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Ancora sangue in Egitto: oltre 40 morti

Il governo ha presentato formalmente le proprie dimissioni in segno di protesta per quanto avvenuto nelle ultime ore

22 novembre 2011

Ancora sangue in Egitto, a una settimana dalle prime elezioni dell'era post-Mubarak. Dopo un fine settimana di scontri, ieri mattina sono riprese le violenze in Piazza Tahrir, dove in migliaia si sono radunati per esprimere le loro collera contro il permanere dei militari al potere. Attivisti e fonti mediche parlano di oltre 40 morti da sabato, anche se il bilancio ufficiale si ferma a 22. Oltre 1.800 i feriti, mentre le forze di sicurezza hanno arrestato, solo ieri in mattinata, 39 manifestanti.
In un clima che riporta alla memoria le immagini della rivolta contro l'ex rais Hosni Mubarak, il ministro della Cultura, Emad Abu Ghazi, ha annunciato formalmente le sue dimissioni, in segno di protesta contro il governo per quanto avvenuto nelle ultime ore. E in serata la notizia che l'intera squadra di governo ha presentato le sue dimissioni, accettate dal Consiglio supremo delle Forze armate. L'annuncio è arrivato dal portavoce del Consiglio dei ministri, Muhammad Hegazy, in una conferenza stampa al Cairo in cui ha spiegato che gli incarichi dei ministri sono stati messi a disposizione del Consiglio supremo già da l'altro ieri. Alla luce della situazione di emergenza, il governo manterrà le sue funzioni fino a che i militari non si saranno pronunciati. Hagazy ha espresso "rammarico" a nome dell'esecutivo per i tragici avvenimenti dei giorni scorsi.

Manifestanti e forze di sicurezza si scambiano accuse per le nuova giornata di violenze. Fonti citate dalla tv al-Arabiya hanno accusato "giovani a bordo di moto" di aver lanciato Molotov contro i militari, mentre per il movimento '6 aprile' a provocare gli incidenti sono stati gli uomini dell'esercito, perché "i manifestanti rispettavano la tregua" decisa la sera scorsa. Per le tv satellitari il ricorso alla forza da parte delle forze di sicurezza è scattato quando i manifestanti hanno cercato di marciare verso il ministero degli Interni.
In piazza, ha spiegato ad Aki-Adnkronos International Mohamed El-Beltagy, esponente del partito Libertà e Giustizia dei Fratelli Musulmani, si sono dati appuntamento "gli attivisti di 35 partiti e movimenti egiziani", per creare uno "scudo umano a difesa dei manifestanti". "La colpa degli ultimi scontri - ha affermato El-Beltagy - è tutta delle forze di sicurezza, perché sono stati gli agenti ad attaccare per primi".

Purtroppo, le violenze non sembrano destinate a placarsi a breve. I 35 partiti e movimenti egiziani hanno convocato per oggi pomeriggio una manifestazione di "milioni" di persone.
"Il ricorso alla forza da parte della polizia indica che il Consiglio supremo delle Forze armate è alla guida del movimento contro la rivoluzione in Egitto e ha fallito in questa fase di transizione'', si legge in una nota diffusa dalle 35 formazioni dopo una riunione nella sede del Cairo del sindacato dei giornalisti. Nella nota si chiede al Consiglio di "cedere il potere a un governo di salvezza nazionale, che abbia i poteri per gestire la fase di transizione, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza e l'economia, e di definire un calendario preciso per il trasferimento dei poteri a un presidente eletto". I gruppi chiedono anche la "riforma del ministero dell'Interno, lo scioglimento della polizia antisommossa, garanzie per processare tutti coloro hanno le mani sporche di sangue, processi contro coloro che sono dietro le aggressioni ai civili dal 25 gennaio fino alla strage del 19 e 20 novembre".
Nel mirino degli attivisti ci sono in particolare il ministro degli Interni, Mansour Essawy, e quello dell'Informazione, Osama Heikal. I 35 partiti hanno presentato contro di loro una denuncia alla Procura generale del Cairo. Mohamed El-Beltagy ha spiegato ad AKI che Essawy è "accusato delle uccisioni di manifestanti", mentre Heikal è "accusato di essere responsabile delle notizie fuorvianti che arrivano all'opinione pubblica". "La tv di Stato - ha detto - sta diffondendo informazioni false, è tornata all'era di Mubarak".

Non è servita a placare la rabbia della folla neanche l'approvazione della legge contro la corruzione nella vita politica, attesa da tempo, che impedisce ai politici del partito al potere durante il passato regime di candidarsi alle elezioni. La nuova legge prevede l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni per le persone condannate per corruzione e impedisce di fatto ai politici del Partito Nazional Democratico di candidarsi alle prossime elezioni politiche. "Il primo responsabile per questa situazione di violenza è il Consiglio supremo delle Forze Armate, che ha ammesso che non può governare il Paese", ha tuonato il candidato alla presidenza, Mohamed ElBaradei, secondo il quale non molto è cambiato dalla Rivoluzione del 25 gennaio e in molti casi le Forze Armate hanno semplicemente assunto il ruolo di Mubarak, usando anche lo stesso linguaggio. "Parlare di agenda estera e di agenti, per esempio, è esattamente quello che Mubarak usava dire per screditare alcuni movimenti", ha detto.
E intanto proprio la sede del partito di ElBaradei, l'Assemblea nazionale per il cambiamento, è stata colpita da un incendio che l'ha distrutta. Secondo testimoni, sono state le forze di sicurezza ad aver provocato l'incendio all'edificio, oggetto del lancio di gas lacrimogeni. Altri testimoni citati dal sito del quotidiano Youm7 hanno aggiunto che i militari hanno cercato di impedire ai vigili del fuoco di raggiungere la sede del partito per domare le fiamme.

Dalla Lega Araba è arrivato un invito alle forze politiche egiziane affinché "lavorino per riportare la calma" in Piazza Tahrir. In un comunicato la Lega Araba ha espresso "profonda preoccupazione" per l'escalation di violenza di questi giorni e ha auspicato una ripresa del "processo di cambiamento democratico sulla base dei principi di dignità, libertà e giustizia sociale su cui è fondata la rivoluzione del 25 gennaio". Ma non son mancati gli appelli di segno del tutto opposto. Come quello del predicatore salafita e candidato alla presidenza Hazem Abu Ismail, che ha invitato i suoi sostenitori a partecipare alle proteste fino al "raggiungimento degli obiettivi della Rivoluzione di gennaio". Nei giorni scorsi Abu Ismail era stato criticato per non aver partecipato al sit-in che lui stesso aveva organizzato dopo la manifestazione di massa di venerdì. Lui e i suoi sostenitori sono stati accusati di abbandonare le famiglie delle vittime e dei manifestanti feriti durante le rivolte di gennaio, che hanno portato alla deposizione di Mubarak. Tra i candidati alla presidenza, Abu Ismail è senza dubbio quello che usa i toni più accesi nei confronti del Consiglio supremo delle Forze Armate.

A piazza Tahrir, le donne della rivoluzione - Sono scese in piazza, accanto agli uomini, per chiedere al Consiglio supremo delle Forze Armate di lasciare il potere in mano ai civili. Sono le donne di piazza Tahrir, alcune con il capo velato come vuole l'Islam, altre a capo scoperto, tutte unite dalla volontà di far sentire la loro voce contro un potere militare che processa i civili e mantiene lo stato d'emergenza. Così come fu durante la Rivoluzione del 25 gennaio, che portò alle dimissioni dell'allora presidente Hosni Mubarak l'11 febbraio, le donne sono scese in prima linea, sfidando gas lacrimogeni con fazzoletti imbevuti d'aceto a fianco dei loro compagni. Altre erano presenti in strada con telecamere e telefonini cellulari per riprendere la repressione della manifestazione messa in campo dalle forze dell'ordine.
Una giovane donna medico, che chiede di restare anonima, ha detto al giornale Youm 7 di essere scesa in strada per prestare opera di volontariato nella clina vicina a piazza Tahrir, epicentro della rivolta di questi mesi. Pur non dicendosi d'accordo con la manifestazione di venerdì, dice di aver scelto di intervenire quando sabato la situazione è diventata violenta. "Tutta questa violenza non ha scusanti", ha detto a Youm7 davanti alla clinica. Julia Foley è invece una studentessa americana al Cairo da due anni e mezzo. A Youm7, la Foley ha detto di non aver paura a essere vicino agli scontri, ma che "sto cercando di fare qualcosa per rendermi utile. Mi sentivo male a restare seduta nel mio appartamento".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Aki/Ign]

- Perché è tornata la protesta a piazza Tahrir di Paola Caridi (Lettera22 per il Fatto)

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22 novembre 2011
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