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E la Sicilia disse addio alle Province

Il Parlamento regionale approva la riforma con 36 voti a favore e 11 contrari del M5s

31 luglio 2015

In Sicilia si chiude l'era delle Province: con 36 voti a favore, 11 contrari e 6 astenuti, il Parlamento regionale ha approvato la riforma che istituisce sei Liberi consorzi e le città metropolitane di Palermo, Catania e Messina.
La riforma ha avuto il voto favorevole di Pd, Udc, Sd, Pdr, Megafono-Pse, Pds-Mpa. Hanno votato contro i deputati del M5s. Astenuti gli esponenti di Ncd e Girolamo Fazio (gruppo misto). Assenti Forza Italia, Lista Musumeci e Pid-Cantiere popolare.

Ridisegnando l'assetto istituzionale nell'Isola, la legge varata dal parlamento completa la riforma, approvata lo scorso anno, attribuendo funzioni e competenze ai neonati enti intermedi e manda definitivamente in soffitta le nove ex Province della Sicilia, attualmente rette da commissari.
Prima del voto definitivo sulla riforma, il governatore siciliano aveva chiesto in aula ai deputati di mettere da parte le perplessità davanti a un provvedimento che ha definito "storico". "Con questa riforma - ha detto - abbiamo attuato lo Statuto e abbiamo stabilito che la democrazia comunale si applichi in Sicilia come in nessuna regione d'Italia. Adesso dobbiamo batterci per l'articolo 36 e 37 per chiudere una partita che è quella finanziaria. Siamo orgogliosi di questa legge".

Secondo il gruppo parlamentare del M5s invece, che compatto ha votato contro, il ddl di riforma delle Province "serve a conservare il potere e dire a Renzi che il Pd è ancora in vita. Un'occasione mancata per l'affermazione, con i fatti, del nostro statuto speciale. La maggioranza ha scelto la via più breve, seguendo il dettato della legge Delrio che di fatto ripristina quasi in toto l'istituto delle Province. La ratio di questa legge è solo conservare il sistema di potere e permettere al Pd di dire a Renzi che il partito è ancora in vita".
La legge, dicono i deputati, "è arrivata al traguardo raffazzonata e completamente diversa da quella in cui credeva il Movimento. L'unica nota positiva è la fine dell'agonia per i dipendenti. Per il resto è quasi tutto da censurare. A peggiorare la situazione è stata la norma con la quale si è stabilito che i confini delle città metropolitane coincidessero con quelli delle ex province. Città metropolitane che mettono insieme pezzi di territorio che non avevano nulla in comune quando erano contenuti negli stessi confini delle province e che a maggior ragione mal si sposano con la ragione dell'istituzione di una città metropolitana". "Paradossale - concludono i deputati - appare peraltro la condizione posta per l'adesione alla città metropolitana di Catania dei comuni di Gela, Piazza Armerina e Niscemi, che nonostante un referendum popolare, dovranno confermare la loro volontà di permanervi, solo se una delibera del Consiglio comunale ratificherà positivamente la volontà già espressa dai cittadini".

Molto critico il deputato regionale Nello Musumeci, che con il suo gruppo non ha partecipato per protesta al dibattito d'aula e al voto finale: "Per carità, non chiamatela riforma! E' solo una leggina pasticciata, contraddittoria, approvata da appena un terzo del parlamento, dopo due anni di annunci roboanti, di quattro leggi-ponte e di speranzose attese. Non solo questo provvedimento non farà risparmiare un centesimo, ma lascerà scontenti tutti: i cittadini, espropriati di ogni potere di scelta; il territorio, privato di una seria programmazione; i sindaci, lasciati sempre più soli; i dipendenti provinciali, rimasti senza alcuna garanzia finanziaria per il loro futuro".

Ma intanto fa ancora discutere lo sgambetto ai sindaci delle Città metropolitane andato in scena durante l'approvazione dei 46 articoli del ddl durante la seduta fiume di ieri. La maggioranza infatti è andata sotto due volte, e l'aula ha respinto l'emendamento dell'Udc che puntava ad introdurre le disposizioni della legge Delrio per le città metropolitane, a cominciare dalla corrispondenza tra il sindaco dell'ente intermedio con il primo cittadino del comune capoluogo, mantenendo l'elezione di secondo grado. I presidenti e la giunte dei liberi consorzi e città metropolitane saranno dunque eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali di tutti i comuni. Enzo Bianco è una delle principali vittime di un voto che ha spaccato i dem e inferto un colpo micidiale al partito delle fasce tricolori. Comunque la si voglia leggere, la decisione di quel folto gruppo di deputati - da 31 a 33 - che ha tolto ai sindaci delle tre città capoluogo la guida delle aree metropolitane incide in modo pesante anche sulla corsa per Palazzo d'Orleans. Depotenziando due possibili candidati quali Enzo Bianco e Leoluca Orlando. "Una follia pura - ha commentato Bianco -. Solo in Sicilia si rende elettiva una carica che, nelle aree metropolitane del resto d'Italia, va di diritto al sindaco della città capoluogo. È inutile girarci attorno: c'è un'antipatia diffusa, in quel palazzo, verso le città metropolitane e verso chi naturalmente dovrebbe guidarle. Hanno paura di darci troppo potere...".

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31 luglio 2015
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