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L'Eni congela i suoi investimenti per il Petrolchimico di Gela

Lo stabilimento siciliano rischia così di scomparire e in fabbrica esplode la protesta

08 luglio 2014

L'Eni sospende i suoi impegni al Petrolchimico di Gela, congelando investimenti per 700 milioni di euro, e in fabbrica esplode la protesta. L'Eni ha annunciato che non intende rimettere in marcia l'unica delle tre linee produttive in attività a Gela, fermata il 15 marzo per un incendio sviluppatosi per una perdita lungo una tubazione di greggio tra gli impianti coking e toppinga, motivando la decisione con la sovrapproduzione e la saturazione del mercato dei carburanti.
Uno stop, questo, che impedisce di fatto la costruzione di quelle apparecchiature previste nei processi di riqualificazione produttiva da realizzare entro e non oltre la fine del 2015. E senza tali misure, lo stabilimento è destinato alla chiusura.

Inaugurato nel 1964 dall'allora capo dello Stato, Giuseppe Saragat e dal presidente dell'Eni Enrico Mattei, il petrolchimico di Gela, potrebbe così essere arrivato alla fine della sua travagliata esistenza. Emblema del sogno texano di una ricchezza economica tutta da costruire ma anche di "cattedrale nel deserto" di uno sviluppo mai arrivato, lo stabilimento di Gela, per oltre 50 anni, ha dato lavoro e reddito a migliaia di giovani. Nella prima metà degli anni '70, al top della sua esistenza, gli occupati erano 10 mila: 6mila nel diretto e 4mila nell'indotto.
Poi, la lenta e inesorabile crisi della chimica di base, segnò l'inversione di tendenza con la chiusura dei primi impianti, quelli di produzione, stoccaggio e spedizione dei fertilizzanti per l'agricoltura (Urea e Solfato Ammonico). Non ci furono licenziamenti ma si bloccarono le assunzioni e per l'indotto cominciò il massiccio ricorso alla cassa integrazione.
Oggi, la chimica non esiste più. C'è solo la raffineria che lavora il petrolio ad alto tenore di zolfo dei giacimenti locali, scoperti negli anni '50, e i residui pesanti di altri stabilimenti. Gli occupati sono mille, 300 nell'indotto.

Quella di Gela è considerata la più debole delle cinque raffinerie del circuito Eni in Italia. Si sono verificati ed episodi di inquinamento ambientale (perdita di petrolio finito in mare nel maggio del 2013 e incendio all'isola 7 il 15 marzo scorso) e due infortuni mortali tra il personale dell'indotto. Fermata per un anno (dal giugno 2012 al maggio 2013) e collocati 400 dipendenti in cassa integrazione, avrebbe dovuto procedere alla realizzazione dei programmi di riconversione produttiva. Il nuovo vertice dell'Eni ha invece deciso di fermare il progetto, fare una nuova valutazione degli investimenti alla luce della ulteriore crisi del mercato dei carburanti e stabilire se procedere a fermate temporanee o chiusure definitive.
Questa sera se ne saprà di più dopo il vertice nazionale tra Eni e sindacati convocato a Roma. Domani è previsto un confronto con il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, che si recherà a Palazzo Chigi.

Intanto gli operai hanno rispolverato i picchetti: blocchi agli ingressi dello stabilimento, nella centrale di imbottigliamento del gas e nel centro oli dove si raccoglie il petrolio estratto dai giacimenti, per impedire che venga trasferito (come succede da tre mesi) in altre raffinerie. Il sindacati sono sul piede di guerra e il governo della Regione si schiera con gli operai.
Già sabato scorso c'era stata un sit-in di protesta. Le maestranze dicono no al ventilato disimpegno dell'Eni, "le cui scelte, con il congelamento degli investimenti pari a 700 milioni di euro - spiegano i sindacati confederali - fermano di fatto il processo di riqualificazione e di rilancio e mirano a ridurre la raffineria a un deposito costiero di idrocarburi".
Da ieri mattina è bloccato il transito di persone e merci. E' consentito il passaggio al solo personale turnista addetto agli impianti, che sono fermi dal 15 marzo, dopo l'incendio divampato nell'area dell'isola 7 nord, ma che vengono mantenuti a caldo per motivi di sicurezza.
La direzione aziendale ha comunicato alle organizzazioni sindacali che al momento non intende riavviarli perché il mercato dei carburanti è già saturo da sovrapproduzione. Il petrolio dei giacimenti di Gela viene trasferito in altri stabilimenti e gli operai in lotta hanno deciso di presidiare anche il centro oli di raccolta del greggio in contrada Piana del Signore nonché la vicina stazione di imbottigliamento del gas.

"Riteniamo non più rinviabili gli investimenti per rendere la Raffineria di Gela più eco-compatibile ed economicamente produttiva - dicono i sindacati di Cgil, Cisl e Uil -, a maggior ragione dopo l’approvazione da parte della Conferenza di Servizi, della media ponderale delle emissioni in atmosfera, così come la Raffineria aveva richiesto. Le insistenti notizie degli ultimi giorni apparse sulla stampa, su un eventuale disimpegno dell’Eni in Sicilia, rappresentano una scure che rischia di abbattersi sulla Raffineria di Gela, sul territorio, sui lavoratori e l’intero comparto industriale. Con la manifestazione cittadina, insieme ai lavoratori e alla cittadinanza, intendiamo spronare il Governo Nazionale affinché intervenga quale azionista di maggioranza, dando seguito agli accordi sottoscritti sugli investimenti e sul futuro del Polo industriale". "Al Governo Regionale, per evitare una nuova Termini Imprese - proseguono i vertici sindacali -, chiediamo di non affidarsi a dichiarazioni estemporanee, ma che si pensi a pianificare e programmare le strategie di un piano industriale che sia utile non solo a Gela ma all’intera Sicilia. Auspichiamo infine che il sindaco, nella qualità di primo cittadino, il consiglio comunale e le istituzioni locali, siano vicine e manifestino a supporto di questa mobilitazione che riguarda il futuro di tutti".

In una lettera aperta i vertici regionali e provinciali Cisl hanno scritto: "Il governo nazionale non può abbandonare e umiliare Gela e la Sicilia, deve intervenire per sviluppare gli investimenti necessari a salvaguardia dell’intera filiera: perforazione, estrazione, raffinazione e commercializzazione, confermando un investimento in innovazione per raggiungere gli obiettivi di equilibrio economico-finanziario. L’Eni al contrario, intende investire all’estero per l’estrazione di idrocarburi, nonostante il pericolo dell’instabilità dei governi, come dimostrano i casi di Iraq, Libia e Algeria da dove diverse centinaia di lavoratori sono dovuti rientrare in Italia vanificando importanti investimenti fatti all’estero. Dobbiamo invece rendere conveniente l’attività di estrazione in Sicilia. Le autorizzazioni all’estrazione di idrocarburi non servano solo al profitto delle aziende e alle royalties ma a potenziare l’intera filiera. Il sistema siciliano è un sistema con quattro raffinerie, di Augusta, Priolo, Gela e Milazzo. Se tutte queste società decidono di andare via, con la stessa logica e convenienza perchè non vogliono investire sulla raffinazione, significa che l’economia industriale siciliana fallisce, lasciando un deserto economico e un disastro sociale e ambientale insopportabile".

Il sindaco di Gela, Angelo Fasulo, ha chiesto al prefetto di convocare un tavolo di confronto urgente tra le parti. Il parroco della chiesa S. Lucia, don Luigi Petralia, assistente spirituale del presidente della regione Siciliana, Rosario Crocetta, ha lanciato un appello allo stesso governatore a cui chiede di "bloccare questa follia della deindustrializzazione, che sarebbe il colpo di grazia non solo per Gela, ma per tutto il Meridione".

Ieri il governatore siciliano, a Gela per partecipare a un convegno, si è recato tra i lavoratori del Petrolchimico in lotta, fermandosi a uno dei picchetti che presidiano le vie di accesso allo stabilimento. Gli operai lo hanno accolto con un lungo applauso e gridando il suo nome. Crocetta ha garantito il proprio sostegno promettendo il massimo impegno nella difficile vertenza, fino a minacciare la revoca delle concessioni di sfruttamento dei giacimenti siciliani di gas e di petrolio.
"Ma che si sono messi in testa i signori dell'Eni? Pensano che possono fare quello che vogliono? State tranquilli che qui 'non si babbìa' (non si scherza); anzi, se continuano così gli chiudo i pozzi di petrolio e li riportiamo a più miti consigli. Devono rispettare gli impegni assunti e risolvere le difficoltà nei poli industriali di Gela, del Siracusano e di Milazzo".

[Informazioni tratte da GdS.it, ANSA, AGI, SiciliaInformazioni.com, Italpress - €conomiaSicilia.com]

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08 luglio 2014
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