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Ancora polemiche sull'uranio impoverito: la subdola spazzatura delle guerre

Dal sito peacereporter.net la denuncia dell'Unac, l'unione nazionale dell'arma dei carabinieri

09 luglio 2004

La guerra e le armi uccidono in molti modi. L'uranio impoverito è ancora al centro di dure polemiche tra associazioni di militari e alti comandi. La denuncia dell'Unac, associazione dei Carabinieri.
di Roberto Bàrbera

6 luglio 2004 - "Siamo sempre più preoccupati per la situazione del contingente italiano in Iraq, al nostro 'call center' arrivano molte telefonate di militari e loro familiari. L’aspetto più serio è la possibile contaminazione da uranio impoverito. Le difficoltà per capire e monitorare la situazione sono moltissime. La procedura vuole che un militare ammalato in una prima fase sia ricoverato all’interno di strutture del Ministero della Difesa e poi, nel caso in quel luogo le cure specialistiche non siano possibili, venga trasferito in nosocomi civili. Questa frammentazione non facilita i controlli. Al Celio di Roma, la struttura sanitaria più grande e avanzata dell’esercito, impediscono l’accesso al reparto oncologico è impedito sia a noi che ai giornalisti. In queste condizioni non siamo in grado di verificare nulla". A parlare è il maresciallo Antonio Savino, presidente dell’Unione nazionale Arma dei Carabinieri (Unac).

Il maresciallo continua: "Abbiamo le testimonianze dei signori Pillon e Deiana. Sono tutti e due in ospedale, affetti dalle patologie tipiche da contaminazione. Uno è un militare della marina e un altro un caposquadra dei sistemi missilistici dell'esercito. Vorremmo capire se è vero che al Celio ci sono oltre quindici pazienti sospetti. Le autorità hanno smentito, confermando però la presenza di soli cinque o sei pazienti, ospitati per motivi non connessi alla contaminazione, ma ricoverati per incidenti non meglio specificati. Abbiamo dei sospetti perché nelle ultime settimane non si è avuta notizia del rimpatrio di nessuno dall’iraq a seguito di ferite o altro. Poiché la stampa è sempre molto attenta ci chiediamo: quando sono rientrati questi militari e perchè?"

Savino è molto teso. Nei mesi scorsi la sua associazione aveva chiesto il rientro del contingente italiano a causa della scarsa preparazione del personale ai compiti specifici in una zona di guerra e per l’inadeguatezza dei sistemi di prevenzione e controllo.

Il presidente dell’Unac aggiunge: "Come è possibile che un ragazzo del nucleo antisofisticazioni o di quello per la tutela dell’ambiente siano mandati in Iraq dopo una sola settimana di addestramento. In così poco tempo non si impara a combattere. Dicono loro che è una missione di pace, ma appena arrivati sul campo fanno firmare loro un documento nel quale accettano di essere sottoposti al codice militare di guerra. Già questo la dice lunga sulla missione. Ho raccolto la testimonianza di un soldato che mi ha detto di aver avuto l’incarico di guidare una grande cisterna per il trasposto di carburante e camion per lo spostamento di munizioni. Lui non aveva la patente idonea e neppure aveva mai fatto una cosa del genere. Lo ha fatto presente, ma loro non hanno fatto una piega e gli hanno dato le chiavi dei mezzi. Appena ha potuto, dopo un mese, ha chiesto il rientro in Italia. Il pericolo è enorme, come si può muovere benzina ed esplosivi senza l’adeguata capacità? Gli uomini dell’Nbc, i nuclei che si occupano dei rilevamenti sulle contaminazioni, svolgono il proprio lavoro protetti da tute e maschere speciali. Peccato che la popolazione civile e gli altri militari, invece, circolino liberamente negli stessi luoghi, ma completamente sprovvisti di protezioni. Per nascondere il pericolo dell’uranio impoverito non danno notizie e il rischio cresce".

Sebbene non sia ancora provata la pericolosità dei proiettili speciali, in numerosi Paesi del mondo, in particolare negli Stati Uniti, sono centinaia i casi di presunta contaminazione. In Italia molto seria è la situazione in Sardegna, dove da anni nei paesini ai confini con le basi militari si è notato un aumento abnorme delle patologie connesse alla radioattività.

Savino ha molte cose da dire: "Noi continuamo a batterci per i nostri colleghi. Siamo militari e siamo abituati ad eseguire gli ordini. Solo chiediamo preparazione adeguata, controlli e garanzie reali. Negli ultimi tempi sappiamo che le missioni di controllo del territorio a Nassiria sono state limitate. Potrebbe esserci pericolo e ostilità da parte della popolazione civile. Le pattuglie si allontanano molto meno dalle basi. Sembra anche che il collegamento con i capi clan della zona si sia interrotto o, perlomeno, raffreddato. Per questo motivo non siamo più considerati come portatori di aiuto e di pace, ma come forze di occupazione".

Il lavoro dell’Unione nazionale dell’Arma dei Carabinieri è difficile. Savino non lo nasconde: "Siamo stati ovunque col mandato dell’Onu. Noi crediamo alle missioni di pace. L’Iraq è un’altra cosa. Siamo una quarantina di dirigenti, ma ognuno di noi ha decine di provvedimenti disciplinari a carico. Ogni volta che facciamo un convegno o una intervista ci denunciano. Poi il tribunale ci proscioglie, ma la pressione è molto forte. I giudizi personali su di noi cambiano, da 'eccellenti' diventiamo 'inferiori alla media' o 'sufficienti'. Insomma, non vorrei parlare di mobbing".

Le forze militari italiane sono state estranee agli episodi di tortura, ma anche su questo Savino ha qualcosa da dire: "Noi abbiamo un sito Web, sul quale abbiamo pubblicato alcune foto delle sevizie. Mi ha telefonato un colonnello del Ministero della Difesa, chiedendomi con gentilezza di togliere le immagini. La conversazione è conservata e disponibile per chi volesse ascoltarla. Per l’immagine del Paese, sosteneva. Eppure il governo italiano era al corrente da tempo, perché era stato informato e anche su questo abbiamo notizie certe".

Fonte: peacereporter.net

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09 luglio 2004
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