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Omaggio ad Anton Cechov. Cento anni fa moriva il più grande drammaturgo russo

Il mite medico di origine contadina, sposato con la Medicina ma amante della Letteratura

02 luglio 2004

- Per chi scrivere
- Il pubblico di uno scrittore
- Bibliografia




"La medicina è mia moglie, e la letteratura è la mia amante.  Quando mi stanco dell'una, passo la notte con l'altra. So che è irregolare, ma così è meno noioso, e poi nessuna delle due ha niente da perdere a causa della mia infedeltà"

Anton Cechov

Il 2 luglio del 1904, in una cittadina tedesca nella Foresta Nera, la cittadina di Badenweiler, moriva lo scrittore Anton Cechov, considerato il più grande drammaturgo russo.
Nato a Taganrog nel 1860, crebbe in una famiglia economicamente disagiata: il nonno era stato servo della gleba. Nel 1879 si trasferì a Mosca dove si iscrisse alla facoltà di medicina. Laureatosi nel 1884, esercitò solo saltuariamente, in occasione di epidemie e carestie, la professione, dedicandosi invece esclusivamente all'attività letteraria. Nel 1890 raggiunse attraverso la Siberia la lontana isola di Sachalin, sede di una colonia penale, e sulle disumane condizioni di vita dei forzati scrisse un libro-inchiesta, L'isola di Sachalin (1895).
Minato dalla tubercolosi, passò vari anni nella sua tenuta di Melichovo (Mosca), cercando di migliorare la condizione materiale e morale dei contadini. Nel 1895 conobbe Tolstoj, cui rimase legato da amicizia per tutta la vita. Nel 1900 fu eletto membro onorario dell'Accademia russa delle scienze, ma si dimise due anni dopo per protesta contro l'espulsione dello scrittore Gor'kij.
Nel 1901 sposò Olga L. Knipper, attrice del Teatro d'arte di Mosca. In un estremo tentativo di combattere il male, si recò a Badenweiler, una località della Foresta Nera. Morì qui, nel 1904, assistito dalla moglie. Aveva 44 anni.

Il nome di Cechov non è legato a nessuna scuola o movimento. Scrittore ferocemente introverso, visse in un periodo in cui in Russia imperversava la reazione, e la vita intellettuale e letteraria attraversava una fase di ristagno. La sua narrativa e il suo teatro sono anche un accorato atto di accusa contro la società del suo tempo.
Lo stile di Cechov, semplice e sobrio, è modellato sul tragico quotidiano, cioè sulle minute pene dell'esistenza umana. Tolstoj lo paragonò a un tipo di pittura in cui le pennellate sembrano messa a caso: "come se non avessero alcun rapporto tra di loro, mentre guardando da lontano si coglie un quadro chiaro, indiscutibile".
Soprattutto nei racconti Cechov compone una struttura sinfonica in cui i temi vengono enunciati e messi in relazione tra di loro ma senza che la loro potenzialità emotiva sia mai interamente sfruttata: in ciò consiste il fascino irripetibile e struggente del discorso.

Autore, inoltre, di celebri testi teatrali, da ''Il giardino dei ciliegi'' a ''Il gabbiano'', passando per ''Zio Vanja'' e ''Le tre sorelle'', l'innovativa opera drammaturgica di Cechov ispirò l'intero teatro del XX secolo, in particolare l'opera del regista russo K. S. Stanislavski, che  attraverso l'intendimento teatrale dell'opera di Checov mise in piedi la sua celebre teoria sulla recitazione (metodo Stanislavski) fondata sulla ricerca della sincerità, sull'espressione degli stati d'animo e dei mezzi toni.
Elementi essenziali dei quattro ("Il gabbiano", "Zio Vanja", "Le tre sorelle", "Il giardino dei ciliegi") maggiori drammi cechoviani sono: l'attitudine rassegnata e dolente di fronte a un ineluttabile sempre sottinteso; l'attenzione quasi morbosa per il dettaglio psicologico aberrante e rivelatore; la capillare ricostruzione di atmosfere più che di vicende. La scena cechoviana, nella quale tutti attendono, in preda a un abulico sonnambulismo qualcosa di mai nominato ma sinistramente incombente, è l'antecedente necessario della scena di Samuel Beckett, nella quale gli stessi silenzi e gli stessi vuoti di comprensione alludono a qualcosa di altrettanto innominato, ma ormai irrimediabilmente accaduto.


Per chi scrivere
Non scrivere per sé ma per il lettore.
Basta essere più onesti: buttare se stessi a mare sempre e dovunque, non intrufolarsi nei protagonisti del proprio romanzo, rinnegare se stessi, non fosse che per mezz’ora. C’è un tuo racconto in cui, per tutta la durata del pranzo, due sposini non fanno che sbaciucchiarsi, pigolare, pestar l’acqua nel mortaio. Non una sola parola sensata, tutto un "giulebbe".
Ora, tu non hai scritto per il lettore... hai scritto perché a te piacciono queste cicalate. Se tu avessi invece descritto il pranzo, come mangiavano, cosa mangiavano, com’era la cuoca, com’era volgare
il tuo protagonista, soddisfatto della sua pigra felicità, com’era volgare la tua eroina, com’era ridicola nel suo amore per quel bestione sazio, rimpinzato, col tovagliolo legato al collo... A tutti fa piacere veder gente ben pasciuta, contenta, questo è vero, ma per descriverla non basta riferire quel che loro dicono e quante volte si baciano...
Ci vuole qualcos’altro: rinunziare all’impressione personale che la felicità della luna di miele produce su ogni uomo non inasprito... Il soggettivismo è cosa tremenda.
È un male per il solo fatto che lega mani e piedi al povero autore.
Ad Aleksandr Yechov, Mosca, 20 febbraio 1883

Il pubblico di uno scrittore
Voi scrivete che bisogna lavorare non per la critica ma per il pubblico e che è ancora troppo presto per lagnarsi. È piacevole pensare che si lavora per il pubblico, ma come faccio a sapere che lavoro appunto per lui? Per la meschinità del mio lavoro o per qualche altro motivo, io stesso non ricavo alcuna soddisfazione; quanto al pubblico (non è vero che l’abbia chiamato vile) esso è disonesto e ipocrita nei nostri confronti, non dice mai la verità e quindi non riesco a capire se gli sono necessario o no. È troppo presto per lamentarmi, ma non sarà mai troppo presto per chiedermi: "M’occupo di cose serie o di sciocchezze?"
La critica tace, il pubblico mente, ma il mio sentimento mi dice che mi occupo di baggianate. Mi lagno forse? Non ricordo il tono della mia lettera; del resto, anche se è così, non mi lamento per me, ma per tutti i nostri confratelli che mi fanno una pena infinita.
Ad Aleksej Suvorin, Mosca, 26 dicembre 1888

(Da Anton Cechov, Senza trama e senza finale 99 consigli di scrittura, edizione Minimumfax)

Bibliografia

Platonov (dramma, 1880-1881)
Racconti di Melpomene (1884)
Il tabacco fa male (vaudeville, 1884)
Tragico contro voglia
Il canto del cigno
Sulla via maestra
Racconti variopinti (1886)
Nel crepuscolo (1887)
La steppa (1888)
Ivanov (dramma, 1888)
Lescij (dramma 1889)
I quaderni del dottor Cechov (1891-1904)
La corsia n.6 (1892)
Il monaco nero (1892?)
Il duello (1892)
Il gabbiano (dramma, 1895)
La mia vita (1895)
L'isola di Sachalin (1895)
I contadini (1897)
Il racconto di uno sconosciuto (1898)
La signora con il cagnolino (1898)
Zio Vanja (1899)
Tatjana Répina (dramma, 1899)
Nel burrone (1900)
Le tre sorelle (dramma, 1901)
Il giardino dei ciliegi (1904)

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02 luglio 2004
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