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Miele

L'Italia ha una nuova, brava regista: Valeria Golino, già brava e coraggiosa attrice

08 maggio 2013

Noi vi segnaliamo...
MIELE
di Valeria Golino

Irene è una ragazza di trent'anni, che ha deciso di mettere la sua vita al servizio dei malati terminali che vogliono abbreviare la propria agonia e le sofferenze; lavora in clandestinità, con il nome in codice 'Miele'. Tutto sembra procedere per il verso giusto fino all'incontro con l'ingegnere Carlo Grimaldi, un settantenne in buona salute, che ritiene semplicemente di aver vissuto abbastanza, che metterà in discussione le convinzioni e l'operato di Irene...

Anno 2013
Nazione Italia, Francia
Produzione Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri per Buena Onda con Rai Cinema, in  coproduzione con Les Films des Tournelles, Citè Films
Distribuzione BIM
Durata 96’
Regia Valeria Golino
Tratto dal romanzo "A nome tuo" di Mauro Covacich (ed. Einaudi)
Soggetto e Sceneggiatura Francesca Marciano, Valeria Golino, Valia Santella
Con Jasmine Trinca, Carlo Cecchi, Libero De Rienzo, Vinicio Marchioni, Iaia Forte
Genere Drammatico


In collaborazione con Filmtrailer.com

La critica
"'Miele' è il primo film da regista di Valeria Golino, prodotto dal suo compagno Riccardo Scamarcio e da Viola Prestieri. Il film è piaciuto subito a Thierry Frémaux, direttore di Cannes, ed è il solo italiano invitato a 'Un certain regard'. Valeria ha ricostruito il personaggio di Irene-Miele affidando la parte a Jasmine Trinca dalla grazia nervosa e androgina, e ne ha fatto una trentenne aspra ma capace di tenerezza (...). 'Miele' è un film attuale, quasi di cronaca, che evita con intelligenza ogni presa di posizione di parte, religiosa o di convenienza politica."
Natalia Aspesi, 'La Repubblica'

"Non si tratta certo di un film euforizzante, ma è ovvio che il cinema non può e non deve relegarsi in paratie stagne. Valeria Golino, personalità intensa nonché attrice fuori standard, esordisce dietro la macchina da presa con «Miele» ispirandosi liberamente al romanzo 'A nome tuo' del giornalista-scrittore Mauro Covacich: sicuramente una prova di coraggio sia, appunto, per la tematica affrontata, sia per i notevoli e insidiosi problemi espressivi posti dalla direzione degli attori e la messinscena. La graziosa quanto spigolosa Jasmine Trinca è, infatti, la trentenne Irene soprannominata Miele che, in base agli input ricevuti da una misteriosa e ovviamente illegale organizzazione aiuta a morire persone affette da malattie terminali o inguaribili. Non siamo, però, introdotti in un cinema civile che, alla maniera dell'ultimo titolo di Bellocchio, costringa lo spettatore a schierarsi pro o contro la filosofia e la pratica dell'eutanasia: alla Golino interessa molto di più scandagliare i recessi psicologici di una giovane donna che, per compensare in qualche modo la missione di angelo del suicidio assistito ovvero dispensatrice di morte terapeutica, conduce la propria esistenza in una strettoia soffocante, arida (specie in materia di amore e sesso) e per forza di cose nichilista. Non è il caso, dunque, di lasciarsi andare alle solite e sterili polemiche, visto che ai nostri occhi il film e la neoregista appaiono distanti dai format tv in cui si scaricano i livori di fazione per la gioia e il cachet di noti toreri-conduttori: tanto è vero che un difetto del film ci sembra proprio quello di sovradimensionare l'interesse del ritratto femminile, sacrificando di conseguenza la vividezza e la dialettica drammaturgiche in nome e per conto di annotazioni psicologistiche alquanto autoreferenziali. Irene deambula, dunque, nelle sequenze inserendo qualche dubbio sul pathos della Trinca e soprattutto lasciando un po' troppo allo spettatore il compito di decifrare le domande (come si affronta il sommo tabù, come un gesto estremo può sfuggire al suo implicito cinismo, come il cinema deve realizzarsi nella 'morte al lavoro' preconizzata da Cocteau) che indirettamente gli sta proponendo. Nonostante aspiri a diventare il cuore del film, in questo stesso senso, l'irrompere nella sua vita dell'ingegnere che vuole farla finita senza essere minimamente malato aumenta l'impressione di un eccesso retorico-formalistico tipico del cinema italiano d'autore (anche perché, al contrario dei tanti che l'ammirano senza se e senza ma, non riusciamo mai a credere al Carlo Cecchi cinematografico). Nel complesso, senza volere cedere alle cerimonie che pure la Golino meriterebbe, si tratta di un esordio tra luci e ombre che peraltro non resterà senza alcun dubbio infecondo."
Valerio Caprara, 'Il Mattino'

"E' nata una regista, ed è davvero brava! Basta vedere come l'esordiente Valeria Golino si è appropriata della materia del romanzo 'A nome tuo' di Mauro Covacich (più esattamente la seconda parte, «Musica per aeroporti»), facendone una cosa sua pur in spirito di apparente aderenza alla pagina. (...) Tema scottante quello dell'eutanasia, ma il film evita la chiave del dibattito: per la Golino la questione è letteralmente incarnata dal personaggio Miele, respira attraverso la sua pelle, i suoi tremori, le sue tensioni, i dispersivi aneliti vitalistici che le permettono di sopravvivere al continuo faccia a faccia con la morte. D'altro lato, la figura dell'anziano Grimaldi - intenzionato a suicidarsi perché stanco di esistere - assume sullo schermo una statura notevolissima, non solo in quanto lo impersona uno straordinario, raffinato Carlo Cecchi; ma perché è lui il motore drammaturgico del cambiamento interiore di Miele. E nel ruolo, una Jasmine Trinca androgina, malinconica, determinata per la prima volta ci convince davvero."
Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa'

"(...) il cinema italiano ha una regista in più: l'esordio di Valeria Golino va segnalato non solo per l'importanza del tema (i suicidi assistiti, ispirandosi al libro di Mauro Covacich 'A nome tuo') ma anche per la qualità cinematografica del tutto. Di questo vorremmo, brevemente, parlare: la sceneggiatura minimale di Valia Santella e Francesca Marciano poteva dar vita, sulla carta, a una non-storia, perché in fondo nulla di eclatante accade nella vita di Irene... se non le morti con le quali continuamente si confronta, da lei assistite con una «pietas» che per altro è tutta umana, per nulla religiosa. La tensione narrativa, invece, non viene mai meno grazie a una regia essenziale ma molto solida, a una recitazione di alto livello (Jasmine Trinca bravissima, Carlo Cecchi superlativo) e alla scelta di ambienti volutamente «anonimi», che raccontano sotto traccia un'Italia piccolo-borghese alla disperata ricerca di valori che aiutino ad affrontare il momento estremo. Un film che non sembra un'opera prima, quindi? Lo si ripete sempre quando un'opera prima è convincente, è un luogo comune della critica del quale bisognerà liberarsi. Diciamo invece che Valeria Golino compie una scelta coraggiosa, come un suo collega (Luigi Lo Cascio) che ha, pure lui, esordito con un film anomalo come 'La città ideale'. Bella e per niente «bambocciona», ad esempio, l'idea di aprire il film con il viaggio in Messico: chissà se Valeria avrà ripercorso le strade e le atmosfere di Puerto Escondido..."
Alberto Crespi, 'L'Unità'

In concorso al 66. Festival di Cannes (2013) nella sezione 'Un certain regard'

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08 maggio 2013
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