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Addio Giovanni, ti abbiamo aspettato fino all'ultimo

Giovanni Lo Porto, il cooperante palermitano rapito in Pakistan nel 2012, è stato ucciso da un raid Usa

24 aprile 2015

C’eravamo presi spontaneamente l’impegno di ricordare periodicamente che volevamo "Giovanni Libero". Non avevamo deciso una cadenza pianificata, nessun programma da calendario, pensavamo a Giovanni e pubblicavamo qualcosa. Abbiamo sempre creduto fosse importante ricordare che, chissà dove, in Afghanistan?, in Pakistan?, in Siria?, in Giordania?, un uomo era prigioniero, nelle mani - molto probabilmente - dei terroristi, da troppo tempo.
Giovanni Lo Porto, quarantenne palermitano, era stato sequestrato in Pakistan il 19 gennaio 2012 insieme con un collega tedesco a Qasim Bela, nella provincia del Punjab. Lavorava con la ong tedesca Welt HungerHilfe (Aiuto alla fame nel mondo) per la ricostruzione dell'area messa in ginocchio dalle inondazioni del 2011.
Giovanni Lo Porto è stato ucciso lo scorso gennaio nel corso di un raid americano contro Al Qaida.

Noi non conoscevamo Giovanni. Lo abbiamo indirettamente conosciuto via via che il tempo passava, cercando di saperne di più e frustrandoci del fatto che non si riuscivano ad avere notizie alcune. C’era solo lo stretto riserbo della Farnesina che assicurava puntualmente di stare facendo tutto il possibile e che alla famiglia di Giovanni chiedeva altrettanto. Stretto riserbo, cosa che la famiglia ha sempre mantenuto con una forza e una dignità encomiabile.
Tutto per il bene di Giovanni, un uomo che del "fare del bene" ne aveva fatto la propria vita.
Chi ha lavorato con Giovanni lo ha sempre descritto come una persona molto accorta e preparata. Il suo professore alla London Metropolitan University, dove Giovanni ha studiato, lo ha ricordato tempo fa come uno studente "appassionato, amichevole, dalla mente aperta". "Mi disse: 'Sono contento di essere tornato in Asia e in Pakistan. Amo la gente, la cultura e il cibo di questa parte del mondo', perché il Pakistan era il suo vero amore e sentiva di aver operato bene, stabilendo dei buoni rapporti con la popolazione".

Giovanni era stato a casa sua, a Palermo a trovare i suoi familiari, appena dieci giorni prima del sequestro. La sua famiglia vive in una palazzina nel quartiere Brancaccio, alla periferia est della città. Il padre di Giovanni lavora a Pistoia con uno dei cinque figli. Gli altri tre vivono in città, come la madre Giusi. L'unico ad andare lontano dalla Sicilia era stato proprio lui, una laurea, un master a Londra e una grande passione per il suo lavoro di cooperante che l'aveva portato anche in Africa e a Haiti. Quando Giovanni Lo Porto fu sequestrato la famiglia preferì non rilasciare alcuna dichiarazione, chiedendo ai giornalisti di rispettare il loro dolore.
Solo i suoi amici di Londra hanno, per così dire, rotto lo stretto riserbo organizzando una petizione già nel dicembre del 2013 in cui chiedevano a chiunque avesse qualche influenza di adoperarsi per la sua liberazione. Iniziativa replicata il 19 gennaio del 2014, per l'anniversario del suo rapimento, con l'appello lanciato dal Forum del Terzo Settore al governo italiano e ai direttori dei giornali "per rompere il muro del silenzio".

Alla fine, a rompere il muro del silenzio è stato il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama che ieri ha dato la notizia peggiore, quella che tutti noi non avremmo mai voluto apprendere. Giovanni Lo Porto ha perso la vita in un'operazione americana anti al Qaida tra Pakistan e Afghanistan. L'operazione è stata condotta con un drone della Cia.
Obama ha chiesto scusa: "Mi assumo tutta la responsabilità di queste operazioni anti-terrorismo. Non c'erano informazioni a segnalare la presenza degli ostaggi in quel compound. Voglio esprimere le più profonde condoglianze alla famiglia di Giovanni Lo Porto e a quella di Warren Weinstein" un americano esperto di sviluppo prigioniero dal 2011.
"Oggi è un giorno - ha aggiunto il presidente americano - in cui si rafforzano i legami tra Stati Uniti e Italia, due Paesi che condividono gli stessi valori. L'impegno di Lo Porto riflette l'impegno nel mondo dell'Italia, nostra alleata e amica. Lo Porto, un uomo che ha prestato servizio dal Centrafrica a Haiti, si era innamorato del Pakistan, convinto che la sua attività potesse fare la differenza per tante persone in quel Paese".
Il portavoce della Casa Bianca ha comunicato che le autorità americane pagheranno un risarcimento a entrambe le famiglie dei due ostaggi.

A Palermo, intanto, il dolore della famiglia di Giovanni è inenarrabile. A casa loro, oltre alla madre Giusi, ci sono alcuni dei fratelli di Giovanni.
"Abbiamo saputo della morte di mio fratello questa mattina, ci ha telefonato la Farnesina, che ci è sempre stata molto vicina", ha detto ieri il fratello di Lo Porto. L'uomo, rivolgendosi poi ai giornalisti, ha aggiunto: "Adesso, per cortesia lasciateci in pace, lasciateci nel nostro dolore".
Un dolore grandissimo accompagnato però dalla solita, straordinaria dignità e compostezza che ha sempre contraddistinto la famiglia Lo Porto.
Il fratello di Giovanni è uscito dall'abitazione della madre una sola altra volta per invitare i giornalisti a lasciare l'androne di casa. "Non ho molto da dire. Capisco che dovete fare il vostro lavoro, ma vi invito a lasciarci in pace". "Obama ha chiesto scusa? Grazie... cosa devo dire?", ha aggiunto ancora per dire infine, con un filo di voce: "Non vogliamo fiori, grazie".

- Siciliano rapito in Pakistan (Guidasicilia.it, 20/01/12)

- Dov'è Giovanni Lo Porto? (Guidasicilia.it, 19/01/15)

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24 aprile 2015
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