La Riserva di Monte Scuderi e Fiumedinisi
Leggenda vuole che in una delle tante grotte della zona sia custodito un favoloso tesoro
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Un incomparabile scenario che nei giorni di sereno spazia dall'Etna sino all'Aspromonte, quello che si scorge dalla vetta del Monte Scuderi (1253 m), un rilievo di rocce metamorfiche che si affaccia sulla costa Jonica e Tirrenica, sullo Stretto di Messina e sui Monti Peloritani.
La Riserva di Fiumedinisi e Monte Scuderi ricade appunto nel territorio dei Peloritani centrali, comprendendo i comuni Messinesi di Ali Superiore, Itala, Fiumedinisi, Nizza di Sicilia, San Pier Niceto, Monforte San Giorgio e Santa Lucia del Mela. I centri abitati della riserva, attraversati dalla catena dei Peloritani, fanno da cornice all’area protetta, alcuni sul versante Jonico, altri nell’entroterra. Istituita con Decreto Assessoriale n.743 del 10 dicembre 1998 e gestita dall'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana, la riserva ha una superficie complessiva di circa 46 kmq di cui 15 sono a riserva integrale (Zona A) e 31,10 di preriserva (Zona B).
Le tappe del nostro itinerario
Monte Scuderi
La riserva è dominata dal Monte Scuderi, il luogo più affascinante e misterioso del sistema montuoso dei Peloritani, interessante anche dal punto di vista storico perché sul suo pianoro sono state trovate tracce di siti bizantini. Qui infatti, si possono ammirare numerosi frammenti di ceramica e i resti di vecchie costruzioni. Alcuni archeologi hanno ipotizzato che sul monte Scuderi sorgesse l'antico centro fortificato di Mico o Vico, uno degli ultimi a cadere nelle mani degli Arabi al tempo in cui conquistarono l'isola.
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Secondo altri invece, la fortezza si troverebbe lì dove oggi sorge l'attuale castello Belvedere di Fiumedinisi. Da qui si apre un panorama eccezionale che permette di mantenere sotto costante controllo il mare e la costa per una distanza di miglia e miglia. Il castello attualmente giace in stato di avanzata rovina.
Fiumara di Fiumedinisi
Il territorio della Riserva è attraversato da diverse fiumare, profonde valli fluviali, in cui scorrono torrenti stagionali, carichi di acque nel periodo invernale, ma spesso asciutti in estate, in cui miriadi di ciottoli di diversa origine raccontano la storia dei Peloritani. Tra queste la più spettacolare è la fiumara di Fiumedinisi che procede a nord dell’omonimo paese, biforcandosi dopo circa 6 km.
Questo corso d'acqua era, sino a pochi anni fa, bloccato da alcuni grossi massi che costringevano l’acqua a scorrere in maniera irregolare formando cascatelle, pozze e laghetti per chilometri e chilometri. Questo era il regno del merlo acquaiolo che qui trovava una delle sue rare stazioni siciliane. Poi le amministrazioni locali decisero di rimuovere i grossi massi per far si che il fiume scorresse in linea retta con incalcolabili danni a livello ambientale. La vegetazione intanto si è adattata alle attuali sponde dei fiumi attenuando il danno paesaggistico.
La fauna è quella tipica dei Monti Peloritani. Tra i mammiferi si segnalano il gatto selvatico, il coniglio selvatico, l’istrice, il riccio europeo, il topo ragno, il ghiro, il quercino, la martora, la donnola, il cinghiale, la volpe. Numerosi gli uccelli. Sui Peloritani infatti, passano gli uccelli migratori in transito sullo Stretto di Messina tra cui molti rapaci diurni e notturni nidificanti: la poiana, lo sparviero, il gheppio, il pellegrino, il lodolaio, il barbagianni, la civetta, l’allocco. Interesse particolare riveste la presenza della coturnice siciliana, la cui protezione è stata una delle principali motivazioni per la realizzazione della riserva. Nei valloni e nelle fiumare molto comuni sono anche i rettili, gli anfibi, gli insetti.
A truvatura
Fino al secolo scorso la ricchezza del Monte Scuderi era legata alle neviere, fosse profonde nelle quali la neve veniva conservata in estate e poi trasportata sul dorso dei muli in città per preparare delle squisite granite o gelati. Anticamente era chiamato Monte Saturno, in onore al dio forgiatore di metalli e per gli svariati giacimenti minerari che custodiva che furono sfruttati in passato per ricavare ferro, piombo, rame, zinco, tugsteno, argento e persino oro. Da ciò nacque molto probabilmente la leggenda secondo la quale una delle numerose grotte o degli inghiottitoi che si trovano in territorio custodisce un favoloso tesoro: 'a truvatura.
La presenza di minerali nei territori di Ali, ltala, Fiumedinisi e nei centri vicini era nota fin dai tempi di Greci e Romani, ma è a partire dal XV sec. che l’estrazione dei metalli divenne una stabile risorsa economica. I giacimenti minerari sono la motivazione primaria dell’istituzione della riserva naturale se si pensa che solo nel territorio compreso tra Alì ed Antillo sono presenti circa 160 miniere. La caratteristica composizione rocciosa dei Peloritani, o Monti Metalliferi, rivela origini geologiche totalmente diverse da quelle delle altre montagne siciliane.
Sono i più antichi rilievi della nostra isola costituendo la prosecuzione naturale dell’appennino calabro da cui sono separati dallo Stretto di Messina. Sollevatisi durante l’epoca Mesozoica e Cenozoica (a partire da 225 milioni di anni fa), i Peloritani subirono, nel corso dei millenni, numerosi mutamenti a causa dell'erosione e le loro rocce frantumate e levigate in ciotoli sono ancora oggi trasportate giù a valle dalle fiumare.
Nel 1562 lungo la fiumara della Santissima fu inaugurata una grande ferriera che fu attiva sino al 1961 quando una tromba d'aria la distrusse. Nel '700 dal fiume si estraeva galena argentifera (minerale caratterizzato dal colore grigio-piombo lucente con aspetto metallico con tracce d'argento) che fu adoperata per coniare monete sotto Carlo VI d’Austria e Carlo III di Borbone.
Fiumedinisi
Gli storici sostengono che il nome Fiumedinisi derivi dalla vicinanza del 'Flumen Dionisy', fiume dedicato anticamente al dio Dioniso. Il centro esisteva già nel 600 a.C., fondato dai coloni Calcidesi di Zancle o di Naxos. Una leggenda narra che nel 595 a.C. vi si sia stabilito Faone di Lesbo, amante della poetessa greca Saffo. Durante il periodo normanno l'abitato si trasferì più a monte nell'odierno sito. Sembra che il 28 settembre del 1197, Enrico VI, padre del grande Federico II, morì a Fiumedinisi in seguito ad un tragico incidente.
Il sovrano, figlio di Federico il Barbarossa, avrebbe infatti bevuto l'acqua fredda del fiume dopo aver partecipato ad una movimentata battuta di caccia. A partire dal regno di Federico III di Aragona Fiumedinisi appartenne al demanio baronale. Durante la rivolta antispagnola di Messina (1674-1678), il paese rimase fedele alla Spagna. Re Carlo II, il 26 aprile 1678, inviò un messaggio di gratitudine il cui testo fu scolpito in una lapide posta sulla facciata della Chiesa madre del paese.