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Napolitano e Spadolini nel mirino della mafia

Nel '93 il Sismi segnalò il rischio attentati nei confronti degli allora presidenti di Camera e Senato

17 ottobre 2014

Nell'agosto del 1993 il Sismi informò Viminale, Difesa, carabinieri, Gdf e Sisde che esisteva un rischio attentati nei confronti di Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini, all'epoca presidenti di Camera e Senato. La Procura di Palermo ha depositato la nota con cui gli 007 comunicarono l'allarme al processo sulla trattativa Stato-mafia.
Tutto questo nel periodo in cui, secondo alcune ricostruzioni, Cosa nostra cercava di intimidire lo Stato con le stragi e successivamente di trovare un interlocutore politico con cui mediare (da qui la stesura del famoso "papello").
La Dda ha acquisito, in particolare, alcuni atti che sono stati mandati nel 2002 dal Cesis all’ex pm Gabriele Chelazzi, il magistrato di Firenze morto pochi anni dopo. Si tratta di alcune note riservate dei Servizi segreti militari.

A comunicare al Sismi il pericolo fu una fonte confidenziale: il 29 luglio del 1993 in una nota interna riservata, il Servizio militare mette per iscritto il rischio attentato a Spadolini e Napolitano indicando anche il periodo in cui si sarebbe dovuto compiere e cioè tra il 15 e il 20 agosto di quell'anno.
Dopo qualche giorno, il 4 agosto, verificata l'attendibilità della fonte confidenziale di cui non viene indicato il nome, l'allarme viene diramato ai due ministeri, agli organi di polizia e al Sisde.
A fine mese dello stesso anno il Sismi torna a parlare della vicenda, dicendo che altri riscontri confermerebbero l'attendibilità del confidente e precisando che, solo il potenziamento del sistema di sicurezza predisposto per le due personalità politiche, aveva evitato gli attentati. Le note del Servizio, depositate al processo, seguono le bombe di Firenze, Milano e Roma.

L’allarme lanciato dai Servizi potrebbe essere la chiave per dare una risposta a un interrogativo rimasto finora oscuro: perché Cosa nostra scelse di colpire proprio San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro? Quelle bombe contenevano un messaggio preciso a Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini?
Tra i documenti che i pm stanno poi analizzando c’è un singolare verbale redatto al termine di una riunione fatta al Cesis il 6 agosto del 1993: gli analisti di varie forze di polizia tra cui la Dia di De Gennaro, il Ros di Mario Mori, quest’ultimo tra gli imputati del processo sulla trattativa, e il Dap fecero il punto sulle bombe di quel periodo, arrivando a prospettare che dietro ci fossero organizzazioni terroristiche straniere. Che la mano fosse mafiosa, insomma, era solo una delle ipotesi. Solo 4 giorni dopo, però, la Dia di De Gennaro, prima, poi lo Sco di Antonio Manganelli parlarono di trattativa e ricondussero gli attentati alla volontà mafiosa di intavolare un dialogo per eliminare o attenuare il carcere duro.

La deposizione di Napolitano al processo sulla trattativa Stato-mafia non sarà secretata -  I giornalisti potranno assistere, sia pure da un’altra stanza, alla deposizione del presidente della Repubblica. L’interesse sociale alla conoscenza del processo sulla trattativa Stato-mafia è "particolarmente rilevante" e la deposizione del Capo dello Stato, fissata per il 28 ottobre al Quirinale, è atto "non destinato alla secretazione": con queste motivazioni la corte d’assise di Palermo ha autorizzato la "realizzazione di un collegamento video o audio tra la sala in cui verrà assunta la testimonianza del presidente della Repubblica e una postazione esterna riservata alla stampa".
Alla deposizione di Napolitano avevano chiesto di assistere in videoconferenza anche i boss Riina e Bagarella. Dopo un primo assenso della procura, i giudici hanno infine deciso per un rifiuto dal momento che il presidente della Repubblica gode di immunità.
Con un’ordinanza di una pagina il presidente della corte, Alfredo Montalto, che la scorsa settimana ha escluso la partecipazione diretta alla deposizione di Nicola Mancino, ammette questa volta i cronisti.

La decisione di non secretare la deposizione segue la richiesta del presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia di consentire ai giornalisti di seguire direttamente l’udienza o ammettendoli alla sala adibita ad aula o, dopo averlo concordato con la Presidenza della Repubblica, realizzando una videoconferenza. La corte ha ribadito che "l’accesso della stampa alla sala in cui avverrà l’esame del capo dello Stato non può essere autorizzato perché è stata esclusa la presenza del pubblico". Visto l’interesse pubblico e la mancata secretazione della deposizione, però, "nulla osta, fatte salve le determinazioni rimesse alla Presidenza della Repubblica, alla chiesta realizzazione di un collegamento video o audio".

Determinazioni, secondo quanto si è appreso, che atterrebbero ai soli aspetti tecnici dell’udienza. In sostanza, dunque, il Colle non potrà interloquire sulla pubblicità dell’udienza, aspetto su cui ha già deciso la corte, che ha ribadito l’interesse del processo e la non segretezza della deposizione. Se però, si apprende in ambienti giudiziari, dal Quirinale si opponesse un problema di sicurezza nell’accesso anche solo dei tecnici che dovrebbero occuparsi del collegamento, l’autorizzazione data ai cronisti ad assistere, anche da un’altra postazione, potrebbe essere vanificata.

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Corriere del Mezzogiorno, Repubblica/Palermo.it]

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17 ottobre 2014
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