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Via da Lashkar-gah...

Scaduti i termini di 72 ore per il fermo dei tre cooperanti di Emergency arrestati sabato. A loro carico ancora nessuna accusa precisa

13 aprile 2010

Sono arrivati a Kabul i 6 cooperanti di Emergency che erano rimasti a Lashkar-gah dopo l’irruzione della polizia, dei servizi segreti afgani e dei militari delle forze Isaf-Nato nell’ospedale di Emergency. Tra i sei, il logista dell’ospedale di Kabul che era andato a Lashkar-gah subito dopo l'irruzione, una anestesista e tre infermiere italiane e un fisioterapista indiano che lavoravano nella struttura. In seguito alle operazioni che hanno portato al prelevamento di Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani (arrestati con l'accusa di aver partecipato a un complotto per uccidere il governatore della provincia di Helmand, Goulab Mangal - LEGGI), lo staff era rimasto nell’abitazione degli internazionali in città.
Lo staff di Emergency non era più entrato in ospedale dal momento dell’irruzione e da allora Emergency non ha più la responsabilità delle attività dell’ospedale. La struttura, a quanto si apprende, non è stata chiusa anche se resta sotto il controllo delle autorità afghane.
Inoltre sono scaduti i termini di 72 ore per il fermo, e ancora non si hanno notizie sulla posizione giuridica dei fermati. A Emergency al momento non risulta che sia stata ancora formulata alcuna accusa a loro carico né che siano stati indicati i diritti a loro tutela, compresa la possibilità di nominare un avvocato difensore. L'Ong è in attesa di ricevere ulteriori informazioni sulla condizione dei fermati da parte della rappresentanza diplomatica italiana a Kabul che sta seguendo l’evolversi della situazione.
Secondo fonti giudiziarie la "procura di Roma ha formalmente aperto oggi un fascicolo sulla vicenda, ma senza ipotesi di reato".

Già all'indomani dell'arresto dei tre cooperanti Emergency si è mobilitata per chiederne la liberazione. "A questo punto - ha dichiarato ieri ai microfoni di CNRMedia il responsabile comunicazione di Emergency, Maso Notarianni - possiamo parlare a tutti gli effetti di sequestro, dal momento che i tempi di un fermo legale sono scaduti. Sono scadute le 72 ore di fermo senza che vi sia stato un fermo restrittivo o qualsiasi altra comunicazione e non ci risultano notifiche a nessuna procura afgana". "A questo punto - ha detto ancora Notarianni - mi sembra lecito esigere la liberazione del nostro personale e chiediamo che il governo si attivi in questo senso. Ora ci prepariamo per una mobilitazione nazionale per sabato prossimo a Roma. Il nostro appello sul sito sta riscuotendo un successo clamoroso, da ieri sera continuiamo a registrare oltre 1.500 accessi contemporanei ogni minuto".
"Spero in una svolta rapida delle indagini - ha dichiarato Cecilia Strada - noi di Emergency chiediamo il rispetto della legge e della Costituzione da parte delle autorità afghane".

Le accuse di Emergency che parla di sequestro dei suoi volontari "hanno il sapore di una polemica politica. Sono frasi che non aiutano innanzitutto i nostri connazionali. Se cominciamo a parlare di sequestro trasformiamo in una vicenda politica quella che è una investigazione alle prime battute, che vogliamo seguire garantendo i pieni diritti dei nostri connazionali". Ha replicato così il ministro degli Esteri Franco Frattini, che domani riferirà in Parlamento sulla vicenda. "Non li abbiamo abbandonati: vale anche per loro la presunzione di innocenza, assieme all'impegno preso con noi dalle autorità afghane al rispetto dei loro diritti" ha poi scritto il capo della Farnesina su Facebook, dove ha assicurato anche: "seguiamo e seguiremo con cura l'evolversi" della vicenda.
Ieri sera, infine, il ministro ha aggiunto che se "dovessero emergere accuse fondate nei confronti dei volontari di Emergency arrestati in Afghanistan sarebbe per me, da italiano un danno grave". "Abbiamo comunque il dovere di garantire protezione giuridica ai tre connazionali arrestati". Per questo, ha annunciato Frattini, è stato chiesto alle autorità afgane di accettare la presenza di un avvocato che assista i nostri connazionali.
Il fondatore di Emergency, Gino Strada, ospite di 'Porta a porta' ha detto: "Mi sembra normale che i nostri operatori non abbiano confessato niente perchè non c'è niente da confessare e, in secondo luogo, non è stata formulata alcuna accusa. Tanto più che non sono stati nominati nè un avvocato dell'accusa nè una della difesa".  "I nostri operatori - ha proseguito - sono in uno stato di detenzione illegale perchè sono passate più 24 ore e nulla è stato passato nelle mani della procura. Ricordo inoltre che, pur se in buone condizioni di salute, i tre non hanno potuto neanche parlare con le loro famiglie".
Quindi, sempre dagli schermi Rai, Strada ha lanciato un'accusa: "Penso che qualcuno abbia messo le armi nel nostro ospedale, certamente non i nostri".

Cauto invece il governo afghano che ha smentito le indiscrezioni apparse sul 'Times' relative a una presunta confessione dei tre operatori. "I tre uomini sono stati arrestati nel corso di un'operazione congiunta" ha detto il portavoce del ministero dell'Interno Zamarai Bashary ad Aki-Adnkronos International, limitandosi a sottolineare che "adesso sono in corso gli interrogatori. Stiamo cercando di capire come queste armi siano arrivate lì".
Dal canto suo il ministro degli Esteri ha sottolineato: "Mi sembra che ci sia stata una notizia erronea data da un giornale e non una marcia indietro degli afghani. Gli afghani hanno detto di non aver mai collegato gli italiani ai terroristi". "C'è un giornale - ha aggiunto il ministro da Tirana - che lo aveva dato per scontato si tratta di un caso di cattiva informazione resa all'intero mondo".
Ma il Times ha ribadito le frasi sulla presunta confessione dei tre italiani smentite poi dal portavoce del governatorato di Helmand, Daoud Ahmadi: "Me lo ha detto due volte - ha dichiarato all'Agi l'inviato del quotidiano inglese autore dell'articolo, Jerome Starkey - Ero così sorpreso che nel pomeriggio l'ho richiamato e mi ha confermato quelle frasi".
Inoltre Daoud Ahmadi, in un'intervista ad Aki, ribadisce che "pistole, giubotti esplosivi, radio e altro equipaggiamento sono stati trovati in un magazzino dell'ospedale di Emergency supervisionato indirettamente dagli italiani". Sabato, riferendo dell'arresto dei nove, era stato lo stesso Ahmadi ad accennare a sospetti "contatti" tra il gruppo e "la leadership dei Talebani", da cui i tre italiani e i sei afghani coinvolti, aveva precisato, sono sospettati di aver ricevuto 500mila dollari.

E' stata invece smentita, dai diretti interessati, l'ipotesi che i tre operatori abbiano legami con i talebani. "Perché mai dovremmo pagare 500mila dollari a un 'farangi' (straniero) quando abbiamo centinaia di persone pronte per il 'fidayin' (attacco suicida)?", si è chiesto Abdul Khaliq Akhund, comandante talebano locale, in un'intervista telefonica ad Aki-Adnkronos International. Akhund proviene dal distretto di Nawzad, nell'Helmand, ed è stato comandante dei talebani nei distretti di Nawzad e Musa Qala. "Sull'ospedale di Emergency non abbiamo alcuna opinione, né positiva né negativa - ha affermato - Ci sono molte organizzazioni che lavorano sul posto, a prescindere dall'agenda delle forze di occupazione. La Croce Rossa e l'ospedale di Emergency sono solo alcune di queste", ha sottolineato il comandante Akhund, precisando che "i talebani rispettano il loro lavoro". "Il comandante dei credenti, il mullah Omar, apprezza il lavoro della Croce Rossa. Questo significa forse che i talebani sono in collusione con la Croce Rossa?", ha aggiunto Akhund.

[Informazioni tratte da www.emergency.it, Reuters.it, Adnkronos/Aki, Repubblica.it]

 

 

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13 aprile 2010
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