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Il tritolo per Di Matteo sarebbe già a Palermo

Sale l'allerta attorno al pm Nino Di Matteo e agli altri magistrati che si occupano della trattativa Stato-mafia

12 novembre 2014

Il progetto d'attentato per il pm di Palermo Antonino Di Matteo non era pronto "solo a Palermo ma anche a Roma". Lo ha riferito una fonte ritenuta "attendibile" dagli inquirenti che indagano sull'allarme attentati nei confronti del magistrato più scortato d'Italia, che rappresenta l'accusa nel processo per la trattativa tra Stato e mafia.
Una fonte, come oggi riportano alcuni giornali, avrebbe raccontato ai magistrati che "il tritolo sarebbe già arrivato e sarebbe già nascosto in diversi punti di Palermo". "Il piano è stato studiato fin nei minimi particolari - come ha spiegato la fonte ai magistrati - e non doveva essere portato a termine solo a Palermo, ma anche a Roma" dove il pm si reca spesso per lavoro.
Di più non si sa, la fonte è protetta da un rigido segreto investigativo. Però, proprio in questi giorni, anche l'ultimo pentito di mafia, Antonino Zarcone, ha parlato di un progetto di attentato nei confronti di Nino Di Matteo: "Era coinvolta pure la mia cosca, quella di Bagheria", ha spiegato.

Ieri si è tenuto negli uffici della Procura generale un incontro, presieduto dal Procuratore generale Roberto Scarpinato, con gli esperti del Gis dei Carabinieri e dei Nocs per parlare del sistema di sicurezza non solo del pm Di Matteo ma anche degli altri magistrati che si occupano della trattativa, dal Procuratore aggiunto Vittorio Teresi, ai pm Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.
Così l’allerta è tornata altissima. Al Palazzo di Giustizia il clima è teso e i controlli si sono intensificati: resta un mistero l’incursione nella stanza di Scarpinato, a fine agosto, quando qualcuno ha lasciato una lettera di minacce sulla scrivania del procuratore generale. La nuova emergenza sicurezza è stata subito comunicata dal procuratore reggente di Palermo, Leonardo Agueci, al Viminale.

"Abbiamo paura, sì, lo ammetto. E siamo molto preoccupati". Vittorio Teresi, procuratore aggiunto di Palermo e rappresentante d'accusa del processo per la trattativa Stato-mafia non nasconde la paura per il nuovo allarme attentati, ma anche "per il clima interno" alla procura più esposta d'Italia.
"Ieri abbiamo registrato l'arrivo di due esperti di sistemi di sicurezza, di tutela e di difesa nei confronti del collega Di Matteo che dovevano verificare se nel complesso sistema di sicurezza ci fossero dei buchi, perché tutto è sempre perfettibile in questo clima un pò fosco. Ma non ci è dato sapere se ci sono nuovi pericoli imminenti, vediamo però che c'è un'attenzione proporzionata rispetto a un rischio che si profila - spiega Teresi - Quello che ci preoccupa è il clima interno... Ormai da un pò di tempo questo ufficio non ha un procuratore capo. Certo c'è un reggente come Leonardo Agueci che gestisce l'ufficio in maniera egregia e ha fatto anche delle dichiarazioni di adesione e di condivisione del nostro lavoro che ci conforta e ci aiuta ad avanti. Ecco, vorrei che tra i criteri di scelta del nuovo capo ci fosse quello di nominare un procuratore disponibile disposto a confermare la sua condivisione del processo per la trattativa e dei pm che lo gestiscono. Costituirebbe un conforto importante e una riduzione del senso di isolamento che avvertiamo".

Poi, Teresi, parlando di alcune voci secondo cui le minacce ai pm della trattativa Stato-mafia sarebbero opera dei Servizi segreti deviati, dice: "Se fosse così sarebbe davvero preoccupante, perché la definizione un pò generica di servizi deviati evoca ambienti collaterali a Cosa nostra. Non si sa bene se i Servizi segreti la dirigano dall'esterno o se la utilizzino come braccio armato perseguendo una finalità e un interesse proprio che potrebbe non appartenere alla mafia".
Ribadisce quindi di avere "paura" del "fatto che la vicenda di questo processo è gestita troppo fuori dall'aula del processo stesso. Noi cerchiamo sempre di riportarlo unicamente all'interno dell'aula di giustizia, non solo perché è il nostro dovere ma anche perché è l'unico modo per arrivare a una verità giudiziaria, quale essa sarà, accertata da una sentenza. Quindi a noi interessa un confronto sereno nel rispetto delle regole del processo e non ricadute di natura politica, esterne al processo stesso. E che le controspinte a questo processo possano essere controspinte di un ambiente che non sappiano cosa possano avere da temere rispetto a una verità che cerchiamo".

C'è preoccupazione anche per il processo al generale Mori, che si celebra in Corte d'appello a Palermo. "I segnali che sono arrivati nei confronti della procura generale non sono certamente confortanti - dice Teresi - Sono piuttosto inquietanti, di una tracotante voglia di intimidire e di fermare. Questo, da un lato crea un minimo di preoccupazione ma determina una rafforzata volontà di andare avanti, quasi come una sfida che noi raccogliamo con assoluta serenità perché convinti della giustezza del nostro lavoro e del fatto che in questo lavoro non ci sono doppi fini e non ci sono scopi politici, di ricatto. Insomma, non ha secondi fini. Punto. Si è parlato di 'trampolini di lancio per carriere politiche' o di volontà 'eversive' da parte di qualche commentatore, ecco sono considerazioni che non devono entrare in questo processo".
Alla domanda se i pm della trattativa si sentano protetti dallo Stato, dalle istituzioni, il procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi dice: "L'arrivo di questi massimi esperti della sicurezza è confortante, significa che c'è una grande attenzione delle istituzioni preposte perché dimostra che anche da parte loro questi allarmi vengono presi sul serio ed è confortante".

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ign, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo]

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12 novembre 2014
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