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Gheddafi scrive ad Obama: "Poni fine ai raid della Nato"

L'Allenza atlantica: "Gheddafi usa civili come scudi umani". NYT: "Esistono le prove delle torture commesse dai fedeli del raìs contro gli insorti"

07 aprile 2011

Il leader libico Muhammar Gheddafi ha scritto una lettera al presidente americano, Barack Obama, chiedendogli di porre fine ai raid della Nato in Libia. La conferma è arrivata dalla CNN che cita fonti autorevoli dell'amministrazione americana. Confermando la notizia della lettera, il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, si è limitato ad affermare che "una cosa sono le parole, una cosa le azioni". Carney, scrive il sito 'Politico', ha quindi elencato i passi che Gheddafi deve fare prima che l'amministrazione americana prenda seriamente in considerazione le sue parole. Più esplicita Hillary Clinton che ha tenuto una conferenza stampa congiunta con il ministro Franco Frattini: "Gheddafi sa cosa deve fare, si deve dimettere".
Intanto gli uomini del regime di Gheddafi ribadiscono di essere pronti al dialogo con gli insorti se smetteranno di combattere. I ribelli "devono deporre le armi. Successivamente potranno partecipare al processo politico", ha detto il vice ministro degli Esteri di Tripoli, Khaled Kaim. Secondo il diplomatico libico, il Consiglio nazionale di transizione (Cnt), in ogni caso, "non rappresenta la base popolare in Libia", ma potrebbe contare su tutte le "garanzie" necessarie "per ogni processo politico" anche grazie all'intervento di "osservatori dell'Unione africana e dell'Onu capaci di dissipare ogni dubbio". Kaim ha detto che il comitato dell'Oua sulla Libia è atteso a Tripoli "la settimana prossima". Questo comitato è formato dai capi di Stato Mohamed Ould Abdel Aziz (Mauritania), Amadu Tumani Tourè (Mali), Denis Sassu Nguesso (Congo), Jacob Zuma (Sudafrica) e Yoweri Museveni (Uganda).

Ieri pomeriggio la Nato aveva replicato agli insorti, che l'accusavano di aver ridotto il numero attacchi contro le forze di Muammar Gheddafi. "Il ritmo delle operazioni della Nato continua con la stessa identità", ha chiarito una fonte dell'Alleanza, ricordando che da quando la Nato ha assunto il comando di "Unified Protector", il 31 marzo scorso, ci sono state "oltre 330" missioni aeree di combattimento. La vice portavoce dell'Alleanza, Carmen Romero, ha spiegato che se ci sono difficoltà è perché "la situazione sul terreno sta costantemente evolvendo: le forze di Gheddafi stanno cambiando tattica, usano veicoli civili, nascondono i carri armati nelle città come Misurata e usano scudi umani".
Il contrammiraglio Russ Harding, vice comandante dell'operazione Unified Protector, in una conferenza stampa tenuta ieri nella base Nato di Napoli-Bagnoli, ha spiegato che un numero imprecisato di veicoli pesanti e carri armati delle forze governative libiche sono stati distrutti da velivoli Nato a Misurata e nelle vicinanze. I carri armati "rappresentavano una minaccia per la popolazione civile", ha spiegato Harding, che ha sottolineato le difficoltà incontrate dagli aerei Nato qualora "vengano usati civili come scudi. Intraprenderemo azioni al meglio delle nostre possibilità, lavorando in maniera chirurgica a Misurata e nelle altre zone in cui la popolazione civile è messa in pericolo. Esiste un limite fisico a quello che possiamo fare in caso vengano usati i civili come scudi, ma ciò non significa che non abbiamo l'intenzione, la potenza e la volontà di agire". "Crediamo di aver ridotto del 30% la capacità militare libica che è stata mobilitata per azioni di aggressione" ha dichiarato Harding. "Abbiamo messo fuori uso le loro forze aeree e seriamente danneggiato le loro difese aeree". "Negli ultimi giorni - ha spiegato ancora Harding - le forze governative libiche sono progressivamente passate all'uso di tattiche non convenzionali, mescolandosi al traffico stradale e usando civili come scudo per la loro avanzata, muovendosi in direzione della città di Ajdabiya per poi puntare verso Bengasi. In risposta a ciò, la Nato ha effettuato bombardamenti chirurgici per recidere il percorso principale tra Ajdibaya e Misurata". In risposta ad alcuni media che hanno dichiarato che la Nato ha preso le parti dei ribelli, Harding ha ribadito che "l'Alleanza attaccherà qualunque forza intenda colpire i civili. Ricordo che è stato il colonnello Gheddafi a dichiarare che non avrà nessuna pietà per il suo stesso popolo, e che i suoi militari hanno bombardato civili e città, e continuano a minacciare innocenti". Quanto alle accuse dei ribelli alla Nato, Harding ha sottolineato che "sono state intraprese azioni importanti nella zona di Misurata e nelle mille miglia di lunghezza della costa libica siamo noi a dominare. Se in un paio di aree non ci hanno ancora visto, questo puo' aver causato una mancanza di fiducia nei nostri confronti, ma teniamo d'occhio cosa succede in Libia ogni minuto, ogni giorno".
Se la Francia è stato il Paese che più di ogni altro ha spinto per l'intervento, è stato proprio il ministro degli Esteri Juppè ad ammettere le difficoltà dell'azione a Misurata: "Lì la situazione è meno chiara, rischiamo di impantanarci" e ha preannunciato un incontro con il segretario della Nato Rasmussen per discuterne.

Intanto continuano gli scontri nel Paese. Sarebbe di almeno due morti e 26 feriti il bilancio dei combattimenti di ieri a Misurata tra forze fedeli al colonnello Muammar Gheddafi e insorti. E' quanto riferisce l'emittente satellitare al-Jazeera, che cita fonti della resistenza nella città all'imbocco del Golfo di Sirte, 210 km circa a sud-est della capitale Tripoli.
I ribelli dal canto loro confermano di aver ricevuto armi da "paesi amici" senza specificare quali e chiedono "ulteriori aiuti". Il generale Abdel Fattah Yunes, ex ministro dell'Interno del regime libico e attuale capo delle forze armate dei ribelli di Bengasi, ha chiesto ai paesi della Nato di "escludere i ribelli dall'applicazione della 'no fly zone' imposta sulla Libia, in modo da consentire loro di effettuare raid aerei contro le brigate di Muammar Gheddafi".
E in questa situazione di grande incertezza, la vicina Algeria lancia l'allarme: "Siamo molto preoccupati per la presenza di al-Qaeda tra i ribelli libici e il suo rafforzamento nel paese" ha avvertito il ministro algerino per gli Affari africani, Abdel Qader Masahil. "I terroristi islamici sono riusciti a ottenere armi pesanti molto sofisticate approfittando della guerra in Libia - ha affermato - e questo fatto mette in pericolo tutta la regione".

Nei giorni scorsi la stampa algerina aveva parlato di una segnalazione dei servizi segreti che parlava di una carovana di camion carichi di armi prese da al-Qaeda in Cirenaica e inviate nelle sue basi nel nord del Mali. L'altro ieri il quotidiano locale 'el-Khabar' aveva denunciato la totale mancanza nel sud della Libia di agenti della sicurezza, impegnati a combattere contro i ribelli nel nord. Il sud sarebbe quindi una zona franca per terroristi e trafficanti di uomini e armi.
Una fonte della sicurezza algerina ha riferito inoltre che la cellula di al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), attiva nelle regioni del Sahara africano, starebbe inviando suoi kamikaze in Libia per compiere attacchi suicidi contro le brigate di Muammar Gheddafi. Gli inquirenti seguono questa pista alla luce delle indagini che hanno portato all'identificazione di un terrorista algerino di al-Qaeda, Dhakar Abdel Qader, ucciso nei giorni scorsi nella provincia di Illizi, nel sud del paese vicino al confine con la Libia, durante uno scontro a fuoco con la polizia di frontiera algerina. Il terrorista era stato individuato ed inseguito poco prima dagli uomini della sicurezza del regime libico nei pressi della città di Ghadames. Secondo gli inquirenti algerini, il terrorista era stato inviato in Libia dal capo della cellula di Aqmi, Abu Zayd, per compiere un attentato kamikaze. Aveva infatti con sé una cintura esplosiva ed un kalashnikov. Qader era riuscito ad attraversare via terra il confine tra Algeria e Libia, ma una volta arrivato a Ghadames è stato individuato dagli uomini di Gheddafi che lo hanno costretto a rientrare in Algeria e ad affrontare le guardie frontaliere algerine. Il terrorista si è rifiutato di arrendersi ed ha combattuto fino a quando non è stato ucciso. Gli inquirenti libici sono convinti che al-Qaeda si sia infiltrata tra le fila dei ribelli di Bengasi e che partecipi alla guerra contro le brigate di Gheddafi. [Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Repubblica.it]

Gheddafi il torturatore. Sul New York Times le prove delle violenze - Torture brutali. Inflitte dal regime libico ai dissidenti e ai ribelli. Se ne è sempre parlato ma ora ci sono le prove. Le hanno trovate, in una stazione di polizia data alle fiamme a Zawiyah, città presa dai ribelli e poi riconquistata dalle forze lealiste, gli inviati del New York Times, David D. Kirkpatrick e C. J. Chivers. Con tanto di foto di cadaveri e segni inconfutabili di torture. Così come scritto dai due giornalisti sulla testata statunitense.
"Nell’ufficio al secondo piano di una stazione di polizia bruciata, le fotografie sparse sul pavimento raccontano le storie degli sfortunati prigionieri finiti nelle mani del brutale governo del colonnello Muammar Gheddaf. Alcune mostrano cadaveri che portano segni di torture - si legge sul New York Times -. Una mostra cicatrici sulla schiena di un uomo con indosso solo le mutande, un’altra un uomo nudo a faccia in giù sotto un lenzuolo con le mani legate". "Le facce dei morti - prosegue il cronista - hanno espressioni di terrore. Altre foto mostrano pozze di sangue, un tavolo pieno di vasi, bottiglie e polveri e, in una, una lunga sega". Le foto sono state trovate dall’inviato durante un viaggio organizzato dal governo di Tripoli nella città.
E questo purtroppo non sembra essere il solo caso. Anche Al Jazeera, infatti, ha raccolto la testimonianza di un soldato antigovernativo fuggito dalla prigione di Sirte. Un racconto che parla di prigionieri torturati e giustiziati nei sotterranei dell’edificio. [Fonte: News2U.it]

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07 aprile 2011
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