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4000 morti in 5 anni

In Iraq la situazione è sempre più pericolosa ma per Bush e Petraeus si è vicini alla vittoria. Ma quale vittoria?

26 marzo 2008

La cifra ufficiale parla di quattromila soldati americani morti in Iraq dall'inizio della guerra, cinque anni fa. Più di mille morti all'anno, dunque.
Dal febbraio 2007, gli Stati Uniti in Iraq stanno mandando avanti la ''strategia Petraeus'', dal nome del generale David Petraeus, comandante in capo delle forze Usa, che ha scelto di circondarsi di ufficiali di altissima competenza strategica (detti i Petraeus' Thinkers), maggiormente attenti alle complessità del rapporto con la popolazione locale, e che, accanto all'uso della forza, riconoscono l'assoluta necessità di avviare forme di collaborazione e ricostruzione più efficaci e rispettose dei bisogni del territorio in cui operano le truppe.
Davanti al numero delle vittime america in Iraq il generale Petraeus continua ad essere, o a sembrare, ottimista: "La situazione migliora rispetto a pochi mesi fa. Abbiamo dei momenti difficili, è vero, ma la sicurezza in Iraq si sta lentamente rafforzando. Al Congresso dirò che la strada che abbiamo preso è quella giusta. Ed è la sola possibile. E' presto per parlare di vittoria ma, continuando così, ci arriveremo".

L'ottimismo di  Petraeus non viene né compreso, né tanto meno condiviso dagli americani che messi di fronte alla tonda cifra dei militari caduti hanno acceso ulteriormente i dibattiti e le polemiche.
Nei giorni scorsi il presidente George W. Bush aveva manifestato la sua profonda tristezza per i 4mila figli d'America morti in Iraq, e nello stesso tempo, rivolto ai familiari delle vittime, ha rimarcato quanto è importante che "sia completata la missione in Iraq" per evitare che le vite dei loro congiunti siano state sacrificate invano. Bush, quindi, vuole “vincere”, ancora, e con la ''strategia Petraeus'' è convinto che tale obiettivo potrà presto essere raggiunto.

Ma "gli elevati costi in termini di vite umane", di cui ha parlato pochi giorni fa Bush, sono una cifra a tre zeri, ed è una cifra pesantissima.
In base ai calcoli di Usa Today, il più diffuso quotidiano degli Stati Uniti, dei 4000 morti il 98% delle vittime sono uomini, tre quarti dei quali bianchi non ispanici di una età media di 21 anni. Il 52% delle vittime è morto ucciso da una bomba, il 16% da un'arma da fuoco. Il giorno più letale è stato il 26 gennaio 2005, quando un elicottero si è schiantato al suolo e 31 militari hanno perso la vita. Lo stesso giorno sei altri militari sono morti combattendo. Il mese più cruento è stato novembre 2004, con 147 vittime in tutto.
I militari Usa morti quest'anno in Iraq sono 96. Una cifra inferiore rispetto agli anni passati. L'anno peggiore è stato il 2007, con 901 morti tra i militari americani. Non era andata molto meglio nel 2004, nel 2005 e nel 2006. Le vittime Usa erano state rispettivamente 849, 846 e 822. Elevato anche il numero dei feriti: ufficialmente appena meno di 30 mila, ma secondo alcune stime circa 100 mila.
Che la situazione sia tutt'altro che rosea lo dimostra anche "l'invisibilità" che circonda i caduti Usa. Le operazioni di rimpatrio delle salme avvengono quasi sempre con grandissima discrezione. Fino a pochi mesi fa era addirittura proibito fotografare le bare. Dopo le proteste dei media le cose sono cambiate ma le foto rimangono molto rare.
Nelle precedenti guerre combattute dagli Stati Uniti, il numero delle vittime era stato decisamente superiore. Nella guerra di Corea, tra il 1950 e il 1953, le vittime Usa sono state inmedia 12.300 l'anno, in quella del Vietnam (1963-'75) 4.850 l'anno.

In Iraq, poi, c'è un'altra conta decisamente più elevata di quella dei militari caduti: è quella delle vittime civili irachene, di cui non esiste una cifra ufficiale. Il gruppo per la tutela dei diritti umani Iraq Body Count parla di quasi 90 mila vittime civili dall'inizio della invasione dell'Iraq nel 2003. Qualcuno parla di un milione di vittime civili, cioè un rapporto di 250 a uno con i soldati Usa ufficialmente morti in Iraq.

La verità vera è che il “momento triste” descritto da Bush in Iraq dura da cinque anni, e non esiste nessun segnale che questo possa terminare. Infatti, i venti di guerra continuano a spazzare, con rinnovata furia, l'Iraq, dal porto petrolifero di Bassora, fin nel cuore di Bagdad. Nuovi scontri sono esplosi oggi a Bassora, dopo la battaglia di ieri che ha visto le forze irachene, col sostegno di elicotteri e aerei americani, impegnate fin dall'alba in una battaglia con le milizie sciite dell'imam radicale Moqtada a-Sadr, con un bilancio di oltre 20 morti e 60 feriti. Il bilancio di oggi è anche peggiore: secondo l'agenzia Reuters ci sono 40 morti e 200 feriti. Tra loro, oltre ai combattenti da entrambe le parti, ci sono anche diversi civili. Le ostilità sono in corso in almeno cinque quartieri.
Il premier Nouri al-Maliki ha intimato stamane ai ribelli di deporre le armi entro 72 ore.

Nuovi scontri sono divampati anche a Sadr City, la baraccopoli sciita alla periferia Nord-orientale di Baghdad, roccaforte nella capitale del giovane leader integralista. Le rinnovate ostilità, che vedono coinvolti anche i soldati americani, hanno già provocato la morte di quattordici persone, e il ferimento di circa 140. Tra i morti almeno quattro civili, tra i quali donne e bambini.
A quanto riferito da persone sul luogo, il centro della città, 50 chilometri a Sud di Bagdad, oggi è deserto e la polizia ha consigliato agli abitanti di rimanere in casa. Tutte le scuole e gli edifici pubblici e amministrativi della zona sono chiusi così come la gran parte degli esercizi commerciali.

La conta dei morti non è terminata e, purtroppo, c'è la certezza che ai 4000 morti americani se ne aggiungeranno molti altri ancora.

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26 marzo 2008
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