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Piazza Tahrir ha vinto: Mubarak si è dimesso!

Il Cairo in festa. I poteri sono passati in mano ai militari che guideranno la transizione fino alle elezioni di settembre

12 febbraio 2011

"Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l'Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire gli affari del paese. Che Dio ci aiuti".
Erano le 18.10 ora locale quando le parole del vice-presidente Omar Souleiman, pronunciate ieri nel corso di un intervento alla televisione di stato, hanno provocato un vero e proprio boato di esultanza da parte delle migliaia di persone che attendevano questa notizia assiepate nell’ormai storica piazza Tahrir.
La gestione del potere è passata nelle mani del Consiglio Supremo delle forze armate che spiegherà in che modo sarà gestito il potere in questa fase di transizione che va dalle dimissioni di Mubarak fino alle prossime elezioni di settembre. Secondo le prime indiscrezioni, il presidente della Corte Costituzionale parteciperà alla gestione del potere e le camere saranno sciolte.

A Piazza Tahrir, al Cairo, l'annuncio delle dimissioni è stato accolto con una vera e propria esplosione di gioia tra applausi, grida di giubilo e bandiere al vento. Dopo 18 giorni di proteste contro il raìs nella piazza simbolo della rivolta egiziana è scoppiata la festa.
Nel frattempo Mubarak ha lasciato il Cairo per Sharm el-Sheikh per poi espatriare all'estero. L'aereo del presidente egiziano è atterrato all'aeroporto di Sharm el-Sheikh mentre era in corso la preghiera del venerdì islamico, si legge sul sito internet del quotidiano filo-governativo egiziano 'al-Ahram'. Il capo di Stato si è recato "sotto un ingente dispiegamento di uomini della sicurezza verso il palazzo presidenziale di Sharm, a pochi passi da un importante hotel della zona. Poco dopo è atterrato nell'aeroporto locale anche un elicottero carico di bagagli che sono stati portati con l'ausilio di 3 auto verso il palazzo presidenziale". Fonti sostengono che Mubarak era accompagnato da un alto ufficiale dell'esercito ma non dai suoi familiari. Secondo il sito "il fatto che abbia portato molte valigie può voler dire che dovrebbe espatriare direttamente dall'aeroporto di Sharm". A Sharm el-Sheikh in ogni caso c'è una delle residenze di Mubarak.

"E' il più bel giorno della mia vita, il paese è libero!", è il breve messaggio pubblicato su Twitter dal Premio Nobel Mohammed ElBaradei, leader dell'opposizione egiziana, il quale ha inoltre annunciato che non ha intenzione di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali. "Non so da dove cominciare a descrivere la mia reazione, è una gioia, è esilarante, è la totale emancipazione per 85 milioni di persone - ha commentato ancora ElBaradei - Per la prima volta l'Egitto è stato liberato e ha messo i suoi piedi sulla via giusta, verso la democrazia e la giustizia sociale". "E' il giorno migliore della mia vita - ha detto ancora - l'Egitto è libero dopo decenni di repressione, ora ci sarà una transizione positiva dei poteri".
Già ambasciatore dell'Egitto alle Nazioni Unite, nonché Premio Nobel per la Pace nel 2005 per l'impegno presso l'agenzia Onu con sede a Vienna, ElBaradei è rientrato al Cairo per partecipare alle rivolte contro il rais, facendo sentire incessantemente la sua voce di protesta dalla piazza e attraverso le innnumerevoli interviste rilasciate ai media internazionali negli ultimi 18 giorni.
"Sono ottimista, riusciremo a scegliere la via giusta per l'Egitto e per il suo popolo", ha detto il segretario generale della Lega Araba, l'egiziano Amr Moussa, possibile candidato alla presidenza, in un commento a caldo alla Cnn. Le dimissioni del rais, a suo giudizio, significano che "abbiamo ottenuto quello che chiedeva il popolo". Gli egiziani "guardano a un futuro diverso, un futuro migliore", ha aggiunto, invitando la popolazione alla "pazienza" nell'attesa di vedere "quale posizione assumerà" il Consiglio supremo delle forze armate.
Centinaia di sostenitori di Hamas sono scesi in strada nella Striscia di Gaza per festeggiare le dimissioni del presidente egiziano. Dal canto suo l'Autorità nazionale palestinese ha accolto favorevolmente la scelta di Mubarak di tirarsi indietro. "Noi speriamo e ci aspettiamo che sia la cosa migliore per gli egiziani e per gli arabi in generale" ha affermato il portavoce del governo Ghassan Khatib, mentre centinaia di palestinesi affollano le strade di Ramallah per esultare all'uscita di scena del rais egiziano.
"Ci congratuliamo con la grande nazione egiziana per questa vittoria e condividiamo la sua felicità", è stato il primo commento del ministro degli Esteri iraniani, Ali Akbar Salehi.

Il presidente americano, Barak Obama, era stato informato ieri mattina (ora degli Stati Uniti) della decisione di Mubarak. "Le dimissioni di Hosni Mubarak non rappresentano la fine della transizione in Egitto, ma solamente l'inizio", ha detto Obama, sottolineando tuttavia che "l'Egitto non è più lo stesso perché a esprimersi sono stati gli egiziani". "Ci sono pochissimi momenti nella nostra vita in cui abbiamo il privilegio di assistere alla storia che si attua, questo è uno di questi momenti", ha aggiunto. "Rassegnando le sue dimissioni, Mubarak ha risposto alla fame di cambiamento", ha continuato Obama precisando che, se da un lato "ci sono ancora molte domande senza risposta", è "fiducioso che gli egiziani sapranno trovarle". "I militari hanno servito il Paese in modo patriottico e responsabile", ha quindi affermato l'inquilino della Casa Bianca sottolineando che è ora necessario cancellare lo stato di emergenza, assicurare una transizione credibile agli occhi degli egiziani e rivedere la Costituzione per rendere questi cambiamenti irreversibili, oltre che infine, "definire in modo chiaro il percorso per arrivare a elezioni libere e corrette, in cui tutte le voci dell'Egitto siano rappresentate". "Gli Stati Uniti continueranno a essere amici e partner dell'Egitto", ha quindi sottolineato il presidente americano.
Il vicepresidente americano Joe Biden, primo esponente dell'Amministrazione a intervenire sugli sviluppi della crisi dopo l'annuncio delle dimissioni di Mubarak, ha aggiunto che si considera a Washington "totalmente inaccettabile qualsiasi forma di violenza" e si sollecita il "rispetto della volontà degli egiziani". Biden ha anche sottolineato come "in questo momento gli Stati Uniti parlino con una voce sola, democratici e repubblicani insieme, un'unità importante, che sarà ancora più importante nei giorni a venire".

"E' un momento storico per il popolo egiziano, speriamo e preghiamo che tutto questo porti frutti per il Paese", è stato il primo commento che il nunzio apostolico al Cairo, mons. Michael Fitzgerald, ha rilasciato alla Radio vaticana. "Spero anche che lo Stato maggiore dell'esercito - ha affermato il diplomatico della Santa Sede - risponderà alle domande del popolo, alle richieste di libertà politica ma anche alle richieste sociali, perché abbiamo visto scioperi dei lavoratori, ci sono legittime domande come è stato detto". "Il popolo è molto contento, c'è un'atmosfera di gioia, non solo dei giovani ma anche di tutte le famiglie che sono andate in piazza oggi".
E' necessaria una transizione "trasparente, pacifica e ordinata", ha affermato dal canto suo Martin Nesirky, portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Nesirky ha precisato che il segretario generale dell'Onu ha chiesto l'avvio di una transizione del potere al Cairo per soddisfare le richieste della popolazione "che sono state a lungo frustrate" dal governo.
"Questo è un giorno storico di cambiamento pacifico, durevole e democratico". E' quanto ha dichiarato il presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek. "Sostengo pienamente le aspirazioni del popolo egiziano e noi, i popoli d'Europa, siamo al loro fianco e offriamo il nostro supporto", ha continuato sottolineando che "ha prevalso la responsabilità politica e la decisione presa da Mubarak dovrebbe facilitare la transizione democratica senza ulteriore violenza". Il presidente dell'Europarlamento ha quindi sottolineato la necessità che "l'esercito mantenga un ruolo costruttivo nel processo di democratizzazione", e che "un Egitto democratico è importante per l'Ue tanto quanto un Egitto stabile". Secondo Buzek "siamo all'inizio di quello che è diventata una nuova partnership tra la sponda Nord e Sud del mediterraneo, che sarà basata su valori condivisi, giustizia, pace, democrazia e libertà". Per questo "un nuovo governo che includa tutte le forze democratiche è cruciale per la transizione", ha concluso il presidente dell'Aula di Strasburgo.
Il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, sollecita le autorità al potere in Egitto a "garantire il funzionamento degli organi dello Stato e che l'opposizione si dimostri pronta a stabilizzare la situazione". La Russia considera quanto sta accadendo al Cairo il frutto di una lotta di potere interna, ha aggiunto Lavrov.
"Prendiamo atto dell'evoluzione avvenuta in Egitto e del passaggio dei poteri al Consiglio Superiore delle Forze Armate", ha dichiarato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, precisando che "si tratta di uno sviluppo importante per il popolo egiziano e le sue legittime aspirazioni democratiche". "Ribadisco la profonda amicizia dell'Italia verso l'Egitto e il suo popolo al quale siamo vicini ed auspico che attraverso il dialogo costruttivo tra le istituzioni e la società civile la transizione continui in maniera pacifica, ordinata, per un nuovo assetto democratico e nel rispetto degli impegni internazionali dell'Egitto il cui ruolo per la stabilità regionale l'Italia considera cruciale", ha aggiunto Frattini.

Intanto, la Svizzera ha deciso di congelare "con effetto immediato" i beni che potrebbero possedere l'ex presidente egiziano Hosni Mubarak e il suo entourage. Lo ha annunciato il ministero degli Esteri elvetico in un comunicato. "La decisione - si legge nella nota – è destinata ad evitare qualsiasi rischio di storno di beni appartenenti allo stato egiziano".
Ma sul rischio di movimenti sospetti di patrimoni e operazioni di riciclaggio o a fini di terrorismo scatta anche il semaforo rosso di Bankitalia. In una nota diffusa ieri "in relazione alle note turbolenze in corso in alcuni paesi del Nord Africa", via Nazionale sollecita tutti gli intermediari tenuti a segnalare eventuali operazioni sospette (oltre alle banche anche società d'investimento e professionisti), a porre particolare attenzione alle "persone politicamente esposte". In base al decreto legislativo 231/2007 sono i cittadini "di altri stati comunitari o extracomunitari che occupano o hanno occupato importanti cariche pubbliche". Nei confronti dei cosiddetti "Peps" (Politically exposed persons) il decreto prevede che le banche italiane intraprendano procedure ad hoc per stabilire se un cliente sia tale o meno, diano una specifica autorizzazione prima di aprire un conto o effettuare un'operazione, adottino misure per stabilire l'origine del patrimonio e dei fondi impiegati e, infine, effettuino un controllo continuo su ogni operazione.

LE TAPPE DELLA PROTESTA EGIZIANA

Dalla "Giornata della collera" alla fine dell’era Mubarak. La storia dell’Egitto è stata sconvolta in 18 di protesta indotta dai movimenti violenti in Tunisia, dalla caduta di Ben Ali e dalle rivolte popolari che, come un ciclone, si stanno diffondendo in tutta le regione. Ecco di seguito i principali eventi che hanno cambiato il volto del Paese:
25 GENNAIO: Iniziano le proteste di massa, le prime dal 1977. La giornata della collera al Cairo vede per le strade circa 15mila persone che contestano il presidente Hosni Mubarak, da trent’anni al potere, e ne chiedono le dimissioni. Quattro morti nelle manifestazioni
26 GENNAIO: I manifestanti violano il coprifuoco e continuano la protesta. I movimenti pro-democrazia si riuniscono a piazza Tahrir e attaccano a colpi di pietre e molotov la sede del Partito di Mubarak. Sono sei i morti in due giorni e dozzine i feriti.
28 GENNAIO: Mubarak esce dal silenzio e annuncia in un intervento televisivo un rimpasto di governo.
29 GENNAIO: Mubarak nomina Omar Suleiman vice presidente, è la prima volta che il presidente sceglie un secondo dal 1981. Nomina primo ministro un altro militare Ahmed Chafik, ex comandante dell’aviazione.
30 GENNAIO: La contestazione di organizza, Mihammed Elbaradei, ex direttore generale dell’Aiea, prende le redini dell’opposizione per negoziare una transizione verso un governo di unità nazionale con il sostegno dei Fratelli musulmani.
31 GENNAIO: Suleiman annuncia l’apertura delle consultazioni con i partiti
1 FEBBRAIO: La "marcia del milione" di persone è un successo. Migliaia di manifestanti in tutte le principali città egiziane. In serata Mubarak fa una seconda apparizione televisiva e annuncia che completerà il suo mandato ma che non si ricandiderà alle elezioni di settembre. In serata il presidente egiziano aveva parlato con Barack Obama che lo aveva sollecitato a una transizione rapida e ordinata. Il bilancio dell’Onu è di 300 morti, 3000 feriti e centinaia di arresti dall’inizio delle proteste.
2 FEBBRAIO: Proseguono gli scontri a piazza Tahrir. Suleiman annuncia che il figlio di Moubarak, Gamal, non si candiderà alle elezioni.
4 FEBBRAIO: Centinaia di migliaia di persone partecipano al "Giorno dell’addio" per reclamare le dimissioni immediate di Mubarak.
5 FEBBRAIO: Si dimette l’esecutivo del Partito nazionale democratico
6 FEBBRAIO: Riaprono le banche dopo una settimana di chiusura. Rinviata l’apertura della borsa del Cairo.
10 FEBBRAIO: Mubarak delega tutti i suoi poteri a Suleiman
11 FEBBRAIO: Suleiman annuncia le dimissioni di Mubarak mentre oltre un milione di persone continuano a manifestare nel paese. Viene da più fonti confermata la presenza del presidente dimissionario nella sua villa di Sharm el Sheikh.

DA TIENANMEN A TAHRIR: LE PIAZZE CHE HANNO FATTO LA STORIA

In Egitto ha vinto la piazza. Ha vinto piazza Tahrir, piazza della Liberazione. Una 'liberazione', quella che gli egiziani festeggiano in queste ore nella capitale Il Cairo, dopo l'annuncio delle dimissioni del presidente Hosni Mubarak, seguito a 18 giorni di protesta, scontri, manifestazioni e presidi. "Il popolo ha abbattuto il regime!", gridano le centinaia di migliaia di egiziani, consapevoli di aver scritto un pezzo di storia del proprio Paese.
La piazza dunque spartiacque e luogo simbolo della vita di un popolo, come in passato sono state piazza Tienanmen, Alexanderplatz a Berlino Est, San Vencesclao a Praga, piazza Karl Marx a Lipsia, la piazza arancione di Kiev, i luoghi della rivoluzione verde iraniana. Storie diverse ma con scenari simili e dinamiche analoghe, dove la rabbia di un popolo si riversa in piazza - trasformandola nel proprio campo di battaglia - per gridare il dissenso e chiedere il cambiamento, la fine di un regime e l'allontanamento del dittatore di turno. Oggi gli egiziani hanno cacciato Mubarak, come hanno fatto i tunisini pochi giorni fa, partendo dalle strade di Sidi Bouzid e spostandosi in piazza Muhammad Ali a Tunisi, resistendo fino alla deposizione del presidente Ben Ali, pagando con la vita di ben 234 cittadini. Adunate oceaniche che ricordano altre storiche rivoluzioni.

Il pensiero corre all'aprile 1989 a piazza Tienanmen quando, dopo la morte di Hu Yaobang, ex dirigente liberale del Partito comunista cinese, costretto due anni prima alle dimissioni e a un'umiliante autocritica, migliaia di studenti scesero in piazza rivendicandone la riabilitazione. Ma quella richiesta ne sottendeva altre: apertura, tolleranza, fine della censura, dibattito. Fu la scintilla che accese la protesta, ampliandola e trasformando nelle settimane successive Tienanmen in un insediamento permanente. I manifestanti innalzarono al centro della piazza un'enorme statua, alta 10 metri, chiamata 'Dea della Democrazia', in polistirolo e cartapesta e tra i manifestanti erano presenti anche comunisti dissidenti che cantavano l'internazionale. Di fronte all'immobilismo attendista della maggior parte dei dirigenti del Partito, Deng Xiaoping prese l'iniziativa, decidendo insieme agli anziani del Partito per la repressione militare e la promulgazione della legge marziale. Fino ad arrivare al triste epilogo del massacro del 4 giugno, da parte dell'esercito, che passò alla storia.
Quello stesso anno tante piazze europee furono protagoniste di rivoluzioni che segnarono la caduta di molti regimi: Ungheria, Cecoslovacchia, Germania est. Nella Germania orientale, fu piazza Karl-Marx-Platz di Lipsia, oggi Augustusplatz, il teatro del colpo inferto al dittatore della Ddr Erich Honecker. Il 9 ottobre circa 300mila persone presero parte alla prima grande manifestazione contro le autorità. A guidarla c'era il pastore protestante Christian Fuehrer, reverendo della Nikolaikirche, la chiesa dove l'opposizione si coagulò e prese progressivamente coraggio. Esattamente un mese dopo la parata sassone, cadde il Muro di Berlino. Cinque giorni prima si tenne un'altra imponente dimostrazione, sull'Alexanderplatz, con oltre 500mila persone.

Dopo la Germania est fu la volta della Cecoslovacchia. La dittatura di Gustav Husak fu abbattuta dalle proteste di Vaclavske Namesti, piazza San Venceslavo a Praga, coordinate dal drammaturgo Vaclav Havel, poi eletto presidente. In quei giorni s'affacciò insieme a Sasha Dubcek, l'eroe tragico della primavera di Praga, da uno dei balconi degli edifici che delimitano la spianata. Il messaggio fu a tutti chiaro: i cecoslovacchi volevano riprendersi il loro destino. E se lo ripresero, pacificamente.
In Romania la rivolta contro Ceausescu, partita dalla periferia, si spostò nella capitale Bucarest e il 21 dicembre, nell'ex Piata Palatului, oggi piazza della Rivoluzione, s'assembrarono centinaia di migliaia di persone. Esattamente come 21 anni prima, quando i romeni, da quello stesso posto, inneggiarono a Ceausescu, che rifiutando di mandare le truppe a Praga toccò l'apice della popolarità. Ma nell''89 la piazza che in passato lo aveva osannato gli chiese di farsi da parte. Quattro giorni dopo Ceausescu fu giustiziato, insieme alla moglie Elena.
Negli anni successivi altre piazze sono state protagoniste e fautrici del crollo di regimi. Tra questi quello di Slobodan Milosevic, il 'padre padrone' della Serbia, caduto il 5 ottobre del 2000, dieci giorni dopo le elezioni presidenziali vinte da Vojislav Koštunica. La piazza teatro delle manifestazioni fu la Trg Republike di Belgrado. Quella serba, benché non avesse precisi riferimenti cromatici, fu la prima delle cosiddette 'rivoluzioni colorate' che negli anni successivi hanno portato alla capitolazione di Eduard Shevarnadze in Georgia, quando nel novembre 2003 migliaia di persone scesero in piazza a Tbilisi per protestare contro presunti brogli elettorali che avevano consentito ad Eduard Shevarnadze di essere rieletto presidente della Repubblica, dando così vita alla 'Rivoluzione delle Rose' e catapultando la Georgia sulla scena internazionale. Il nuovo governo, insediatosi nel gennaio 2004, si trovò di fronte ad una situazione particolarmente difficile dovendo rispondere alle attese di una popolazione per lo più costretta a vivere sotto la soglia minima della sopravvivenza.
E ancora 'rivoluzioni colorate' e di piazza: la 'Rivoluzione dei tulipani' in Kirghizistan che, nella primavera del 2005, pose fine al governo di Askar Akayeve. O la 'Rivoluzione arancione', il movimento di protesta nato in Ucraina, contro le complesse condizioni di vita del Paese e il suo potere corrotto, nata all'indomani delle elezioni presidenziali del novembre 2004. Mentre i primi risultati vedevano il delfino dell'ex presidente Leonid Kučma - Viktor Janukovyč - in vantaggio, lo sfidante Viktor Juščenko ne contestava i risultati, denunciando brogli elettorali, e chiedendo ai suoi sostenitori di restare in piazza fino a che non fosse stata concessa la ripetizione della consultazione. Una protesta, che ebbe come scenario Piazza dell'Indipendenza di Kiev, per l'occasione tutta colorata da sciarpe, striscioni e nastri arancione.

E ancora: la 'Rivoluzione verde' in Iran con le proteste post-elettorali del 2009-2010 contro l'irregolare rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad durante le elezioni del 12 giugno 2009. Una protesta trasformatasi in occasione per manifestare contro un regime repressivo, oppressivo e autoritario con massicce manifestazioni di piazza dei giovani di Teheran e cruente repressioni da parte del regime degli ayatollah. E infine le 'piazze della protesta' di questi giorni: a Tunisi e a Tirana, ma soprattutto al Cairo dove oggi piazza Tahrir è ancora più grande.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Aise, Adnkronos/Ing, Il Sole24Ore, Il Fatto Quotidiano]

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12 febbraio 2011
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