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In cammino lungo la Magna Via Francigena

Un itinerario di 160 km tra Agrigento e Palermo, ripercorrendo le rotte dei pellegrini

10 marzo 2017
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Nel giugno 2017 si è tenuto il cammino inaugurale della Magna Via Francigena, un itinerario che solca l’entroterra, ripercorrendo le rotte dei pellegrini. La Magna Via Francigena è la grande arteria di comunicazione che collega da sempre la Balarm araba alla rocca di Agrigentum, attraverso antiche vie storiche e paesaggi cangianti, incrociando la via di transumanza verso le Madonie nel territorio di Castronovo di Sicilia.

Un percorso, destinato a camminatori e viandanti che comprende complessivamente otto tappe da 20-25 km ciascuna: in tutto 160 km tra sentieri trazzerali o strade provinciali poco trafficate, vie in terra battuta e acciottolato che permettono di scoprire, da Agrigento a Palermo, l’interno della Sicilia occidentale e le sue perle rurali.

Tutta la Magna Via non solo punta al recupero storico del patrimonio culturale del territorio ma soprattutto allo sviluppo di una nuova microeconomia, ad impatto zero, basata sulla promozione dei prodotti locali, sull’accoglienza come valore e come risorsa e sul movimento lento come stile di vita.

Centinaia i punti di interesse ed i siti archeologici disseminati tra colline, alture e distese dell’entroterra, candidati ad essere patrimonio dell’umanità.

Ai camminanti che presentano la "Credenziale del viandante" timbrata viene concesso il Testimonium, quel documento che, proprio come la "Compostela" per il Cammino di Santiago, certifica l’avvenuto pellegrinaggio a Roma devotionis causa.

Il progetto è promosso dal Comune di Castronovo di Sicilia e dal partenariato diffuso di tredici Comuni, dalla Diocesi di Agrigento e con il supporto dall’associazione Amici dei Cammini Francigeni di Sicilia e gode del sostegno del Mibact e dall’assessorato al Turismo della Regione Sicilia. [Info www.magnaviafrancigena.it]

I Comuni della Magna Via Francigena

TappaCastronovo di Sicilia

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La fondazione della città di Castronovo di Sicilia non ha una data ben precisa, ma si ha notizia di insediamenti "in loco" fin dai tempi preistorici. La città è sita oggi a 675 m. sul livello del mare ed è sistemata a ridosso dei Monti Kassar e San Vitale. 

Con il nome di "Crasto" assurse a città nel IV secolo a.C. e fu sede di abitanti sicani. Il primo insediamento avvenne sull’altipiano del Monte Kassar e venne distrutto dai romani insieme a Triocla, durante le guerre servili contro i sicani. Dalla ricostruita Crasto riedificata sullo stesso posto dai cittadini, l’insediamento venne trasferito, per ragioni di sicurezza, prima sull’altura del Monte San Vitale e poi, per altre ragioni, nell’odierna posizione.

Nella contrada "Grotte" si trovano anfratti preistorici nei quali si notano tracce di geroglifici e simboli figurativi di epoca sicuramente preistorica (grotte del Capelvenere, di Annibale).

Il nome originario di "Crasto" venne poi sotto l’egida di Roma, mutato in Castrum, quindi Kassar o Kars-nubu sotto la dominazione araba ed infine, per i normanni, venne chiamata Castrum-novum o Castronovo. Politicamente al di sopra di ogni fazione per quasi tutti gli anni dalla sua fondazione, fu città libera e città capo-Comarca.

Solo poche volte, e per pochi decenni, fu soggetta a dominio di signori, che la comprarono da re o vice-re  ma i cittadini castronovesi, forti delle loro corporazioni, seppero riscattare a suon di moneta raccolta tra loro in varie sottoscrizioni, la loro indipendenza e seppero ridare alla loro città la primiera posizione di città demaniale e libera.

TappaAgrigento

Fondata intorno al 580 a.C., Agrigento vanta un territorio in cui si insediarono i vari popoli che lasciarono traccia nell'isola. Già sede di popoli indigeni che mantenevano rapporti commerciali con egei e micenei, il territorio agrigentino vide sorgere la polis di Akragas, fondata da geloi di origine rodio-cretese.

Raggiunse il massimo splendore nel V secolo a.C., prima del declino avviato dalla guerra con Cartagine. Nel corso delle guerre puniche venne conquistata dai Romani, che latinizzarono il nome in Agrigentum. Successivamente cadde sotto il dominio Arabo, con il nome di Kerkent, e nel 1089 d.c. fu conquistata dai Normanni.

È nota come Città dei templi per la sua distesa di templi dorici dell'antica città greca posti nella cosiddetta valle dei Templi, inserita, nel 1997, tra i patrimoni dell'umanità dall'UNESCO.

Il centro storico di Agrigento è individuabile sulla sommità occidentale della collina dell'antica Girgenti. Risalente all'età medioevale del IX e XV, conserva ancora oggi vari edifici medioevali (chiese, monasteri, conventi e palazzi nobiliari). Nel centro storico sono custodite significative testimonianze dell'arte arabo-normanna. Da aprile del 2016 è tornata a chiamarsi ufficialmente Girgenti.

TappaSutera

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Nell'estrema punta ovest della provincia di Caltanissetta, a pochi Km dallo scorrimento veloce Pa-Ag e in prossimità di Campofranco, sorge Sutera, adagiata sul rialzamento di un altopiano solfifero costituito da terreni gessosi del periodo Miocenico.

Si tratta di un piccolo ma affascinante centro agricolo che domina le colline sottostanti e la valle del fiume Platani. Il centro abitato si sviluppa a forma di ferro di cavallo attorno alle pendici del monte San Paolino (823 metri), una superba roccia piramidale chiamata 'Subtilissima' per la salubrità dell'aria.

Sutera è costituita da tre anime che si identificano con i suoi tre quartieri: il Rabato, il Rabatello e il Giardinello.

TappaPrizzi

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A circa 1.000 metri sul livello del mare, in una splendida posizione panoramica che si apre sulle vallate del fiume Sosio e del fiume Vicaria, sorge Prizzi, lo smeraldo dei Sicani. Il paese, i cui confini sono delimitati dalle vicine Corleone e Palazzo Adriano, è il luogo ideale per trascorrere qualche giorno di vacanza in tutte le stagioni ma soprattutto in inverno quando il panorama si imbianca di neve assumendo tutte le caratteristiche del tipico paesaggio nordico da cartolina con i tetti a spiovente delle case, i vicoli e le stradine uniformemente colorate di bianco.

Chi va a Prizzi lo fa per respirare aria pura, per rilassarsi lontano dal rumore della città e immergersi nell'ambiente suggestivo e incontaminato delle sue riserve naturali, o per gustare gli squisiti prodotti enogastronomici locali come il pecorino stagionato, il caciocavallo o 'u tumazzo dal caratteristico sapore piccante, accompagnati magari da un buon bicchiere di vino rosso locale.

La Valle del Sosio, attraversata dall'omonimo fiume, è una delle riserve naturali di Prizzi, da tempo meta di tanti studiosi, che vi ammirano l'irripetibile fauna fossile del Permiano (280-225 milioni di anni fa). Un'altra riserva naturale di Prizzi è quella di Monte Carcaci (alto 1.196 metri sul livello del mare) che in autunno è sorvolato dalle gru e popolato da tanti rapaci oramai rari come aquile, falchi e capovaccai.

Luogo meritevole di attenzione dal punto di vista naturalistico è inoltre, il Lago di Raia, un bacino artificiale con una capacità di 9 milioni di metri cubi d'acqua, formatosi grazie alla realizzazione di una diga alta 40 metri.

TappaCammarata

Il nome Cammarata deriva probabilmente dal greco bizantino Kàmara e significa "stanza a volta". Il primo documento nel quale viene citato il territorio di Cammarata è del 1141, un atto di donazione della chiesa di Santa Maria (oggi distrutta) da parte della normanna Lucia di Cammarata al vescovo di Cefalù; insieme alla chiesa Lucia la Normanna dona anche cinque casali dal nome inequivocabilmente arabo, segno che il territorio a quell'epoca era abitato almeno dal tempo dell'occupazione araba della Sicilia.

Era presente, in quel tempo, anche una piccola comunità ebraica. Reperti archeologici trovati in tutto il territorio di Cammarata testimoniano che esso era abitato anche in epoca romana e addirittura preistorica.

La contea di Cammarata seguì le vicissitudini storiche della Sicilia, passando dai Normanni agli Svevi e con Federico II diventò per breve tempo città demaniale. Passato il periodo di grande incertezza dovuto alla guerra del Vespro, nel 1397 in seguito alla ribellione del conte di Cammarata a Martino il Giovane che nel frattempo era diventato re di Sicilia, Cammarata subì l'assedio da parte di Bernardo Cabrera, braccio destro del Re.

Fu possesso e residenza di diverse famiglie nobili fra le quali quelle di Vinciguerra d'Aragona nel 1369, dei Moncada e dei Branciforte. Visse un periodo florido e di pace nel XV secolo, sotto gli Abatellis che, grazie alla loro origine di mercanti, sfruttarono al meglio le risorse del territorio. Dopo il XVII secolo cominciò la decadenza di Cammarata, fino alla fine del feudalesimo in Sicilia nel 1812.

TappaMilena


Foto www.typicalsicily.it

Con il nome storico di Milocca (dall'arabo Mulok che significa ciliegio o grande proprietà), il comune di Milena nasce nel 1924 per volontà di Vittorio Emanuele III di Savoia. A dare impulso all'attività cooperativistica dell'unica Cassa Rurale "laica" della provincia nissena, fu Salvatore Angilella. Egli contribuirà grandemende alla storia di Milocca e delle sue istituzioni adoperandosi alla sua rinascita sociale, politica ed economica per quasi un sessantennio fino alla sua morte avvenuta nel 1966.

Nel 1933, il comune fu ribattezzato Littoria Nissena. Nello stesso anno, in omaggio alla regina Milena del Montenegro, madre della regina Elena, sposa di Vittorio Emanuele III, la città fu rinominata Milena.

Dal 1924 al 1946, a Milena si sono succeduti ben 13 Commissari prefettizi e potestà e 10 sindaci di cui i primi due di nomina prefettizia. In seguito, nel 1946, si fecero le prime elezioni amministrative, e si ebbe finalmente la prima amministrazione comunale eletta democraticamente.

Dal 1954, il Dott. Giuseppe Luparelli prende le redini del paese per circa 40 anni. Uomo influente e capace cambia radicalmente il paese, infatti essendo Milena suddiviso in villaggi molto distanti tra loro, cerca di accentrare la popolazione con lottizzazione di terreni per i più indigenti e con la costruzione di case popolari.

TappaGrotte

Secondo Polibio Erbesso, Grotte dovette essere un villaggio distrutto dai romani nella Prima guerra punica, durante l'assedio della città di Agrigento, e del quale essi si servirono come luogo di deposito di viveri e di materiale bellico.

Grotte sotto gli Aragonesi fu terra feudale, cioè terra in cui l'amministrazione del re veniva delegata da un vassallo che la riceveva in beneficio. Appartenne pertanto ai Ventimiglia, ai Montaperto, poi, nella seconda metà del XVIII secolo a Don Vincenzo La Grua Talmanca Principe di Carini, discendente del protagonista del truce episodio in "La baronessa di Carini" che tanto eco suscitò nel cinquecento in tutta la Sicilia. La Grua, carico di debiti, nel 1800 vendette ed assegnò le proprie terre ai vari creditori.

Tra il 1873 ed il 1876 nel paese di determinò uno scisma della religione cattolica per niniziativa del sacerdote Luigi Sciarratta che, accogliendo parecchi elementi della confessione evangelica diede origine ad una vera e propria chiesa separata. Quindi egli si rivolse alla diocesi agrigentina con una lettura a stampa nella quale invita i fedeli a seguire la vera religione. Scomunicato da Pio IX, la cui infallibilità papale era stata dichiarata appena un triennio prima nel Concilio Vaticano I, lo Sciarratta venne abbandonato dai sui seguaci, e la chiesa separata ben presto si estinse.

Si vuole che il presente nome di Grotte sia originario dal termine punico "Erbessus", nel quale idioma essa sta a significare "Mons Foveae" ovvero abbondante di grotte (dal latino volgare "gruptae", corruzione del classico "cryptae") cioè "Monte Incavato". Poiché il territorio di Grotte, per lo più natura calcarea, abbonda di spelonche e caverne, si pensa che Grotte sia sorto sulle rovine dell'antica Erbesso di cui parla Polibio, distinta però dall'altra Erbesso in provincia di Siracusa, pur essa ricca di grotte e di caverne.

TappaSanta Cristina Gela


Foto di Djalo24 da en.wikipedia.org, CC BY-SA 3.0

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Santa Cristina Gela (Sëndahstina in arbëresh), insieme a Contessa Entellina e Piana degli Albanesi, fa parte delle tre comunità albanesi di Sicilia, in cui l’antica lingua albanese (arbërishtja) viene ancora parlata. I suoi abitanti sono arbëreshë, ossia italo-albanesi. Il paese sorge su un colle a m.670 s.l.m., a 25 km da Palermo. È circondata da una corona di vette di notevole altitudine.

Il feudo di Santa Cristina, nuovo nome della più antica Terra di Costantino menzionata nel Rollo di Monreale (1182), fu donato dal Conte Ruggero dei Normanni all’Arcivescovo di Palermo e il 31 maggio 1691 fu concesso in enfiteusi a 82 agricoltori arbëreshë provenienti da Piana degli Albanesi. Essi si stabilirono su un insediamento rurale (masseria o bicocca) preesistente, tipica del periodo arabo in Sicilia. Tale nucleo originario, l’antico baglio, con successivi apporti, è ancora leggibile in piazza Umberto I, mentre l’adiacente piazza Mariano Polizzi, attuale piazza principale, in antico costituiva il màrcato, lo stazzo per gli armenti.

La fondazione di Santa Cristina, quale capoluogo del feudo omonimo, dell’Erranteria del Salice e del Pianetto va ricondotta al 1747, anno di una nuova concessione enfiteutica accorpata a favore dei Naselli, Duchi di Gela, che vi esercitarono la signoria baronale sino all’abolizione del sistema feudale in Sicilia (1812). Nel 1818, con Legge Organica del Regno delle Due Sicilie estesa ai domini borbonici "ultra Farum", diviene Comune e continua a denominarsi Santa Cristina. Il nome odierno "Santa Cristina Gela", richiamando l’eponimo dei Naselli fondatori, viene sanzionato dopo l’unità d’Italia al fine di evitare le molte omonimie riscontrate nel territorio del nuovo Regno d’Italia.

La particolarità religiosa, cioè la compresenza nella stessa chiesa parrocchiale "latina", sia della liturgia "greca" che di quella "romana", continuò a mantenersi fino alla seconda metà del XIX secolo, quando la tradizione della messa "arbërisht" cedette a quella "litisht", come risulta dai registri parrocchiali consultati dallo studioso Giuseppe Chiaramonte Musacchia.

TappaJoppolo Giancaxio

Come per tanti altri paesi, è difficile trovare una data in cui collocare la fondazione. Sicuramente sorse nel XVII secolo, quando sotto l’auspicio dei baroni e signori di terre, venne attuata la colonizzazione dell’interno della Sicilia. Si attribuisce al 1696 la data di fondazione di Joppolo Giancaxio ad opera di Calogero Gabriele Colonna, Duca di Cesarò, il quale nei suoi feudi di Giancascio e Realturco eresse il casale. Il nome Joppolo si pensa sia un omaggio del Duca di Cesarò alla moglie Rosalia Joppolo.

L’economia era basata sull’agricoltura, alle dipendenze del Duca, attraverso il sistema del bracciantato, allora molto numeroso. Con la fine della feudalità Joppolo venne costituito in Comune autonomo, ma perse tale autonomia nel 1827 e venne declassato a borgata di Aragona, per diventare nel 1892 borgata di Raffadali, perché più vicino a questo centro e , infine, nel 1926, forse per interessamento dell’ultimo Duca, tornò ad essere Comune autonomo.

Tra i monumenti più antichi ancora presenti segnaliamo il Castello dei Colonna, un tempo rinomato ma ormai in uno stato di abbandono e assai precario. Si possono ammirare alcune belle tele e statue, soprattutto quella della Madonna del Carmine e di San Francesco. Il paese sorge a 450 metri sul livello del mare e si estende su una superficie di 20 chilometri quadrati. Il suo territorio è attraversato dal fiume Akragas o Drago. Molto sentite sono le feste dedicate a San Giuseppe e alla Madonna del Carmine e soprattutto la pastorale del 6 gennaio.

TappaComitini

La terra dello zolfo e delle zolfare, del tricolore, la terra di Ciaula, Comitini giuridicamente nasce il 23 giugno, X indizione, dell’anno 1627, per concessione dello Jus Populandi da parte del re Filippo IV al barone Gaspare Bellacera. Lo studio etimologico del toponimo Comitini confermerebbe che nel I secolo d.C., in età romano imperiale la cittadina ed il suo territorio erano densamente antropizzati.

Il territorio era attraversato da un’importante arteria di comunicazione, come conferma l’Itinerarium Antonini, lungo l’asse Agrigentum-Panormus ed in prossimità dell’attuale centro abitato esisteva un’antica Statio romana denominata "Comiciana" da cui pare derivasse l’attuale toponimo del territorio e del Comune, anche se, da un attento studio etimologico, alcuni studiosi concordano un’origine araba del toponimo (Cumma el tin che si traduce in la Collina dei fichi).

Nei primi anni dell’Ottocento Comitini sale agli onori della cronaca per la riscoperta dell’attività minerario zolfifera. In poco tempo furono attive nel territorio ben 70 miniere che davano lavoro a circa 10.000 addetti.

Nel 1859 Comitini fu sede di moti rivoluzionari: nel territorio operava una folta schiera anti-borbonica. E fu questo gruppo di patrioti che, il 3 luglio del 1859, innalzarono per la prima volta nell’agrigentino, sul monte la Pietra, la prima bandiera tricolore a simbolo dell’unità delle genti italica e come segno di rivolta per le popolazioni dei comuni vicioniori. Lo stesso gruppo di patrioti contribuì all’arrivo di Giuseppe Garibaldi a Palermo nell’anno successivo.

Al comune di Comitini è legata la figura di un grande premio Nobel per la Letteratura Luigi Pirandello, che qui trascorse parte della sua giovinezza, dove i genitori erano proprietari di una miniera di zolfo. Da questo piccolo paese dall’antica tradizione mineraria prese spunto per la scrittura di alcuni suoi scritti, quali le novelle "Ciaula scopre la luna" ed "Il Fumo" ed in questi suoi scritti sono tramandati ai posteri momenti di vita quotidiana dei minatori comitinesi.

TappaSan Giovanni Gemini

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L’origine del territorio di San Giovanni Gemini risale al 1451, anno in cui Federico Abatellis, conte di Cammarata, ottenne dal re Ferdinando il privilegio di edificare (jus aedificandi) nei suoi feudi. Nel 1507 fu concessa la licentia populandi che i Conti esercitarono in un luogo pianeggiante vicino Cammarata, al di là del fiume Turibolo.

Circa le origini storiche di San Giovanni Gemini le ipotesi sono tre: si parla di Cammaratesi non graditi ai Conti, che banditi da Cammarata, si siano stabiliti a San Giovanni Gemini. Il bando era una forma di domicilio coatto che si infliggeva per delitti non gravi oppure per allontanare persone non gradite alle autorità del luogo.

A ciò si potrebbero collegare le vicende che coinvolsero il conte Abatellis nella congiura contro i fratelli Imperatore, conclusasi con la condanna a morte di Federico II Abatellis, decapitato a Milazzo nel 1525. Quindi è possibile che qualche partigiano del Conte, per motivi politici sia stato bandito da Cammarata.

Una spiegazione possibile circa le origini di San Giovanni Gemini viene riportata da Padre La Pilusa e riguarda la frana avvenuta circa nel 1537, anno in cui a causa di un terremoto, franò la collina dove sorgeva il castello di Cammarata. Il castello fu riparato ma le abitazioni sul ciglio della rupe crollarono, è quindi possibile che le famiglie, che subirono le perdite peggiori, abbiano ottenuto dal Conte il permesso di costruire sul piano di San Giovanni che si estendeva dall’attuale chiesa di San Giuvannuzzo al viale Dionisio Alessi.

Un’altra ipotesi sulle origini di San Giovanni Gemini, a parere di Monsignor De Gregorio, ha origine da un presunto popolamento delle campagne con un incremento spontaneo delle popolazioni che hanno dato origine ad un borgo, prima, e a San Giovanni di Cammarata, poi.

Nel 1587 Ercole Branciforte, conte di Cammarata, assegnò una piccola porzione di territorio al nuovo paese, e perciò da allora San Giovanni di Cammarata cominciò un’autonoma vita civile ed amministrativa, fino a che nel 1878 per volere di alcune nobili famiglie, il paese assunse l’attuale nome.

TappaRacalmuto

Racalmuto è un centro agricolo di circa 9.000 abitanti, a pochi kilometri da Agrigento. Il paese fu un feudo della famiglia La Grua fino al 1812 ma affonda le sue radici nelle dominazioni arabe. Il nome del paese deriva infatti, molto probabilmente, dall’arabo Rahal Maut che può essere tradotto in "Villaggio morto", perché quando gli arabi vi giunsero, trovarono la popolazione quasi sterminata dalla peste.

La conformazione urbanistica del paese è medievale, ed è in quest’epoca che il paese ha conosciuto il suo massimo splendore, assumendo l’aspetto che oggi mostra. L’attrazione principale del paese è il castello dei Chiaramonte, un maestoso maniero che si trova nel centro storico del paese, in piazza Umberto.

Di grande interesse è l’architettura religiosa: ci sono bellissime chiese come la Chiesa Madre, dove sono custodite alcune tele del pittore Pietro d’Asaro e la chiesa di Santa Maria del Monte, posta al culmine di una scenografica scalinata. Infine Racalmuto è la cittadina che ha dato i natali allo scrittore Leonardo Sciascia, che qui ha vissuto buona parte della sua vita.

E a lui sono dedicati la Fondazione Leonardo Sciascia e il Parco Letterario Regalpetra, per promuoverne il pensiero e le opere. Ad affascinare i visitatori è la grande pinacoteca che raccoglie oltre duecento ritratti di scrittori, quasi tutti donati da Leonardo Sciascia. Tra questi, molte opere di Clerici, Guccione, Guttuso, Caruso, Tranchino e Chagall.

TappaCampofranco


Foto di Pequod76 - Opera propria, CC BY-SA 3.0

Piccolo casale fondato nel 1573 dal barone Giovanni Del Campo su licenza regia, Campofranco diviene in breve tempo un fiorente borgo, passato poi ai Lucchesi Palli che lo elevarono a principato.

La storia di Campofranco comincia nel 1549, quando la famiglia Dei Campo perde la baronia di Mussomeli per una serie di disavventure legate al nome di Cesare Lanza. Nel 1573 Filippo Il di Spagna, figlio di Carlo V, sotto la cui dominazione ricadeva la Sicilia, invia lettere regali con la licenza di edificare un casale e chiamarlo Campofranco.

La vita del paese cominciò a svolgersi, dunque, simile a quella di tanti altri comuni. Presto, attratti da regalie e privilegi, accorsero dalle terre vicine contadini e artigiani, e il nuovo minuscolo borgo andò ampliandosi con beverature, chiese, forni, mulino e altre infrastrutture essenziali per la crescita del comune.

Il Governatore don Giovanni Lo Burgio, per rendere più accogliente il nuovo borgo, spianò il terreno davanti al castello, destinandolo a piazza grande, mentre di fronte, in leggero pendio, sorgeva la Chiesa Madre, dedicata a San Giovanni Evangelista (Giovanni era il nome del feudatario).

Come a cingere la vasta piazza a corona, si tracciarono le prime vie, strette e tortuose, con cortili ariosi e ampi, dove carrettieri, artigiani, soprastanti, cittadini andavano costruendo le case, solitamente a un piano. L’amenità del luogo e la bellezza dei paesaggi contribuirono al progressivo espandersi della popolazione.

In epoca moderna, con lo stabilimento dei sali potassici della Montecatini, con la miniera di zolfo Cozzo Disi (oggi entrambi chiusi) e con altre piccole attività industriali, Campofranco ha conosciuto un periodo di benessere.

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