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Pietà

Un film, spietato, crudele, violento, eppure poetico, compassionevole ed evanescente

11 settembre 2012

Noi vi consigliamo...
PIETA'
di Kim Ki-duk

Lee Jung-Jin è uno strozzino che va di casa in casa per battere cassa a nome dei suoi capi. Un giorno, il suo 'mestiere', inaspettatamente, ha una battuta d'arresto: Jon Min-Su gli si para davanti affermando di essere sua madre...

Anno 2012
Nazione Corea del Sud
Produzione Kim Ki-duk Film Production
Distribuzione Good Films
Durata 104'
Regia, Sceneggiatura e Montaggio Kim Ki-duk
Con Cho Min-Soo, Lee Jung-Jin
Genere Drammatico


In collaborazione con Filmtrailer.com

La critica
"(…) questo film, con tutta la sua carica di dolore e orrore, pare alla fine un manifesto contro il capitalismo estremo, nel raccontare il potere corruttore del denaro e quanto l’avidità distrugga tutto, la società, la famiglia, l’individuo. Il bel trentenne solitario Kang-do, che fa l’amore col cuscino, è l’esattore di uno strozzino a tassi assassini: e anche al di là della violenza abituale dei film asiatici (in Outrage beyond di Kitano, in ogni scena muoiono rumorosamente decine di yakuza), la prima parte del film spinge spesso a chiudere gli occhi (e le orecchie). Per la brutalità con cui il giovane spietato punisce i disgraziati artigiani che non riescono a pagare i debiti, tagliando le mani o infilandole sotto la pressa, oppure buttandoli nel vuoto per spaccargli le gambe: in questo modo potrà riscuotere l’assicurazione.

Un giorno si trova davanti una donna ancora giovane, ancora bella, Mi-sun, sempre vestita di rosso, che lo continua a seguire incurante degli insulti: per non farla entrare in casa lui le sbatte ripetutamente la porta sulle mani, ma lei continua a guardarlo, muta, adorante, senza reagire. Poi si confessa: lei è la madre che, giovanissima, lo ha abbandonato appena nato, e adesso vuole il suo perdono. Lui non le crede, la mette alla prova con la sua solita ferocia, stuprandola e obbligandola a mangiare qualcosa di ripugnante, che forse è un dito del piede che lui stesso, esagerando, si è tagliato.

Dolcissima, sorridente, materna, sottomessa, ubbidiente, servizievole anche sotto le coperte, la donna si insinua in quella vita gelida e cattiva, che non conosce né umanità né gioia, e fa scoprire al povero mascalzone la tenerezza, l’accudimento, il brivido di una carezza e anche un po’ di pulizia, non solo spronandolo a lavarsi, ma anche spazzando via dal pavimento le interiora sanguinanti di qualche animale (il regista non risparmia nulla). Nel momento stesso in cui quella donna dolcissima gli diventa indispensabile, e lui, vinto da ciò che crede amore materno, perde quella crudeltà che è il suo potere e il suo mestiere, lei scompare. Il suo straziante grido di madre, e il maglione che ha appena finito, non sono per Kang-do, ma per il suo vero, amatissimo figlio che, finito su una carrozzella per il debito non saldato, si è suicidato e lei ne conserva amorosamente il cadavere in un freezer. La morte del responsabile non è una punizione sufficiente: e la madre si è inventata questa estrema vendetta, condannandolo a una nuova sconosciuta fragilità, per poi abbandonarlo, nel più cruento dei modi, alla sua ormai invivibile solitudine. Non la fermerà neppure una forma di pietà che improvvisamente sente per quel non figlio, di dolore per il dolore che gli provocherà.

Il film inizia con un suicidio molto complicato, finisce con un altro suicido di grande bizzarria. Ma il film, al di là della violenza anche psicologica che viene inflitta pure allo spettatore, ha dei momenti di grande poesia: Pietà, anche per il titolo, può sembrare una metafora della misericordia cristiana. Il regista non rivela quale sia la sua religione, però dice di essere stato molto colpito dalle statue che rappresentano la deposizione di Cristo. E il manifesto del film, che ne riproduce una scena tagliata, mostra Mi-sun con velo bianco, che tiene dolente sulle ginocchia il corpo di Kan-do, come la vergine Maria col corpo di Gesù, nella Pietà di Michelangelo."
Natalia Aspesi, "la Repubblica"

"Se c’è un regista che merita la qualifica d’autore, questo è il coreano Kim Ki-duk. Nessuno meglio di lui sa estrarre un intero universo da pochi personaggi, chiusi in ambienti spesso angusti e ben definiti. Raccontato in chiave realistica Pietà sarebbe insopportabile. Ma Kim Ki-duk ha il genio dell’economia e dello stile. L’economia è fatta di immagini veloci, concise, sfacciatamente simboliche (…)"
Fabio Ferzetti, "Il Messaggero"

"Pietà (…) comunque conferma una poetica volta ad affrontare temi scabrosi, scavando dentro ai personaggi laddove si annidano i demoni più inconfessabili e segreti (…) al solito nei film di Ki-duk violenza, sangue, sesso sono tappe di un martirio che conduce a una rinascita nella morte o nella trascendenza (…)"
Alessandra Levantesi Kezich, "La Stampa"

"Pieta procede come un implacabile teorema intorno ai sensi di colpa della sua Corea del Sud. Racconta la crudeltà senza limiti di un giovane esattore di debiti, solo e anaffettivo (…) i soldi sono più necessari dell’aria, la vendetta è l’unica logica conosciuta, il senso di colpa il solo stato d’animo possibile ma il percorso del film è fin troppo meccanico, i personaggi monocordi e la storia ha la stessa freddezza di una dimostrazione matematica."
Paolo Mereghetti, "Il Corriere della Sera"

Leone d'Oro, Leoncino d'Oro Agiscuola, Premio P. Nazareno Taddei e Mouse d'Oro alla 69ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (2012).

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11 settembre 2012
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