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I neonati che faranno l'Italia

Saranno molti i nuovi nati stranieri che contribuiranno a fare l'Italia del domani

17 agosto 2004

I dati forniti dal governo parlano di una diminuzione nell'ultimo anno del flusso migratorio verso l'Italia, inoltre alcuni dei paesi che negli anni scorsi rappresentavano i porti emblema per le partenze degli immigrati clandestini, come per esempio l'Albania, non rappresentano più né un emergenza, né tanto meno una minaccia.
Regioni come la Puglia e in generale tutta la costa adriatica, negli ultimi anni non hanno dovuto più misurarsi con gli arrivi di massa che per la maggior parte provenivano appunto dai paesi del conflitto balcano.

Il problema, quindi, si è sì mitigato ma certo non risolto. Ad una diminuzione di arrivi di immigrati corrisponde una maggiore  azione di rimpatrio che riesce a stabilire, bene o male, una sorta di equilibrio di massima precarietà. In altre regioni italiane, sempre protagoniste dell'immigrazione clandestina, la miglioria del fenomeno si riesce difficilmente a distinguere, per esempio in Sicilia diventa oggettivamente difficile appurare questa nuova tendenza, visto che a Lampedusa (Ag) da giugno gli sbarchi hanno avuto una cadenza quotidiana, sbarchi che sono la cartina a torna sole dell'attuale situazione in medioriente. I disperati che riempiono le carrette della speranza, che partono dalla Libia, dall'Egitto o dal Marocco, sono infatti i derelitti del conflitto iracheno, israelo-palestinese o di quelle guerre invisibili che da anni imperversano in Sierra Leone e in Sudan.

L'immigrazione per il nostro paese non ha, comunque, solo effetti negativi, anzi l'inserimento di un numero sempre maggiore di stranieri nel nostro tessuto nazionale contribuisce a mantenere un ottimale equilibrio demografico altrimenti in crisi.
E sono quasi il 60% le madri immigrate che vuole crescere i propri figli in Italia, madri che si scontrano però con una serie di serie difficoltà, una delle quali è rappresentata dalla marginalità sociale espressa da alcuni dati: infatti più del 65% delle donne non lavora e solo il 19% frequenta luoghi di svago. L’8% si rivolge a guaritori o familiari per le cure. Si affermano le famiglie interetniche.

Analizzando il problema in una città come Milano, luogo dove  il forte incremento delle nascite di bambini stranieri (+964% alla Clinica Mangiagalli in 20 anni) contribuisce al mantenimento di quell’equilibrio demografico di cui parlavamo prima, l'incremento della popolazione di immigrati è causa di importanti cambiamenti sociali.
"Il 58,33% delle madri straniere dichiara di avere intenzione di allevare i propri figli in Italia, inserendoli nel sistema educativo e in quello socio-sanitario", dice Luca Visconti, coordinatore del Corso di perfezionamento per manager dell’immigrazione della SDA Bocconi, che ha condotto con Jennifer Cighetti la valutazione del progetto Anahì, ideato da Gabriele Ferraris, responsabile dell’Ambulatorio di Neonatologia della Clinica Mangiagalli e dalla cooperativa di mediazione linguistico-culturale Kantara, con il contributo della Regione Lombardia e del Comune di Milano, per stimolare l’inserimento sociale delle madri straniere. Nel corso della valutazione sono state condotte 103 interviste ad altrettante madri straniere che hanno partorito tra il 2003 e il 2004 (campione pari a poco meno del 10% delle utenti del servizio).
"Se quasi due donne su tre coltivano un progetto migratorio di lungo periodo, l’orientamento emergenziale deve lasciare il posto a interventi di sistema", sostiene Visconti.
 
Il 12% della popolazione residente a Milano è costituita da stranieri (il dato nazionale, che si aggira intorno al 5%, ha spinto l’Italia, nel 2003, a diventare il terzo paese europeo per presenza di immigrati, superando la Gran Bretagna) e le donne straniere che partoriscono in una clinica centrale come la Mangiagalli sono aumentati di quasi dieci volte in meno di 20 anni, dalle 133 del 1984 alle 1.230 del 2002. Questo stimola una rilevazione dei bisogni di questa fascia di utenza e la conseguente messa a punto di un nuovo modello di risposta da parte del servizio.
Il dato essenziale è la marginalità sociale in cui finiscono per cadere le madri straniere. Quasi il 10% di esse non è in possesso di un permesso di soggiorno, mentre il tasso di disoccupazione è del 25%, contro l’8,6% dei padri Se si aggiunge il 38,54% di esse che si dichiara casalinga, si desume che solo il 36,46% ha un lavoro extra-domestico. La scolarità è, in media, piuttosto ridotta, con il 34,74% delle donne in possesso, al più, del diploma di scuola media inferiore. La marginalità sociale è, però, ancora più grave di quella lavorativa, dal momento che solo il 19% delle madri dichiara di utilizzare i luoghi di svago cittadini.

Da tutto ciò deriva una difficoltà di accudimento dei figli dichiarata dal 64,79% del campione. La ricerca di soluzioni alternative a quelle, di non facile utilizzo, offerte dal sistema sanitario milanese spinge l’8% delle madri straniere ad affidarsi a guaritori o familiari per le cure ai figli, una percentuale preoccupante, ma comunque ridotta rispetto al 25,39% registrato nei paesi di provenienza. Le difficoltà dichiarate riguardano la scarsa conoscenza della lingua italiana e del sistema sanitario, ma anche l’eccessivo costo delle cure. Tra le difficoltà tipiche si riscontra quella dell’incompatibilità dei servizi sanitari con gli orari di lavoro, che spinge molte madri immigrate a utilizzare il pronto soccorso anche quando non sarebbe necessario.
La rilevazione ha evidenziato un preliminare germoglio di convivenza interetnica, a Milano, tra esponenti di comunità straniere diverse. L’11% delle madri dichiara, infatti, di parlare in famiglia una lingua diversa dalla propria, ma comprensibile all’intero nucleo familiare, a dimostrazione della presenza di persone provenienti da paesi diversi.

Contrariamente ai cliché più diffusi, non sono né le donne musulmane, né quelle dell’Est Europa a soffrire dei maggiori problemi sociali, ma quelle sudamericane, il cui quadro è definito "allarmante" dai mediatori che le hanno intervistate. La più recente migrazione dall’America Latina evidenzia tratti di povertà sociale che pre-esistono al processo di immigrazione in Italia, tali da pregiudicare all’origine le possibilità di radicamento anche sul territorio d’arrivo.

Il lavoro di mediazione linguistico-culturale e gli sforzi compiuti dalle realtà sanitarie hanno già raggiunto alcuni importanti risultati, come lo stimolo all’allattamento al seno dei propri figli, diffuso presso l’82% delle madri nonostante una marginalità economica che le costringe, in molti casi, a tornare al lavoro anche dopo sette soli giorni dal parto. Anzi, si registra un’inversione di tendenza tra le donne filippine: oggi tendono a tenere in Italia i nuovi nati, che fino a poco tempo fa venivano rimpatriati in tutta fretta.
 I buoni risultati ottenuti dal progetto Anahì, condotto presso la clinica Mangiagalli, indicano quattro possibili direzioni per un intervento efficace sulla marginalità sociale delle madri immigrate.
 
L’intervento sui moltiplicatori sociali è un meccanismo simile al coinvolgimento degli opinion leader nelle campagne di comunicazione: si tratta di focalizzare gli interventi sui rappresentanti delle comunità, perché questi provvedano poi alla divulgazione al suo interno.
L’ulteriore estensione della rete di servizi mira a un migliore coordinamento con i pediatri di base e con altri servizi attivi nel contesto extra-sanitario. Anche le madri che utilizzano il sistema sanitario per il parto tendono, infatti, a non farvi più ricorso in seguito. Gli interventi promossi da Anahì sono riusciti a mettere in rete ambulatorio ospedaliero e consultori di zona, ma la rete va estesa.
 L’accompagnamento ai servizi serve a far superare l’istintiva diffidenza nutrita verso i servizi sanitari. Una donna, accompagnata una volta, ha maggiori probabilità di tornare a utilizzare un servizio e potrebbe consigliarlo ad altre.
I centri di ascolto e gli spazi d’incontro sarebbero un forte stimolo alla socializzazione, ancora piuttosto carente.
 
I nati stranieri nella Clinica Mangiagalli
1984      133
1992      446
2000    1063
2001    1119
2002    1230

Le nazionalità prevalenti
Filippine       28%
Sri Lanka       23%
Egitto          22%

Le religioni più diffuse
Cattolica       46%
Buddista        17%
Musulmana       16%


La leggenda di Anahì
Anahì, protagonista di un mito argentino, è il simbolo della fierezza degli indio e dell’orgoglio per la propria cultura. Si racconta che vivesse seguendo i ritmi della natura, nel suo villaggio, finché "nella selva non risuonò un rumore più violento di quello del fiume e più potente di quello delle cascate": la marcia dei conquistadores. Il villaggio non si arrese e fu devastato, Anahì fatta prigioniera e condannata al rogo. Morì cantando un’invocazione alla natura e dalle sue ceneri sorse il ceibo, la pianta nazionale argentina.

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17 agosto 2004
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