Metafisica e canzonette
La Sicilia tra vita e sogno nel film d'esordio di Franco Battiato, nelle sale dal 16 maggio
Una riflessione che porta la firma di Manlio Sgalambro, filosofo, coautore della sceneggiatura oltre che personaggio e voce pensante in tutto il film. Ma non bisogna lasciarsi ingannare da queste parole d'"ingresso" alla narrazione: nel film c'è molta vita (e il morire delle cose), ma anche molta trasfigurazione.
Diciamolo subito: rispettando le attese del pubblico che conosce il compositore, Perduto amor non svolge un tema partendo da un'idea rigida, non racconta una storia chiusa, definitiva, razionale e sequenziale, ma sperimenta la possibilità di farlo, introduce, suggerisce il narrabile. Proprio come nella sua musica, Battiato intreccia linguaggi e suoni, fotografie e visioni, ordinario e extraordinario, alto e basso, e appunto il miscuglio di vita e sogno. Ma non ci si aspetti l'onirico o un rumore confuso: tutto quello che accade è dentro una cornice narrativa semplice e lineare, tutto è guardato con lucidità, concentrazione, sapienza filologica. Insomma, con quella passione metafisica che di Battiato è la cifra.
Ma veniamo alla storia. Idealmente diviso in tre parti, il film racconta dell'educazione di Ettore, un bambino di 8-9 anni appassionato di musica. L'epoca, tra la metà degli anni '50 e la metà degli anni '60, lo sfondo quello di una Sicilia borghese, solare, dominata dal femminile, dal lavoro sordo e potente delle donne. La cronologia, scandita dalle epoche sanremesi e dai refrain delle canzoni di successo, parte dall'edizione del festival del 1955 all'autunno-inverno dello stesso anno. Un'eco musicale accompagna il percorso educativo del ragazzo, che si nutre della saggezza concreta dell'universo femminile che lo circonda e degli insegnamenti del suo mentore, un colto aristocratico del paese.
Le suggestioni e la protezione familiare e culturale permettono a Ettore, quando raggiunge i vent'anni, in pieno boom economico - la modernità entra con un giradischi che si sostuisce alla chitarra suonata in una festa casalinga - di seguire la sua strada e le sue passioni. Musica, e filosofia. Per questo, e siamo nella terza parte del film, Ettore lascia la Sicilia, terra di nutrimento spirituale ma arida di possibilità concrete, per andare a Milano. Scopre una città piena di fermenti, si avvicina a esperienze esoteriche, conosce le filosofie alternative e orientali, la seduzione del tantra e la profondità della meditazione. Inizia lo sperimentalismo dei Settanta, si annusa l'aria della trasgressione e della contestazione sullo sfondo. Cambia idea: diventerà scrittore, e facilmente. Per tornare in visita a casa, richiamato dalla battuta finale, ancora del professor Sgalambro seduto al tavolino di un bar in una piazza assolata: "La Sicilia esercita un diritto di appartenenza. Per favore, una granita alla mandorla".
Fonte: Repubblica.it
di ALESSANDRA RETICO