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Ebola: facciamo un po' di chiarezza

Una pandemia di paura. Cresce sempre di più il timore che il virus Ebola possa già trovarsi dietro la porta di casa nostra

16 ottobre 2014

La paura è una brutta bestia e ammalarsi di essa, spesso, porta ad un vertiginoso peggioramento delle facoltà mentali. Infatti, l’unica cura per la paura - in particolare quando questa è immotivata o comunque si fonda su dicerie e diffusa ignoranza - è l’informazione e la conoscenza.
Negli ultimi tempi si fa, giustamente, un gran parlare del virus Ebola e di quanto sia aggressivo e pericoloso. Si parla tanto anche dei possibili pericoli che incombono sull’Italia, e in particolare in Sicilia, terra di sbarco continuo per centinaia di migliaia di immigrati.
Le notizie che arrivano dall’Africa e la consapevolezza che i porti siciliani siano l’attracco eletto dai migranti sta via via scatenando una epidemia di paura, a tutt’oggi immotivata e quindi potenzialmente pericolosa.
E’ per questo motivo che abbiamo scelto oggi di parlare di Ebola utilizzando le parole di Medici Senza Frontiere e riportando un’intervista di Salvatore Parlagreco ad un infettivologo di grande esperienza e pubblicata su SiciliaInformazioni.com. Vorremmo che le loro parole possano fungere da cura per la paura perché con quest’ultima ad offuscare la ragione ci ritroveremmo con una popolazione confusa e indifesa semmai un vero pericolo Ebola arrivi a minacciarci sul serio.

Che cos’è l’Ebola? Le risposte di Medici Senza Frontiere

PERCHÉ L’EBOLA FA COSÌ PAURA?
L’Ebola è un’infezione virale ad altissima letalità ed estremamente contagiosa. Può uccidere fino al 90% delle persone che lo contraggono, causando panico tra le comunità colpite. Non esiste alcuna terapia specifica per curare questa malattia, ma nei nostri Centri per il Trattamento dell’Ebola possiamo curare i sintomi e garantire ai pazienti la necessaria idratazione, la somministrazione di antibiotici e antimalarici per prevenire le complicanze e rimedi contro il dolore. Il trattamento sintomatico aumenta la probabilità di sopravvivenza del paziente e supporta il sistema immunitario nella sua risposta alla malattia.
Il serbatoio naturale del virus Ebola sembra essere un tipo di pipistrello o altri animali che vivono nella foresta. Non accade spesso che le persone contraggano il virus dal contatto con animali infetti. Ma una volta contagiate, si ammalano gravemente e possono trasmettere l’infezione ad altri esseri umani.

Ci sono cinque ceppi diversi del virus Ebola: Bundibugyo, Ivory Coast, Reston, Sudan e Zaire, così chiamati a seconda del rispettivo luogo di origine. Quattro di questi cinque ceppi hanno causato la malattia negli esseri umani. Il sottotipo Reston, invece, non è patogeno per l’uomo.

QUANDO È STATO SCOPERTO IL VIRUS?
L’Ebola è apparso per la prima volta nel 1976 simultaneamente a Nzara, in Sud Sudan, e a Yambuku, nella Repubblica Democratica del Congo. L’ultimo caso di quell’anno venne registrato in un villaggio vicino al fiume Ebola, da cui la malattia ha preso il nome.

COME VIENE TRASMESSO IL VIRUS?
L’Ebola non è come l’influenza. Non ci si può ammalare sedendo accanto a una persona malata sull’autobus. Le persone si ammalano perché hanno accudito un familiare o un paziente malato e sono venute a contatto con sangue, secrezioni e altri fluidi biologici infetti. L’epidemia può diffondersi anche nelle strutture sanitarie, quando manca un adeguato controllo delle infezioni e le condizioni igienico-sanitarie sono insufficienti. Inoltre, la pratica tradizionale del lavaggio dei defunti prima della sepoltura costituisce una delle principali forme di contagio e ha avuto un ruolo non trascurabile nella diffusione di questa epidemia.

QUALI SONO I SINTOMI?
Inizialmente, i sintomi sono aspecifici, rendendo molto difficile la diagnosi clinica. La malattia è spesso caratterizzata da un improvviso accesso di febbre, astenia, dolore muscolare, cefalea e mal di gola. Questi sintomi possono essere seguiti da vomito, diarrea, eritemi, funzione renale ed epatica compromesse e, in alcuni casi, fenomeni emorragici che includono sanguinamenti dal naso, vomito ematico, diarrea mista a sangue, emorragie interne e congiuntiviti emorragiche. Tuttavia, le emorragie si riscontrano in meno del 50% dei casi. I sintomi possono manifestarsi da 2 a 21 giorni dopo il contatto, con un picco tra il settimo e il quattordicesimo giorno dal contatto.

COME VIENE CURATA LA MALATTIA DA VIRUS EBOLA?
Non c’è trattamento specifico o vaccino disponibile che abbia un’efficacia testata sugli esseri umani e sia stato registrato per l’utilizzo sui pazienti. Il trattamento standard per l’Ebola è limitato a una terapia di supporto sintomatico che consiste nell’idratare il paziente, nel mantenerlo ossigenato e con un livello di pressione arteriosa adeguata, nel fornire un’alimentazione altamente nutritiva e nel trattarlo con antibiotici e antimalarici per prevenire ulteriori infezioni. Il trattamento di supporto può aiutare il paziente a vivere più a lungo, e questo tempo supplementare potrebbe essere esattamente ciò di cui il sistema immunitario del paziente ha bisogno per cominciare a combattere il virus.

QUAL È IL RISCHIO CHE IL VIRUS SI DIFFONDA IN EUROPA O IN ALTRO PAESI SVILUPPATI?
Viviamo in un mondo dove gli spostamenti internazionali sono sempre più facili. Ma la possibilità che l’Ebola possa diffondersi nei Paesi europei è estremamente remota. La malattia si manifesta con gravi sintomi che obbligano il malato a letto e ne impediscono gli spostamenti. L’ipotesi che l’infezione possa giungere via mare con persone che, partite dalle zone coinvolte nell’epidemia, abbiano attraversato il Nord Africa in un viaggio che generalmente dura mesi, è priva di fondamento. I sistemi di controllo italiani ed europei sono ottimi, nell’ipotesi remota che un caso arrivasse fino a noi, sarebbe immediatamente isolato e curato in ospedali di buon livello con adeguati sistemi di controllo delle infezioni e il rischio di diffusione sarebbe scongiurato.

COME SI PROTEGGONO GLI OPERATORI SANITARI DAL CONTAGIO?
I pazienti affetti da Ebola devono essere curati in isolamento da staff competente e munito di indumenti protettivi. Una delle priorità di MSF durante un’epidemia di Ebola è formare il personale sanitario locale per ridurre il rischio di trasmissione. MSF applica delle procedure estremamente rigorose per far sì che nessun operatore sanitario sia esposto al virus senza protezioni.
I centri di trattamento di MSF sono pensati per garantire un ambiente di lavoro sicuro per il nostro staff. C’è luce e spazio sufficiente tra i pazienti, una netta separazione tra aree ad alto rischio e aree a basso rischio, una gestione sicura dei rifiuti, pulizia e disinfezione regolare dei reparti. Personale all’esterno dei centri di isolamento impedisce l’entrata nelle zone ad alto rischio ai non addetti ai lavori. Solo gli operatori che lavorano sui pazienti possono entrare ben protetti e per un tempo limitato.

I nostri operatori internazionali lavorano per un periodo massimo di 4-6 settimane per far sì che non si stanchino troppo, cosa che aiuta a ridurre il rischio. Nella zona ad alto rischio lo staff entra sempre in coppia. Ci si controlla a vicenda e ci si assicura che l’altro non commetta errori o sia troppo stanco. Facciamo il possibile per fornire terapia orale piuttosto che iniezioni, in modo da ridurre il rischio di infezione da punture con aghi infetti, e per lo stesso motivo limitiamo il numero di prelievi di sangue allo stretto necessario.

Ebola, parla l’infettivologo siciliano: "Allarme utile, ma…"
di
Salvatore Parlagreco (SiciliaInformazioni.com, 16/10/2014)

Dottor Calogero Buscemi, lei è un infettivologo palermitano di grande esperienza. Conosce bene le strutture pubbliche di cui la Sicilia dispone, dobbiamo preoccuparci per il virus Ebola?
"Viene considerata sovrastimata la preoccupazione dei paesi che si affacciano nell’area del Mediterraneo perché, vista la rapida incubazione della malattia (in media dieci giorni), i potenziali pazienti che dall’Africa occidentale si sposterebbero verso la Sicilia o aree prossime non avrebbero materialmente il tempo di sviluppare la malattia e poi sbarcare".

Antonio Chirianni, vice presidente della Società Italiana Malattie infettive e Tropicali, ha dichiarato in una intervista che le regioni italiane più esposte geograficamente al rischio di importazione della malattia da virus Ebola sono le regioni costiere presso le cui aree portuali sbarcano periodicamente clandestini provenienti da paesi africani. Di conseguenza, afferma Chirianni, la Sicilia sembra essere la regione più interessata al potenziale contagio.
"I lunghi viaggi lungo l’Africa ed il Canale Mediterraneo richiedono più tempo. I collegamenti aerei dalle rotte dei paesi africani coinvolti sono bloccati ed i controlli delle autorità portuali ed aeroportuali sono serrati".

Il lungo tempo di incubazione, fino a 21 giorni, dell’infezione da virus Ebola, rilevano alcuni esperti, può comportare la probabilità che un individuo asintomatico proveniente da paesi endemici manifesti la malattia al suo arrivo in Europa.
"L’emergenza Ebola pur interessando oggi quasi esclusivamente i paesi dell’Africa occidentale, è un problema di emergenza sanitaria mondiale. In Africa occidentale, prevalentemente in tre paesi (Liberia, Guinea, Sierra Leone), abbiamo quasi il 95 % dei casi emersi da gennaio 2014 ad oggi, l’epidemia ha assunto connotati davvero devastanti per numero di casi e conseguenze sanitarie. Sono estremamente preoccupanti le proiezioni che prevedono di qua ad un mese e nei successivi mesi un progressione esponenziale di casi e relativi decessi".

Per quale ragione l’allarme suscitato dall’epidemia, così lontana, è così alto? Che cosa spaventa di più?
"L’elevata risonanza e gravità della attuale epidemia scaturisce dalla alta contagiosità e dalla elevata letalità dell’infezione. Il semplice contatto con i fluidi organici del malato o del cadavere (sangue, saliva, sudore, urine, feci, sperma) produce il contagio della infezione che sviluppa la malattia conclamata con un tempo di incubazione di 10- 20 giorni".

Sebbene l’infezione si trasmetta mediante contatto interumano diretto con organi, sangue e fluidi biologici, il virus permane a lungo, secondo Chirianni, nello sperma e pertanto i rapporti sessuali possono rappresentare ujn veicolo di diffusione dell’infezione anche a sei-sette settimane dopo la guarigione.
"Non esistono in atto terapie specifiche approvate che guariscono dalla infezione e da ciò scaturisce la elevata letalità che è del 50 %. La malattia insorge come un episodio influenzale con febbre, dolori muscolari, astenia, vomito, ma la sua gravità ed elevata letalità dipende dalle complicanze emorragiche che spesso insorgono. Per di più in Africa occidentale le strutture sanitarie non sono del tutto adeguate per una corretta gestione diagnostico/terapeutica della infezione; molte delle strutture hanno visto un esodo dei sanitari allarmati dalla alta contagiosità e letalità disarmando gli ospedali".

E’ dunque giustificato l’allarme rosso, la massima allerta anche in Italia, e in Sicilia in particolare.
"L’allarme per i paesi occidentali in atto è allarme rosso per vari motivi, ma non ci sono numeri che avvalorano nessuna giustificazione in tal senso. Soltanto pochissimi i casi (circa dieci) confermati ad oggi nei paesi occidentali. Molti sospetti, ma pochissimi confermati. Tutti casi importati da pazienti provenienti dai paesi dell’Africa occidentale. Due soli casi, uno in Spagna ed uno negli USA sono insorti in quei paesi ma solo per contagio da soggetti provenienti dai tre paesi africani".

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16 ottobre 2014
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