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Uno schiaffo all'umanità. I fatti della Cap Anamur diventano un caso diplomatico

Sulla pelle degli uomini. Tra smentite, conferme e messe in discussione, il caso Cap Anamur continua

15 luglio 2004

I 37 profughi africani sbarcati lunedì a Porto Empedocle, dopo 22 giorni trascorsi in mare a bordo del cargo tedesco Cap Anamur, sono stati trasferiti nel centro di accoglienza di Pian del Lago, a Caltanissetta. Fino a ieri i profughi erano alloggiati nel centro di permanenza temporanea San Benedetto di Agrigento.
Durante il trasferimento ci sono stati scontri tra manifestanti che solidarizzavano con loro e le forze dell'ordine.

Secondo le autorità italiane, i 37 africani sarebbero cittadini della Nigeria e del Ghana, ma solo due di loro dichiarano di provenire da questi due Paesi, mentre tutti gli altri continuano a sostenere di essere originari del Sudan. La polizia sospetta che non si tratti di sudanesi, come i profughi hanno dichiarato, ma di africani provenienti di altri Stati e che mentirebbero per poter ottenere l’asilo politico.
Questa tesi è stata smentita nettamente da alcuni sacerdoti che sono saliti sulla nave nelle settimane scorse. "Sono stato sulla Cap Anamur per tre giorni a fianco dei 37 profughi e posso assicurarvi che la maggior parte di loro sono di origine sudanese", a riferito all’agenzia missionaria Misna padre Cosimo Spadavecchia, uno dei due missionari comboniani che il 10 luglio sono stati autorizzati a salire a bordo della nave. "Vorrei precisare - ha detto Spadavecchia - che sono stato, come missionario, in Sudan 18 anni e per altri 18 sono stato tra i profughi sudanesi". Un altro padre comboniano, Gaspare Trasparano, dopo essere salito sulla nave aveva riferito alla Misna che tra i profughi si trovavano un nigeriano, un sierraleonese, un liberiano e 34 sudanesi.
Tutti e 37 l'altro ieri avevano firmato le domande di asilo in Italia, che saranno esaminate oggi dalla Commissione centrale con procedura straordinaria.
Il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu ribadisce: "Benché le domande d'asilo siano sostanzialmente irricevibili preferisco che vengano esaminate regolarmente dalla Commissione. La valutazione - aggiunge - servirà a dimostrare fino in fondo lo scrupolo esemplare del nostro Paese nel trattare l'ambigua storia della nave tedesca che è arrivata in Italia con 37 falsi profughi sudanesi".

Oggi davanti al gip di Agrigento si terrà intanto l'udienza di convalida dell'arresto del comandante della Cap Anamur, il tedesco Stefan Schmidt, del suo connazionale Elias Bierldel, responsabile dell'omonima associazione umanitaria, e del primo ufficiale della nave, il russo Vladimir Dhchkevitch, tutti accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e rinchiusi da lunedì nel carcere di Petrusa.

Elias BierdelIl ministro tedesco per lo Sviluppo, Heidemarie Wieczorek-Zeul, ha chiesto con un comunicato l’immediata liberazione di Elias Bierdel. "Non bisogna che Elias Bierdel sia punito perché voleva aiutare delle persone che avevano urgente bisogno di aiuto" sostiene la ministra nella dichiarazione comune con Harals Schartau, ministro dell’economia e del lavoro del Land della Renania del Nord-Westafalia, dove ha sede l’associazione Cap Anamur. "Non si debbono criminalizzare le azioni umanitarie" dichiarano i due ministri tedeschi. "Conosciamo personalmente Elias Bierdel e apprezziamo il suo coraggio e la sua volontà di aiutare gli altri. Deve essere rispettato per questo motivo". "La miseria dei rifugiati" continua il comunicato "ci mostra come la catastrofi umanitarie possano toccarci direttamente. L’Africa è un continente vicino al nostro. È per questo che in Europa dobbiamo avere una responsabilità particolare per la gente che vive laggiù".

"Gli italiani ci hanno ingannati, ci avevano gentilmente chiesto di scendere a terra per parlare "meglio" e non sulla nave che è territorio tedesco. E siccome siamo dei gentiluomini e non dei criminali abbiamo accolto il loro invito. Ma era una trappola, perché quando ci hanno portato in commissariato siamo subito finiti in carcere". Sono amareggiati e delusi Stefan Schimdt ed Elias Bierdel, da tre giorni in cella, separati l'uno dall'altro ma assieme ad altri detenuti: "Stiamo in una stanza di 4 metri per 4 con omicidi e ladri. Non abbiamo nulla, non abbiamo acqua minerale, spazzolini, ma perché?", si chiedono i tre detenuti che, sia pure attraverso l'isolamento carcerario, hanno saputo quanto è accaduto alla loro nave sequestrata sulla banchina di Porto Empedocle e ai 37 africani.

Ora tutto rischia di "affondare". "Perché secondo la legge Bossi-Fini - spiega un magistrato impegnato nelle indagini sulla Cap Anamur - questa è una imbarcazione che ha favorito l'immigrazione clandestina e quindi è stata sequestrata, poi scatterà il provvedimento di confisca e quindi la demolizione".
Una preoccupazione che ancora ieri ha fatto piangere Dominik, il più giovane membro dell'equipaggio, e l'anziano ufficiale di coperta, Herard Behert. Lo si saprà domani quando il Gip di Agrigento, Walter Carlisi, deciderà se confermare o meno il loro arresto, già convalidato dalla Procura. Gli indagati insistono: "Abbiamo salvato delle vite umane, e non abbiamo compiuto dei reati, forse qualche errore formale e ce ne scusiamo, ma non siamo dei criminali".

Intanto, nella regione sudanese del Darfur...

 

 

 

 

 

 

 

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15 luglio 2004
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