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Venere nera

Tra i film più contemporanei tra quelli visti all'ultima Mostra del Cinema di Venezia

20 giugno 2011

Noi vi segnaliamo...
VENERE NERA
di Abdellatif Kechiche

Parigi, 1817, Accademia Reale di Medicina. "Non ho mai visto testa umana più simile a quelle della scimmie". Di fronte al calco del corpo di Saartjie Baartman, l'anatomista Georges Cuvier è categorico. Un parterre di distinti colleghi applaude la dimostrazione. Sette anni prima, Saartjie lasciava l'Africa del Sud con il suo padrone, Caezar, per andare ad offrire il suo corpo in pasto al pubblico londinese delle fiere e degli zoo umani. Donna libera e schiava al tempo stesso, la "Venere ottentotta" era l'icona dei bassifondi, promessa al miraggio di un'ascea dorata...
La vita e le disavventure della giovane Saartjie Baartman, meglio nota come la 'Venere ottentotta' a causa delle sue particolari caratteristiche fisiche. Appartente al popolo dei Khosan, i più antichi umani stabilitisi nell'Africa australe, venne portata in Europa con l'inganno e in seguito fu esposta come fenomeno da baraccone in Inghilterra, Olanda e Francia. Oggetto di studi per scienziati e pittori, la 'Venere ottentotta' fu utilizzata anche come oggetto sessuale e morì drammaticamente a Parigi nel 1815.

Anno 2010
Tit. Orig. Vénus noire
Nazione Francia
Produzione MK2 Productions, France 2 Cinema
Distribuzione Lucky Red
Durata 159'
Regia, Soggetto
Sceneggiatura
Abdellatif Kechiche e Ghalya Laroix
Con Yahima Torrès, André Jacobs, Olivier Gourmet, Elina Löwensohn, François Marthouret, Michel Gionti
Genere Drammatico, Storico


In collaborazione con Filmtrailer.com

La critica
Certe signore boccheggiano, anche i critici più scanzonati se ne vanno a testa bassa. Che dire? Sarà magnifico, sarà eccessivo, "Venere nera" (in concorso) del cinquantenne venerato franco-tunisino Abdellatif Kechiche, regista di gran bell’aspetto dolente, autore di quel "Cous cous" superpremiato ovunque, anche alla Mostra di Venezia 2007? Sarà troppo lungo, 240 minuti, sarà troppo crudele nel raccontare l’inferno del suo personaggio principale, troppo feroce con tutti gli altri, maschi, femmine, francesi, inglesi, afrikaneer, poveri, ricchi, scienziati, magistrati, domatori di orsi e persino prostitute? Non sarà per caso un manifesto di rancore verso tutto ciò che è occidentale? Kechiche, giustamente, trasecola: «Veramente della società occidentale faccio parte anch’io, anch’io vengo da quella cultura, sono francese, vivo in Francia. Ho solo raccontato una storia vera, basata su documenti storici e scientifici, ed ho sentito la necessità di farlo perché pur essendo un episodio di 200 anni fa, è quanto mai contemporaneo».

È la storia di Saartjie, ragazza di colore del popolo khoikhoi (la bella sia pur naticona esordiente cubana di origine africana Yahima Torrès), domestica a Città del Capo, che nel 1810 il padrone porta nella festosa Londra di Giorgio III per esibirla in gabbia. Lei fa finta di essere un animale selvaggio, il padrone (Andre Jacobs) fa finta di frustarla, lei grugnisce e indossa una tuta quasi trasparente, lui sprona il pubblico a toccarle gli enormi glutei. «Era come assistere oggi a un film horror, non c’era crudeltà ma innocenza, solo voglia di divertirsi, di brivido». Via dal palcoscenico, lui è tenero e le promette ricchezza, lei beve. È gentile anche il domatore di orsi (Olivier Gourmet) che li porta con sé nella Parigi del 1814. Se era orribile il popolo straccione e ubriacone dei teatri e delle bettole londinesi, ancora di più lo è quello dei salotti parigini nei mesi di transizione tra Napoleone e Luigi XVIII e quindi di cambiamento politico e sociale. La ricca nuova borghesia ride entusiasta quando Saartjie viene esibita dentro una tuta rossa trasparente e scandalosa sul grosso corpo, il collo legato a una catena, domata e sottomessa a quattro zampe come un orso, cavalcata dagli eleganti gentiluomini. Ogni volta lo spettacolo si fa sempre più umiliante, più volgare, più insostenibile, tra persone sempre più brutte e sporcaccione e feste sempre più squallide con sventolio di vibratori di alto antiquariato: e quando il suo viso impenetrabile improvvisamente si riempie di lacrime, rivelando alle signore ingioiellate l’umanità di quell’animale, il suo domatore la picchia selvaggiamente e la caccia. Dice Kechiche: «La sofferenza di Saartjie, che era intelligente e sapeva suonare, danzare e cantare - il che le veniva impedito - non è fisica, è nello sguardo degli altri, nel sapere di essere vista come un essere diverso, subumano, inferiore: con disprezzo, paura, anche orrore. È quello che sta succedendo scandalosamente in Francia con la deriva politica di Sarkozy che ha giustificato espressioni verbali insultanti verso i rom, esacerbato il clima estremista e chiesto la deportazione. Quando incontro questi esseri umani ne sento la paura e la disperazione, quando vedo alla televisione l’abbattimento dei loro accampamenti, mi chiedo perché non debba essere loro consentito di respirare la nostra stessa aria. Sono tutte misure che richiamano le catastrofi del passato, che si era certi non si sarebbero più ripetute». La parte più agghiacciante del film, fatta rigorosamente sui documenti d’epoca, è quella che riguarda l’interesse degli scienziati per questa giovane creatura e per il suo grembiule ottentotto cioè per il gigantismo dei suoi genitali. Ricevuta dal celebre naturalista George Couvier (l’eccezionale François Marthouret), in realtà noto per i suoi studi sui molluschi, denudata da un gruppo di gelidi studiosi, misurata in ogni sua piccola parte, si rifiutò di togliersi il perizoma, mandando in bestia i colti gentiluomini. «Se in Inghilterra la schiavitù era stata abolita nel 1807, in Francia era stata ripristinata dal 1802. Ma non bastava, ci voleva la scienza che stabilendo l’inferiorità degli africani, ne giustificava l’oppressione e lo sfruttamento». Morta forse di tisi, forse di sifilide a 25 anni, Couvier finalmente ottenne il suo cadavere, per farne un calco, osservarne i misteriosi genitali, sezionarli assieme al cervello e agli altri organi, e presentarli pomposamente ai colleghi scienziati. I titoli di coda mostrano la cerimonia con cui nel 2002, i resti della povera martire nera, detta la Venere Ottentotta, furono restituiti al Sudafrica e sepolti a Città del Capo.
Natalia Aspesi, 'la Repubblica'

"(...) L'esplosiva mistura di spettacolo, esibizionismo, voyeurismo, femmine al guinzaglio, quarto d'ora di celebrità, corpi fuori canone, applausi fuori luogo, negritudine e bianchitudine, danze tribali e scienze positive fanno di "Venus Noire" il film più contemporanei tra quelli visti alla Mostra di Venezia."
Mariarosa Mancuso, 'Il Foglio'

"Questo film ci mette in seria difficoltà, non solo perché ci pone innanzi alla nostra coscienza storica, ma anche perché ci fa rivivere senza alcun filtro l'esperienza di allora, facendoci complici e facendosi esso stesso (il film) mattatore estetico ed etico di una donna pensata animale. E' come Saartjie avesse subito l'ennesima violenza. Questa sensazione è data anche dalla scelta di regia che non insiste sugli aspetti psicologici della vicenda, portandosi volutamente a livello dei fatti. (...)
Dario Zonta, 'l'Unità'

"E' un film che sussurra ai Leoni e, crediamo, allo stesso Tarantino: vi ricordate l'icona della blackploitation Pam Grier che ha voluto protagonista del suo Jackie Brown? Ebbene questa Venere è sfruttamento (exploitation) nei contenuti, d'autore nello stile(...)
(...) il miglior film di Venezia 67, forse l'unico a fare politica con lo stile: senza illustrazioni didattiche, senza timori reverenziali per il pubblico, senza ricatti autoriali, per riaffermare la centralità, la verità dello sguardo. (...)
Federico Pontiggia, 'Il Fatto Quotidiano'

In concorso alla 67ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (2010)

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20 giugno 2011
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