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Punire con la morte chi ha provocato morte. Il Pentagono chiede la pena capitale per gli imputati dell'11/09

13 febbraio 2008

Punire con la morte chi ha provocato morte. Per il Pentagono non può esserci altra pena che quella capitale per i sei presunti terroristi detenuti a Guantanamo, il campo di prigionia Usa a Cuba, per l'attacco dell'11 settembre 2001, che provocò la morte di 2.973 persone. 

Le sei incriminazioni, che sono state annunciate ufficilamente dal generale Thomas Hartmann, riguardano in primo luogo l'attività di Khalid Sheikh Mohammed, accusato di aver proposto il progetto d'attacco già nel 1996 a Osama bin Laden e di averne poi seguito tutte le fasi fino all'attuazione. Gli altri cinque incriminati, coinvolti a vario titolo nel più grave attacco terroristico nella storia d'America, sono: Mohammed al-Qahtani (in passato indicato come il possibile 20mo dirottatore mancante dell'11 settembre); lo yemenita Ramzi Binalshibh (un membro della cosiddetta 'cellula di Amburgo'); Ali Abd al-Aziz Ali (noto come Ammar al-Baluchi, nipote di Mohammed e ritenuto il braccio operativo del piano); Mustafa Ahmed al-Hawsawi (braccio destro di al-Baluchi); Walid bin Attash, noto con il nome di battaglia di Khallad, che avrebbe scelto e addestrato alcuni dei dirottatori.
In un capo d'imputazione lungo 90 pagine (in gran parte costituito dai nomi delle vittime) vengono contestate le accuse di omicidio, cospirazione per commettere omicidio, attacchi contro civili, lesioni aggravate volontarie, terrorismo e dirottamento di aerei. Quello messo in piedi dagli imputati, secondo il generale Hartmann, è stato "un sofisticato piano di lungo termine di Al Qaida per attaccare gli Stati Uniti d'America".

I sei detenuti dovrebbero ora venir processati dalle "commissioni militari" create dal Pentagono dopo l'11 settembre, e che mai sono entrate in azione a Guantanamo. Si tratterà dei primi casi giudiziari discussi a Guantanamo che prevedono la pena di morte.
Il generale Hartmann, ufficiale dell'Air Force che svolge il compito di consigliere legale per i tribunali speciali militari, ha affermato che ai detenuti incriminati verranno concessi una serie di diritti, tra cui quello di controesaminare i testimoni e la possibilità di accedere a processi d'appello. Ma le fonti di prova saranno sottoposte a varie limitazioni, soprattutto quelle acquisite dalla Cia nelle prigioni segrete. La Cia ha ammesso nei giorni scorsi che Mohammed è stato sottoposto a 'waterboarding', una tecnica di interrogatorio da più parti considerata una tortura, e la circostanza sembra destinata ad avere un peso nel processo. Hartmann ha spiegato che toccherà a un giudice militare stabilire quali fonti di prova ammettere.
I tempi del processo sono per il momento incerti, l'ipotesi è che possa venir celebrato in estate in una struttura speciale creata a Guantanamo, una tendopoli battezzata 'Camp Justice'.

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13 febbraio 2008
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