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Se l'Eni vuole la guerra...

Dopo la rottura delle trattative con i sindacati, gli operai della raffineria di Gela sono pronti a tutto

10 luglio 2014

Dopo la rottura delle trattative a Roma tra i sindacati e l'Eni sul nuovo progetto industriale dell'ente petrolifero, che nell’immediato prefigura pesanti prospettive soprattutto per Gela, monta la delusione e la rabbia tra i lavoratori siciliani.
A Gela non partirà più nessuna delle tre linee di produzione e vengono revocati i 700 milioni di investimenti destinati alla programmata riconversione produttiva. In cambio l’Eni avrebbe proposto un nuovo progetto come alternativa, ma i sindacati non hanno voluto sentire nemmeno le linee generali della proposta perché, come pregiudiziale, hanno preteso dall'azienda, "il rispetto integrale degli impegni sottoscritti appena un anno".

Il vice ministro allo Sviluppo, Claudio De Vincenti, sostiene di "capire le preoccupazioni dei lavoratori", ma "non c'è da fare allarmismi". L'azienda, ha spiegato De Vincenti, "ha dato indicazioni importanti sull'intenzione di investire", perciò "ho invitato Eni a presentare quanto prima un vero piano industriale".
Il vice ministro, al termine della riunione che si è tenuta al ministero dello Sviluppo economico, ha quindi sottolineato di comprendere tutti i timori espressi "che trovano sensibile il Governo", tuttavia ha invitato a non cedere agli allarmismi. Il confronto con l’Eni comunque continuerà e, ha aggiunto De Vincenti, "è già stato messo in agenda per i prossimi giorni un nuovo appuntamento".

Ieri mattina, gruppi di lavoratori si sono spostati ai cancelli della consociata dell'Eni, "Greenstream", con l'obiettivo di bloccare il gas che proviene dalla Libia attraverso il metanodotto sottomarino, fermando l'attività nel terminale di arrivo e di rilancio del metano, destinato alla rete nazionale. Ma già da l’altro ieri sera, dopo la rottura delle trattativa, le maestranze gelesi non lasciano transitare più nessuno, nemmeno i turnisti che avrebbero dovuto dare il cambio ai colleghi che hanno lavorato durante la notte.
"Se l'Eni vuole la guerra a Gela l'avrà su tutti i campi, non solo nella raffinazione ma anche nella ricerca dei giacimenti, nell'estrazione del petrolio e nell'approvvigionamento del metano", hanno detto i lavoratori. L'obiettivo è quello di non far transitare né il personale turnista addetto alla conduzione dell'impianto né i mezzi della manutenzione, in modo da costringere l'azienda, per motivi di sicurezza, a chiudere le valvole del gasdotto e a fermare la stazione di pompaggio che immette il metano libico nella rete nazionale.
L'orientamento generale è quello di lasciare il posto di lavoro dopo 16 ore di attività, così come prevedono sia il contratto che le leggi in materia. A rischio la sicurezza in fabbrica, dove, anche se gli impianti produttivi sono fermi, sono attivi quelli che producono utilities indispensabili ai delicatissimi sistemi di controllo di apparecchiature, serbatoi macchine. Fra qualche giorno si potrebbero fermare le pompe di estrazione del petrolio dei giacimenti di Gela perché, in conseguenza del blocco del porto e delle spedizioni, i serbatoi di raccolta dei centri oli sono ormai quasi pieni.

Le segreterie provinciali di Cgil Cisl e Uil del nisseno hanno deciso, al termine dell'attivo di tutte le categorie riunito a Gela, di effettuare entro il 20 luglio uno sciopero generale territoriale con manifestazione popolare, in difesa degli assetti produttivi e occupazionali della Raffineria. La data sarà fissata nei prossimi giorni.
"Eni torni indietro. La sua decisione è grave perché rimette in discussione la politica energetica del Paese, non solo in Sicilia dove le ricadute occupazionali della sue scelte rischiano di essere pesantissime. Non soltanto a Gela. Puntiamo a una larga mobilitazione popolare e a Crocetta diciamo che nella gestione della vicenda deve coinvolgere immediatamente il governo Renzi".
Sono queste le parole di Maurizio Bernava, segretario della Cisl Sicilia, dopo la rottura delle trattative a Roma. Bernava dà voce alla preoccupazione della Cisl "per la minaccia che il deserto industriale avanzi in Sicilia mano a mano che i grandi gruppi abbandonano l'Isola". E insiste: "Chiediamo con forza che Eni confermi il piano di investimenti da 700 milioni programmato appena un anno fa e fondamentale per rendere il sito ecocompatibile e in condizioni di consolidarsi sul mercato. E ci aspettiamo che sia riavviata la Linea 1 della Raffineria".

Furiosa la risposta del presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, al termine della riunione al ministero per lo Sviluppo. "La Regione siciliana chiederà un risarcimento miliardario se l'Eni confermerà nel piano industriale l'intenzione di abbandonare la Sicilia, chiudendo gli stabilimenti di Gela o Priolo. Sono preoccupato per le scelte antimeridionaliste e siciliane da parte dell'Eni, si prevedono solo tagli nel Mezzogiorno, questo è totalmente inaccettabile. Ora aspettiamo che l'Eni consegni il piano industriale, ma se l'intenzione è chiudere Gela e Priolo la Sicilia non ci sta". "Non possiamo non rimarcare che in Sicilia le scelte industriali, per il livello di alterazione ambientale prodotta, sono ormai irreversibili: la chiusura degli impianti significherebbe la desertificazione di una intera zona" ha aggiunto Crocetta.

"La Sicilia non può essere trattata come un limone, da un lato contribuisce col 70% alla produzione di petrolio estratto in Italia mentre si continuano a chiedere nuove autorizzazioni per i pozzi e dall'altro si pretende che poi la raffinazione venga fatta al Nord Italia: questa è una scelta inqualificabile". Per il governatore "la chiusura a Gela danneggerebbe non solo l'occupazione ma anche la Regione per i mancati introiti legati alle attività produttive".
"La Regione non permetterà la chiusura di alcun impianto dell'Eni sulla base di piani futuristici e promesse d'investimenti. Prima l'Eni investa, bonifichi le aree e tutto questo comporta dei tempi. Non si ripeterà più quanto accaduto a Termini Imerese con la Fiat, questo giochetto l'abbiamo già subito, un film già visto".

Intanto, il sindaco di Gela, Angelo Fasulo, ha riunito d'urgenza la giunta municipale per fare il punto della situazione alla luce della rottura delle trattative tra sindacati ed Eni. "Riteniamo inaccettabili le dichiarazioni dell'amministratore delegato dell'Eni, Descalzi" scrive in una nota il sindaco, secondo il quale l'azienda "smentisce clamorosamente il piano industriale sottoscritto appena lo scorso anno e contraddice ogni accordo siglato presso le sedi istituzionali".
Dopo avere espresso "piena solidarietà e vicinanza ai lavoratori e ai sindacati", il sindaco ribadisce che "non abbiamo nessuna intenzione di abbassare la guardia fino a quando non ci saranno certezze sul futuro occupazionale di Gela" ormai "sull'orlo del baratro sociale".
"Questo territorio ha creduto fortemente in un percorso condiviso che rendesse lo stabilimento sempre più, sicuro, moderno e rispettoso dell'ambiente - ha dichiarato ancora Fasulo - e per raggiungere questo obiettivo l'intera città è sempre stata pronta a pagare anche prezzi elevatissimi. Oggi purtroppo la fiducia e la maturità mostrate vengono ripagate in questo modo".

10 MILIARDI DI METRI CUBI DI GAS IN MENO ALL'ANNO - 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno: due miliardi per l'Italia e 8 per gli altri Paesi, in prevalenza la Francia. È il gas che verrebbe a mancare se per le proteste sindacali in atto a Gela dovessero fermare il gasdotto "Greenstream" che porta il metano dai giacimenti della Libia all'approdo italiano.
Per l'Europa sarebbe un duro colpo sul piano dell'approvvigionamento energetico. Con i suoi 520 km di lunghezza, Greenstream (della consociata Eni) è il più grande metanodotto sottomarino in esercizio nel Mediterraneo, sui cui fondali si posa fino a raggiungere una profondità che supera i 1.100 metri.

Il gas dei giacimenti libici viene inviato in Italia attraverso la stazione di compressione di Mellitah (a 60 km da Tripoli) ed approda al terminale di Gela, sulla spiaggia a est della raffineria che l'Eni vuole chiudere e che i dipendenti in lotta difendono. Greenstream (appartenente a una società mista composta da Eni e dall'agenzia petrolifera libica "National Oil Corporation" (Noc) è uno dei due metanodotti che collegano l'Italia al Nordafrica (l'altro è il gasdotto con l'Algeria). La sua esistenza è stata sempre molto travagliata, sia durante la sua pur veloce costruzione (con stop, rinvii e riprese improvvise dal 2003 al 2004) sia nei mesi difficili della guerra e in quelli post-bellici per la deposizione del leader Gheddafi. Gruppi armati, tribù e bande si contendono tuttora il controllo delle fonti energetiche e per incassare le royalties. Per due volte l'Eni ha deciso di fermare il gasdotto e fare rientrare il proprio personale in Italia. Se anche le proteste degli operai di Gela dovessero ottenere lo stesso effetto, sarebbe la prima volta che Greenstream si ferma per difficoltà di ordine pubblico dell'altra sponda, cioè quella italiana.

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, GdS.it]

- L'Eni congela i suoi investimenti per il Petrolchimico di Gela (Guidasicilia.it, 08/07/14)

- Rottura tra Eni e sindacati (Guidasicilia.it, 09/07/14)

 

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10 luglio 2014
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