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La Natura fa bene al Pil... Ma non a Sud

I Parchi nazionali pingono la crescita economica di tante aree del Nord, mentre il Mezzogiorno non riesce ancora a valorizzarli

26 settembre 2014

I Parchi nazionali italiani spingono la crescita della ricchezza di tante aree del Nord, mentre il Mezzogiorno non riesce ancora a valorizzarli anche in termini economici. Lo dimostra l’analisi del valore aggiunto procapite prodotto dalle imprese dei Parchi nazionali italiani, oggetto del Rapporto realizzato dal Ministero dell’Ambiente e da Unioncamere.
Lo studio, che si occupa anche dei siti della rete Natura 2000 e delle aree marine protette, mostra infatti che esiste un "effetto parco", ovvero una maggior capacità di creazione di ricchezza e benessere da parte delle imprese localizzate nelle aree soggette a tutela ambientale. Non a caso, tra il 2011 e il 2013, il valore aggiunto prodotto all’interno dei Parchi nazionali è diminuito "solo" dello 0,6%, mentre nel resto dell’Italia la variazione negativa è stata tre volte superiore (-1,8%). Questa capacità che il Rapporto riscontra in molti territori "verdi" è frutto di un mix di crescita economica, sostenibilità ambientale, produzioni di qualità, rispetto dei saperi e del benessere dei territori. Un modello di sviluppo nuovo che sembra esercitare un discreto appeal sui giovani e sulle donne, i quali, in misura relativamente maggiore che nel resto del Paese, hanno scelto proprio le aree protette come sede della propria impresa.
Anche per far conoscere meglio queste realtà, Ministero dell’Ambiente e Unioncamere hanno messo a punto l’Atlante socio-economico delle aree protette italiane.

"Coniugare - afferma il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti - la conservazione della natura e la crescita di un’economia che pone l’ambiente come cardine del suo sviluppo rappresenta un passo oggi quanto mai necessario. La Green Economy è un percorso già tracciato, che pone l’ambiente come valore fondante nella produzione del reddito; il rapporto va oltre, mettendo in luce numeri, cifre e storie in cui i parchi nazionali sono protagonisti di esperienze positive. Dalla loro valorizzazione può arrivare una svolta per la crescita del Paese".
"Le aree protette costituiscono un grande laboratorio di nuove pratiche innovative e ecocompatibili - ha detto il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello -. Un polmone verde che, negli ultimi anni, è al centro di un interessante risveglio socio-economico. Nella sostenibilità e nell’economia a dimensione delle comunità locali c’è la vera essenza del modello produttivo italiano. Per questo l’attenzione alle aree naturali protette è per noi congeniale al tema dello sviluppo e del rilancio dell’economia. Un modello vincente che insieme al dicastero dell’Ambiente, con il quale abbiamo avviato da alcuni anni una preziosa collaborazione nel campo della blue economy e della green economy, vogliamo sostenere, accompagnando la transizione delle economie locali verso una crescita sostenibile".

I 23 parchi nazionali analizzati nel Rapporto occupano un’area vasta quasi quanto tutta la Calabria (15mila kmq, pari al 5% dell’estensione del nostro Paese). Questi territori, diffusi in tutte le regioni italiane, ad eccezione del Friuli-Venezia Giulia e della Sicilia, hanno conosciuto in vent’anni un progressivo spopolamento (i residenti si sono ridotti del 5,6%, in controtendenza con quanto registrato a livello nazionale, dove l’aumento è stato del 5,1%), dovuto essenzialmente alla scarsa attrazione che queste aree hanno esercitato verso la componente straniera che si è resa protagonista del recente boom demografico del nostro Paese. Negli ultimi anni, però, questo fenomeno sembra si stia arrestando: nel 2012 rispetto al 2011, infatti, si è assistito a una modestissima crescita (di soli 71 abitanti) della popolazione, sulla quale può aver inciso un "processo di ritorno" dei giovani. L’orografia prevalentemente montuosa non frena la voglia d’impresa: sono infatti oltre 68mila le attività produttive presenti in queste aree, con un’incidenza elevata di attività commerciali (26%, spesso di prodotti artigianali), agricole (22,5%) e della ristorazione (7,7%). In media, ciò significa che esistono 9,7 imprese ogni 100 abitanti, con una densità di poco inferiore a quella media nazionale (10,2%).

Ma fare impresa nella natura conviene? La risposta è sì al Centro-Nord, no (o non ancora) al Mezzogiorno. Comparando, infatti, il valore aggiunto pro capite prodotto nei Parchi nazionali, emerge un differenziale positivo di 6mila euro nel caso del Nord-Ovest e di 1.800 euro nel caso del Centro. Nel Nord-Est, invece, il capitale naturale non sembra esercitare un ruolo determinante nella creazione di ricchezza. Il differenziale diventa negativo nel caso del Mezzogiorno: oltre 8 mila euro nei comuni natural capital based contro i quasi 10.500 di quelli not natural capital based. [Fonte: Italpress - €conomiaSicilia.com]

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26 settembre 2014
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