale che sia un virtuoso dei dialoghi, ma nel campo dei romanzi, il lavoro di Don mostra una potenza espressiva eccezionale.

Qual è la sua impressione del mondo di Don DeLillo?
Ho letto diversi suoi libri, come Libra, Underworld, Cane che corre… Amo molto il suo lavoro, anche se è decisamente americano. Io non sono americano, ma canadese, una cosa molto diversa. Gli americani e gli europei ritengono che i canadesi siano semplicemente una versione più educata e sofisticata degli americani, ma non è così semplice. In Canada, non abbiamo avuto una rivoluzione, la schiavitù o una guerra civile. Qui, soltanto la polizia e l’esercito posseggono delle armi, non abbiamo il problema della violenza armata per mano dei civili e abbiamo un profondo senso della comunità, così come riteniamo necessario che ognuno riceva un salario minimo. E questo fa credere agli americani che siamo un Paese comunista! Nei libri di DeLillo è diverso, perché io posso cogliere la sua visione dell’America, lui la rende comprensibile e io posso identificarmi.

E’ passato un decennio tra l’uscita del romanzo e la realizzazione del film. Ritiene che questo possa rappresentare un problema?
Non credo, perché il romanzo è sorprendentemente profetico. Mentre stavamo realizzando la pellicola, sono successe le cose descritte nel libro, per esempio Rupert Murdoch ha ricevuto una torta in faccia e dopo la conclusione delle riprese è nato il movimento "Occupy Wall Street". Ho dovuto cambiare pochissime cose per rendere la storia contemporanea, l’unica differenza è che abbiamo utilizzato lo Yuan al posto dello Yen. Non so se DeLillo abbia delle azioni, ma eventualmente dovrebbe acquistarle, perché possiede una percezione notevole di quello che sta avvenendo e dei cambiamenti in atto. Il film è contemporaneo, mentre il libro era profetico.

Tra i cambiamenti che ha fatto, c’è la scena alla fine del libro, in cui Eric Packer si ritrova su un set cinematografico…
Sì, non appena l’ho letta ho pensato che non avveniva veramente, ma soltanto nella mente di Packer. Non ci credo. E non riuscivo a vedermi mentre riprendevo decine di corpi nudi in una strada di New York. Sono molto scettico sui film nei film. Può essere interessante, ma solo quando ha un senso. E’ uno dei cambiamenti principali che ho effettuato nel libro, assieme alla signora con le buste, la senzatetto che trovano dentro la macchina una volta usciti dal rave. Ho girato la sequenza, ma in seguito ho pensato che la situazione fosse artificiale e improbabile, quindi l’ho tagliata al montaggio.

Ovviamente, lei ha anche tagliato i capitoli in cui Benno Levin entra nella storia, prima dell’incontro finale...
Non avrebbero funzionato nel film. Avremmo avuto bisogno di una voce off o di uno di quegli stratagemmi che spesso forniscono risultati pessimi. Ho preferito salvare tutto per l’incontro tra lui e Packer, la lunghissima sequenza finale: 20 minuti. 20 minuti di dialoghi! E’ una di quelle scelte che devi fare per trasformare un romanzo in un film. Tuttavia, quando una sceneggiatura è terminata, non so che tipo di film farò. Spesso mi chiedono se il risultato finale ha superato le mie aspettative, ma io non mi faccio mai delle attese all’inizio. Sarebbe assurdo pensare a un modello ideale, cercando di seguirlo il più fedelmente possibile. Sono i tanti passi nella realizzazione di una pellicola che la rendono quello che è alla fine. E va tutto a vantaggio del film. E’ per questo che non preparo mai degli storyboard, perché poi si tenta di ricreare quanto disegnato. Non è la mia idea di cinema. Ho bisogno di essere sorpreso, da me stesso e dagli altri, iniziando ovviamente dagli attori. Ma anche con Peter Suschitzky, il direttore della fotografia con cui lavoro dal 1987, cerchiamo sempre di fare nuove cose e di sorprenderci a vicenda. In questo modo, tutto risulta più divertente.

Nel libro, ci sono degli schermi in cui lui si vede nel futuro. Lei non ha mantenuto questo elemento…
Ci ho provato, abbiamo girato delle scene in cui lui si vede nel futuro, ma sembravano false, come se fossero una rappresentazione finta. Penso che le possibilità fossero due: o sottolinei molto questo elemento o lasci perdere. Se Eric Packer vede nel futuro, diventa una caratteristica importante del personaggio e in un certo senso avevo già affrontato questo aspetto ne La zona morta. Abbiamo mantenuto soltanto una frase legata a questo concetto delle profezie, “perché vedo delle cose che non sono ancora avvenute?”. E’ legato al fatto che lui è un miliardario.

Come è stata la fase di casting?
Decisamente interessante. Come avvenuto già per A Dangerous Method, gli attori non erano quelli a cui avevo pensato all’inizio. In entrambi i casi, si è trattato di reinventare la pellicola. Per Cosmopolis, Colin Farrell doveva incarnare il ruolo principale, mentre Marion Cotillard era stata scelta per interpretare Elise, la moglie di Eric Packer. In seguito, Farrell aveva un altro progetto di lavoro e Marion Cotillard è rimasta incinta. Quindi, ho cambiato la sceneggiatura, adattandola a un attore più giovane, cosa che la rendeva più fedele al libro, e ovviamente sua moglie doveva essere più giovane. In questo modo, il risultato è migliore. Il problema è che se hai preso degli accordi per i finanziamenti basandoti sul nome di un attore e questo abbandona il progetto, diventa un inconveniente economico, più che artistico. Ma questo non è stato un gran problema per noi.

Ha pensato subito a Robert Pattinson?
Sì. Il suo lavoro su Twilight è interessante, anche se limitato a un particolare ambito. Ho anche visto Little Ashes e Remember Me, che mi hanno convinto che potesse incarnare Eric Packer. E’ un ruolo difficile, lui appare in ogni inquadratura, come non penso mi sia capitato in nessun film che avevo diretto. La scelta di un attore è una questione di intuito, non ci sono regole o istruzioni precise da seguire.

Lei ha insistito molto sul fatto che gli attori pronunciassero le battute proprio come erano scritte…
Sì, è così. Si può realizzare un film con l’idea di far improvvisare gli attori, tanti grandi registi sono in grado di riuscirci, ma io avevo un punto di vista diverso. Non credo che sia compito degli attori scrivere i dialoghi, in particolare per questo film, considerando che i dialoghi di Don DeLillo erano la ragione per cui volevo realizzare la pellicola. Detto questo, gli attori avevano comunque un grande margine d’azione, considerando che il tono e il ritmo della discussione erano compito loro. E’ stato molto interessante il lavoro di Robert Pattinson, perché molti personaggi entrano nella limousine e quindi ci sono vari attori. Così, lui doveva recitare in maniera diversa a seconda di chi aveva di fronte.


INTERVISTA CON DON DeLILLO

Come è nato il progetto di adattare Cosmopolis?
Io in origine non ero coinvolto. Nel 2007, Paulo Branco mi ha invitato a prendere parte all’Estoril Film Festival, che lui coordina in Portogallo. Lui ama avere come giurati delle persone che non fanno parte dell’industria del cinema, come scrittori, pittori o musicisti, ed è un’esperienza molto piacevole discutere dei film in questo modo. Nell’occasione, mi ha parlato del progetto, che è nato da un’idea di suo figlio Juan Paulo. Lui si era già assicurato i diritti del libro, io conoscevo la sua carriera di produttore e l’impressionante lista di grandi realizzatori con cui aveva lavorato, quindi ho accettato. Poi è sorta la questione del regista e credo che anche in questa occasione sia intervenuto Juan Paulo, suggerendo David Cronenberg. In breve tempo, Cronenberg ha accettato e l’accordo è stato siglato. E’ avvenuto tutto rapidamente.

Ha letto la sceneggiatura?
Sì ed era incredibilmente fedele al libro. Ovviamente, Cronenberg ha tagliato alcune scene che non funzionavano, ma è stato assolutamente fedele allo spirito del romanzo. Io non avevo intenzione di fare dei commenti quando l’ho letta, perché era diventato un film di Cronenberg. E’ il mio romanzo, ma è la sua pellicola, su questo non ci piove. Poi, a fine marzo, ho visto il film terminato a New York e sono rimasto impressionato. Non ci sono compromessi. L’ho amato fin dall’inizio, con i titoli di testa. E’ stata un’idea incredibile cominciare con Jackson Pollock e terminare con Rothko. E la scena finale, con Robert Pattinson e Paul Giamatti, è incredibile!

Cosa ne pensa dell’idea di adattare questo romanzo per il grande schermo?
Nel corso degli anni, ho ricevuto molte proposte per adattare alcuni miei libri, ma non si sono concretizzate. Pensavo che adattare Cosmopolis sarebbe stato particolarmente difficile, considerando che la maggior parte dell’azione si svolge all’interno di una macchina, cosa che non funziona bene al cinema. Non soltanto Cronenberg ha rispettato questa scelta, ma ha anche girato nella limousine alcune scene che originariamente avvenivano altrove, come per esempio quella con Juliette Binoche.

Il cinema rappresenta una componente importante nei suoi libri, ma quasi mai per dei riferimenti a un particolare film o regista. Più che altro, è l’idea di cinema, piuttosto che quella di una personalità individuale…
In effetti, la cosa veramente importante è la sensibilità cinematografica, piuttosto che alcuni film in particolare. Sono cresciuto nel Bronx, dove eravamo abituati a vedere western, musical e gangster movie – a quell’epoca non sapevo cosa fosse un film noir. Poi, mi sono trasferito a Manhattan e ho scoperto Antonioni, Godard, Truffaut, i grandi registi europei, così come quelli giapponesi, a cominciare da Kurosawa. Per me è stata una rivelazione: la potenza di quei film era pari a quella dei migliori romanzi! Molte persone pensano che negli anni sessanta io abbia lasciato il lavoro in un’azienda di pubblicità per scrivere il mio primo romanzo. Non è vero, l’ho abbandonato per poter andare al cinema ogni pomeriggio. Solo in seguito mi sono messo a scrivere seriamente.

Allora ha scritto Americana, la storia di un uomo che lascia il lavoro nell’industria dei mass media per dirigere una pellicola…
Esattamente! (Ride) E da quel momento, vivendo vicino a New York, ho continuato a scoprire molti nuovi film che sarebbe stato impossibile vedere nei cinema di qualsiasi altra città degli Stati Uniti. A un certo punto, ho vissuto in Grecia per tre anni ed ero a digiuno di film, perché molte pellicole di qualità non arrivavano e a me mancavano molto. Comunque, sono sempre stato molto attento a quello che avviene nell’industria del cinema e ritengo che ultimamente Il cavallo di Torino di Bela Tarr, The Tree of Life di Terrence Malick o Melancholia di Lars von Trier siano state delle pietre miliari.

Lei è italoamericano. Sente una particolare affinità con la generazione di grandi registi italoamericani che sono emersi negli anni settanta e che fanno parte della sua generazione?
Mi è piaciuto molto Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all’inferno. Sono cresciuto nel Bronx, mentre Scorsese a Lower Manhattan, Little Italy, ma noi condividevamo lo stesso linguaggio, il modo di parlare e di comportarci. Inutile dire che conoscevo bene gli attaccabrighe come il personaggio di De Niro, con alcuni di loro avevo un rapporto stretto. Ma probabilmente, la mia esperienza più significativa risale a diverso tempo prima. Ero molto giovane quando ho visto Marty vita di un timido di Delbert Mann, ambientato nei posti in cui vivevo, nella parte italiana del Bronx. La pellicola veniva proiettata in un cinema di Manhattan e mi ricordo che eravamo otto ragazzi, tutti stretti in una macchina per andare a vederlo. La scena iniziale si svolge ad Arthur Avenue. Era la nostra zona! Vedere la nostra strada e i negozi che frequentavamo in un cinema era incredibile. E’ come se fosse stata riconosciuta la nostra esistenza. Non avremmo mai pensato che qualcuno avrebbe girato una pellicola in queste strade.

Come ha reagito quando ha saputo che David Cronenberg avrebbe adattato il suo romanzo?
Ero felicissimo. Non ho visto alcuni dei suoi primi film, ma almeno dai tempi di Inseparabili non ne ho perso neanche uno. Mi piacciono in particolare Crash ed ExistenZ, così come A History of Violence. All’inizio, mi chiedevo se era il tipo di materiale che realizzava normalmente. Non ne ero convinto, ma mi sembrava una cosa positiva, un’opportunità per lui di affrontare un argomento in maniera originale. Tuttavia, ero sicuro che potesse rendere il contenuto del libro visivamente impressionante, sorprendendo tutti, compreso me stesso. Non sapevo cosa aveva in mente, ma ero sicuro che non sarebbe stato convenzionale.

Ha visto la sua versione de Il pasto nudo?
Sì ed era impressionante! Esattamente il tipo di sorpresa che speravo di avere con Cosmopolis.

Quando ha incontrato David Cronenberg?
Anche lui era a Estoril, ma non abbiamo parlato molto del progetto di adattare il libro, io preferivo non trattare l’argomento. Abbiamo affrontato il fatto che sarebbe stato girato soprattutto a Toronto, vedevo che lui sapeva bene cosa stava facendo e per me andava bene così. Probabilmente, abbiamo parlato dell’attore protagonista, ma alla fine non ha più partecipato. Quando più tardi Paulo mi ha parlato di Robert Pattinson, ho pensato che finalmente mia nipote di quattordici anni sarebbe stata fiera di me.

Il libro è stato pubblicato nel 2003, la pellicola esce nel 2012. Non ha paura che questo intervallo di tempo possa rappresentare un problema?
La cosa interessante è che, quando le riprese erano quasi finite, è emerso il movimento "Occupy Wall Street", che riecheggia i temi del film. Penso che sia solo l’inizio e che non sia finita qui. Vija Kinski (interpretata da Samantha Morton nella pellicola), la Responsabile della Teoria di Eric Packer, spiega al suo capo che le persone che protestano sono il frutto di Wall Street e del capitalismo. A suo avviso, loro contribuiscono a dare nuova vita e ad aggiustare il sistema, permettendo a Wall Street di cambiare di fronte a un contesto nuovo e a un mondo più grande. A mio avviso, è proprio quello che sta avvenendo: "Occupy Wall Street" non ha ridotto i bonus astronomici che ottengono i dirigenti aziendali.

Qual è stata la sua prima reazione vedendo il film? Ha trovato dei nuovi elementi che non erano presenti nel libro?
Io ero eccitato. Ci sono anche dei momenti divertenti e sono rimasto impressionato dal finale, che porta la pellicola a un altro livello. Quello che avviene tra Eric Packer e Benno Levin, il personaggio interpretato da Paul Giamatti, è contrassegnato dal rispetto reciproco, qualcosa che c’era già nel libro, ma che nel film risulta più evidente. In effetti, David ha preso la decisione giusta tagliando i due interventi di Benno Levin prima che loro si incontrino. Questi due capitoli andavano bene per il romanzo e non per la pellicola.

Il suo nome appare nei titoli di coda per una canzone presente nel film…
Sì, ci ho fatto caso! Ho scritto il testo per il rapper Sufi nel libro, che è stato utilizzato anche nel film. E’ l’inizio di una nuova carriera per me, come autore di testi rap. Sono veramente orgoglioso.

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25 maggio 2012
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