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J. Edgar

Eastwood e Di Caprio nel biopic dell'uomo che fu il più potente e inquietante degli Stati Uniti d'America

09 gennaio 2012

Noi vi segnaliamo...
J. EDGAR
di Clint Eastwood

La vita pubblica e privata di J. Edgar Hoover, capo dell'FBI per circa cinquant'anni e sotto ben otto Presidenti degli Stati Uniti. Quello che è stato considerato a lungo come l'uomo più potente di tutta l'America, non si fermò di fronte a nulla pur di proteggere il suo Paese, spesso anche infrangendo le regole. Un racconto sulla sua vita, pubblica e privata, e sulle relazioni di un uomo che poteva distorcere la verità con la stessa facilità con la quale la sosteneva e la affermava: un'esistenza dedicata alla sua idea di giustizia, che spesso tendeva verso il lato oscuro del potere.

Anno 2011
Nazione USA
Produzione Clint Eastwood, Brian Grazer, Ron Howard, Robert Lorenz per Malpaso Productions, Imagine Entertainment, Wintergreen Productions
Distribuzione Warner Bros. Pictures Italia
Durata 137'
Sceneggiatura Dustin Lance Black
Regia Clint Eastwood
Con Leonardo Di Caprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Josh Lucas, Judi Dench, Gunner Wright, David Cooper, Jack Donner, Jeffrey Donovan, Christopher Shyer
Genere Biografico


In collaborazione con Filmtrailer.com

La critica
"Il primo evento annunciato del 2012 è un grande film a metà, diviso fra momenti memorabili e inutili insistenze. La biografia più privata che pubblica di un personaggio che costruì un impero sui segreti. Il ritratto di un omuncolo che nemmeno Leonardo Di Caprio riesce a rendere affascinante, ma fu per quasi mezzo secolo il potente più temuto d'America. J. Edgar Hoover, big boss dell'Fbi dal 1924 al 1972, era la doppiezza in persona. L'uomo doveva essere ambiguo, tormentato, forse segretamente omosessuale. Ma il poliziotto era tenace, spietato, ossessivo, dotato di intuizioni a suo modo geniali che avrebbero rivoluzionato le tecniche di indagine come quelle di gestione del potere - occulto - derivante dall'accumulo di informazioni riservate. Fare un film su di lui significava trovare il modo di convertire la duplicità in ricchezza, l'ambiguità in complessità; ovvero trovare tracce di grandezza in cose meschine come odio, paranoia, intimidazione, ricatto. Ci voleva Shakespeare: infatti lo script brillante quanto pletorico di Dustin Lance Black, già sceneggiatore di 'Milk' per Gus Van Sant, moltiplica i flashback, i risvolti torbidi, i momenti emblematici, ma trova di rado l'equilibrio fra pubblico e personale. Curioso che Clint Eastwood, celebre per la forza e la classicità del linguaggio, si sia imbarcato in questo biopic zavorrato dall'irrimediabile antipatia del protagonista. E dalla chiave scelta per illuminarne la personalità: la dipendenza dalla figura materna, un'arcigna, manipolatoria Judi Dench, con il suo inevitabile (troppo inevitabile) corollario. (...) Peccato che volendo illuminare per forza anche i lati più in ombra del personaggio, 'J. Edgar' sfiori a tratti l'ovvio e addirittura il ridicolo (possibile mettere in bocca a Hoover la battuta di Wilde, «Uccido tutto ciò che amo?»). Nixon, i Kennedy e gli altri protagonisti lasciati sullo sfondo, si sono presi la loro vendetta."
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero'

"Cosa proverà Leonardo Di Caprio, rivedendosi sullo schermo in 'J. Edgar'? Nel nuovo film di Clint Eastwood interpreta il fondatore-direttore dell'Fbi J. Edgar Hoover in un arco narrativo che copre oltre mezzo secolo. La squadra di truccatori capeggiati da Jack Taggart (Oscar sicuro, guai se non glielo danno) ha compiuto su Di Caprio un lavoro pazzesco, ma l'attore ci ha messo del suo, lavorando su gesti, sguardi e camminate fino a sembrare veramente un anziano malmesso. Da un lato gli sembrerà, rivedendosi, di osservare il proprio (futuro) invecchiamento; dall'altro dovrà essere orgoglioso del proprio lavoro. Dev'essere, al tempo stesso, gratificante ed inquietante.

La prova prodigiosa di DiCaprio e degli altri attori (Naomi Watts, Armie Hammer e Judi Dench non sono da meno) non deve far passare in secondo piano i valori cinematografici e politici di 'J. Edgar'. (...) Eastwood e Black sono espliciti, ma con grande finezza. Anche le due scene più estreme del film sono risolte con gusto, sapienza drammatica e - oseremmo dire - affetto, più che rispetto. (...) Più che un 'j'accuse' all'Fbi e alle sue ingerenze nella politica Usa, 'J. Edgar' è un film sulla manipolazione, sui ricatti, sulla spasmodica ricerca di informazioni su cui la politica è costruita. Il che fa di Hoover un personaggio paradossalmente modernissimo, e non solo per le geniali tecniche di indagine da lui introdotte: l'inventore della politica-spazzatura e di tutte le macchine del fango in azione, ieri oggi e domani, è lui. Il film è quindi importante e densissimo, anche se piuttosto complesso per la sua struttura in flash-back fin troppo intricata. Soprattutto la prima mezz'ora è faticosa e un rapido ripasso di storia americana potrebbe aiutare. Film molto bello, ma 'Mystic River', 'Million Dollar Baby' e 'Gran Torino' erano un'altra cosa."
Alberto Crespi, 'L'Unità'

"Dopo una serie di documenti di contro-informazione new left e anni 70 molto dettagliati e critici su questo 'metodo Hoover' (...), e i capolavori polemici di Larry Cohen e Emile De Antonio, anche Clint Eastwood, controstorico dell'America da sempre, da Callaghan a Iwo Jima, da Grenada alla depressione, da Charlie Parker al genocidio west, capace di coniugare l'analisi storica con le sue profonde implicazioni immaginarie e simboliche, come neppure Arthur M. Schlesinger jr. è stato mai capace di fare, torna a Hoover (impersonato - con un ovvio sfoggio di make up pesante, alla 'Il divo', spesso davvero imbarazzante - da un feroce e delicatissimo Leonardo Di Caprio), monumento rimosso dell'essere americano, ma modificando tono e punto di vista.

Non tanto perché in 'J. Edgar' Eastwood racconta la lunga e mai interrotta storia d'amore virile e platonica tra il capo dell'Fbi e il suo braccio destro, costringendo il pubblico a stare sempre dalla parte di un innamorato frustrato nelle sue più represse passioni e pulsioni (da una educazione puritana che ne ha deformato personalità e sessualità). Ma perché il punto di vista mai liberal del repubblicano lincolniano in stato di allarme Clint (...) è assai più convincente quando sentenzia che Hoover sembra come lui ma è all'opposto, è il sintomo di un morbo fanatico e fondamentalista, di una malattia pericolosa e profonda che ha avvelenato lo stesso individualismo, drastico e democratico americano, e che forse è all'origine della profonda crisi di civiltà che sta distruggendo il baricentro spirituale del suo paese."
Roberto Silvestri, 'Il Manifesto'

"'J. Edgar', 'biopic' di Clint Eastwood su J. Edgar Hoover, l'onnipotente capo dell'FBI per quasi mezzo secolo. In America è appena uscito e già i critici parlano di Oscar. E i 'vecchi' del Federal Bureau tirano un sospiro di sollievo. II loro mito non ne esce malissimo. Avevano una gran paura che Dustin Lance Black, lo sceneggiatore di 'Milk', lo trattasse da checca scatenata, e invece il côté omosessuale, pur presente ed evidente, è accostato con indubbia delicatezza. (...) Nel film c'è tutto. Eppure quest'uomo odioso non arrivi mai a odiarlo nel corso dei 140 minuti. Per J. Edgar, Eastwood nutre evidentemente l'odio amore che Orson Welles portava al magnate di 'Quarto potere', che Eisenstein nutriva per 'Ivan il terribile'. Come in 'Ivan', Clint fa salire il suo antieroe al trono in un Paese che sembra in preda al caos, giustificando in parte la serie di carognate che vedremo fare a Hoover (come a dire, in un mondo di carogne per metter ordine ci voleva la carogna e mezza).

In realtà Eastwood da buon americano ha un innato rispetto per chiunque sappia fare bene il proprio 'job', il proprio lavoro. E Hoover lo fece benissimo. Anche se i suoi metodi farebbero rivoltare le budella a qualunque persona perbene. Anche le budella di Clint? Beh, nel film si nota un'omissione a dir poco sospetta. Non compare nemmeno di sfuggita il personaggio di Melvin Purvis, il 'duro' dell'FBI, l'uomo che sparò a John Dillinger e a Pretty Boy Floyd, che mise in ginocchio Machine Gun Kelly. Con Purvis, Hoover tirò fuori il suo verminaio. Geloso della fama del suo agente, a forza di 'mobbing' lo fece cacciare dall'FBI, poi con l'intimidazione e il ricatto gli bruciò un'altra carriera. Purvis finì per spararsi con la pistola che aveva ucciso Dillinger. Nel film non c'è. Ma perché?"
Giorgio Carbone, 'Libero'

Candidato ai Golden Globes 2012 per Miglior attore protagonista (Leonardo Di Caprio, Film Drammatico)

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09 gennaio 2012
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